Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11724 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2011, (ud. 22/02/2011, dep. 27/05/2011), n.11724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 34772-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

SANPAOLO IMI SPA;

– intimato –

sul ricorso 3600-2007 proposto da:

INTESA SANPAOLO SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA LARGO TORRE ARGENTINA 11, presso lo

studio dell’avvocato MARTELLA DARIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato PALMARINI EZIO, giusta delega in calce;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 350/2006 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 21/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE FERRARA;

udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato PALMARINI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con istanza del 31.10.1995 alla Direzione regionale delle entrate della Campania, sezione distaccata di Napoli, il Banco di Napoli s.p.a. chiedeva il rimborso per l’anno 1994 della somma di lire 16.683.932.417, corrispondente alla ritenuta del 12,50% sulle cedole scadute nel predetto anno sui titoli di Stato italiani posseduti dal Banco presso le filiali di (OMISSIS), e oggetto dei cosiddetti “repos” o “repurchase agreements”.

A seguito del silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria ii Banco di Napoli presentava ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale 10 accoglieva “mandando all’Ufficio per la verifica contabile de rimborso dovuto”, sul rilievo che i “repurchase agreements” non erano compravendite di titoli, bensì prestiti garantiti da titoli la cui proprietà restava in capo all’Istituto di credito, contestualmente qualificabile come soggetto garante e finanziato.

Avverso la pronunzia di primo grado proponeva appello in via principale la Direzione Regionale della Campania, che, nel porre in evidenza un errore di calcolo presente nei conteggi di controparte, lamentava tra l’altro: 1) l’impossibilità di accertare dalla dichiarazione annuale del Banco, che al reddito imponibile avessero concorso gli interessi sui titoli dati a “repos”; 2) la mancanza di prova dell’effettivo pagamento delle ritenute in questione e per l’importo indicato, non essendo a tal fine sufficiente il mero elenco dei titoli oggetto di “repos” sottoscritto dalla filiale di (OMISSIS).

Proponeva altresì appello in via incidentale il Banco di Napoli e la Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza n. 287/29/02, in accoglimento del solo appello incidentale condannava al rimborso di L. 16.528.154.466, pari ad Euro 8.536.079,40.

11 giudice dei gravame accoglieva il solo appello incidentale esponendo, tra l’altro, che dagli atti di causa risultava che all’epoca esistevano a (OMISSIS) filiali estere del Banco di Napoli; che presso le stesse erano state effettuate operazioni definite “repos” con titoli dei debito pubblico; che sul debito pubblico era stata effettuata la ritenuta pari al 12.50%; che i “repos”, secondo il regime fiscale USA, erano prestiti garantiti da titoli; che l’Istituto al credito durante lo svolgimento del rapporto era rimasto proprietario dei titoli; che conseguentemente l’Istituto di credito era legittimato a fare valere il credito di imposta in relazione alla ritenuta subita sul rendimento dei titoli; che il credito di imposta non era stato indicato nella dichiarazione dei redditi relativo all’anno 1994, nè l’Amministrazione finanziaria nell’atto di appello aveva dimostrato il contrario, limitandosi solo a mettere in dubbio fa correttezza dell’azione di rimborso del Banco di Napoli; che le filiali estere degli Istituti di credito italiani erano considerate, agli effetti fiscali, soggetti residenti nella propria nazione ed i dati contabili delle stesse confluivano nei bilanci della banca madre; che erano stati prodotti documenti e prospetti dai quali si poteva desumere, in modo chiaro ed inequivocabile, l’ammontare delle operazioni compiute, definite “repo- transaction” e delle relative ritenute.

La sentenza della C.T.R. veniva a sua volta impugnata con ricorso per cassazione dal Ministero dell’Economia e delle finanze e dall’Agenzia delle entrate denunciandosi:

– con il 1^ motivo, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 38 e 41 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis in relazione all’art. 360 c.p.c.; nonchè l’omessa o comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5. Deducevano i ricorrenti che erroneamente i Sanpaolo Imi e i giudici di merito avevano ritenuto che ricorresse l’ipotesi di errore materiale per cui il contribuente poteva inoltrare istanza di rimborso alla competente Direzione regionale del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38. In realtà, sosteneva l’Amministrazione finanziaria, non ricorreva un’ipotesi di errore materiale, ne1 era ravvisabile un’ipotesi di duplicazione o di inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, sole fattispecie tassativamente previste dall’art. 38 menzionato per il rimborso dei versamenti diretti.Infatti, lo stesso Istituto aveva affermato che vi era stata una mera dimenticanza dell’invio della relativa documentazione, a causa della quale il Banco non aveva scomputato le ritenute nella propria dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 1994. – Con il 2? motivo l’Amministrazione finanziaria denunciava la violazione e falsa applicazione del D.L. 24 settembre 1993, n. 377, art. 1 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c.;

nonchè l’omessa o comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5. Osservavano al riguardo i ricorrenti che nell’atto di appello l’Ufficio aveva dedotto la mancata dimostrazione da parte del Banco di Napoli dei presupposti necessari per il riconoscimento del presunto credito;

sennonchè, la Commissione regionale si era limitata ad affermare che essa non poteva sostituirsi all’Amministrazione nella verifica contabile dei rimborso, con ciò trascurando che in realtà era mancata la prova sia del soggetto a cui era stato devoluto il reddito dei titoli (gli interessi), sia dei dati relativi all’individuazione dei titoli e dei periodi di possesso dei medesimi.

Resisteva con controricorso l’Istituto di credito deducendo che la compravendita di titoli e la documentazione indicata nell’art. 1 citato non erano invocatati nella presente controversia. Questa si riferiva a titoli di proprietà di un residente (il Banco di Napoli) gestiti da una sua filiale estera, che aveva subito la ritenuta del 12,50% sugli interessi dei titoli di Stato e per errore non la aveva segnalata alla casa madre, così determinando un versamento di IRPEG in eccesso. Deduceva inoltre il contribuente che il ricorso dell’Amministrazione finanziaria si fondava su un’interpretazione infondata del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 38 e 41 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis; che la decisione di 2^ grado non poteva essere censurata sotto il profilo della contraddizione; che il ricorso per cassazione ritiene applicabile una normativa riferibile ai soggetti non residenti (D.L. n. 377 del 1993) ad una fattispecie che viceversa riguardava un soggetto residente ed una sua stabile organizzazione estera; che, infine, i ricorrenti avevano invocato l’applicazione del regime fiscale di compravendita di titoli in luogo di quello concernente il regime degli interessi sui titoli posseduti.

Con sentenza n. 17917 del 6.9.2004 fa Corte dì Cassazione rigettava il primo motivo di ricorso, accoglieva il secondo, con riferimento ad entrambe le doglianze esposte, e cassava con rinvio la sentenza impugnata precisando che per le azioni di rimborso è il contribuente che, in applicazione dell’art. 2697 c.c. deve dimostrare l’avvenuto pagamento e spiegare perchè esso non era dovuto, e che il giudice di appello non aveva adeguatamente motivato da quali documenti potessero trarsi le prove delle indicate circostanze.

Riassunto dall’Istituto il giudizio dinanzi alla C.T.R. della Campania, con sentenza n. 350/1/06 depositata il 21.9.2006 e notificata il successivo 4.10.2006, il giudice adito riconosceva il diritto al rimborso della minor somma di L. 16.425.685.890 (pari a Euro 8.483.158,00), recependo in tal modo quanto in sede di appello dedotto dall’Ufficio in ordine all’errore materiale presente nei conteggi della Banca contribuente.

Per la cassazione della suddetta sentenza proponeva quindi nuovamente ricorso l’Agenzia delle Entrate articolando quattro motivi, all’accoglimento dei quali si opponeva la Intesa Sanpaoto s.p.a.

quale incorporante della S.p.A. Banco di Napoli con controricorso e contestuale ricorso incidentale tempestivamente notificato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente rileva la Corte doversi procedere alla riunione, ex art. 335 c.p.c. dei due ricorsi in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza. Va inoltre rilevata la inammissibilità del ricorso incidentale della Intesa San Paolo s.p.a. posto che l’atto depositato, essenzialmente orientato alla sola esposizione delle argomentazioni difensive della intimata, pur formalmente rivolto anche a conseguire la riforma dell’impugnata sentenza relativamente all’ammontare della somma oggetto del diritto al rimborso, risulta priva, in violazione degli artt. 371 e 366 c.p.c. dell’articolazione di idoneo motivo di ricorso sullo specifico punto della decisione, corredato dal quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c..

2. Passando quindi all’esame del ricorso principale, con il primo motivo deduce l’Agenzia il vizio di omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione, ovvero meramente apparente motivazione della sentenza, in ordine alla sussistenza dei credito di imposta rivendicato dalla Banca.

Il motivo è infondato.

Questa Corte con la sentenza n. 17917/04, nell’affermare che l’onere della prova in ordine all’esistenza del diritto al rimborso gravava sulla contribuente, aveva altresì rilevato che il giudice di appello, con la sentenza successivamente cassata, non aveva fornito adeguata motivazione in ordine a come la parte avesse assolto quell’onere probatorio relativamente a due aspetti, entrambi decisivi ai fini della decisione: 1) la confluenza degli interessi sui titoli impiegati dalla filiali estere del Banco di Napoli nelle cd.

operazioni di repos, nella determinazione del reddito dichiarato per l’esercizio 1994; 2) l’avvenuto versamento, sul complessivo ammontare di quegli interessi, della ritenuta del 12,50%.

La C.T.R. con la sentenza emessa in sede di rinvio, partendo dal principio di diritto affermato da questa Suprema Corte, si è fatto carico di verificare se e in che modo la Banca avesse assolto l’onere probatorio che su essa gravava, pervenendo a conclusioni alla stessa favorevoli sulla base di ampia e argomentata motivazione, assolutamente idonea a far comprendere l’iter logico seguito dal giudicante, e soprattutto attenta a colmare le lacune motivazionali già rilevate nella precedente fase di legittimità.

A tal proposito il giudicante, dopo aver premesso una serie di considerazioni comunque significative ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 116 c.p.c. con riferimento alla natura del soggetto creditore, all’attendibilità, (anche per i numerosi e qualificati controlli ai quali la Banca è soggetta) delle sue scritture contabili dalle quali risultavano espunti i dati riporti nella dichiarazione dei redditi, e a comportamento processuale dell’Agenzia, e dopo aver altresì posto in evidenza come l’assenza di accertamento in rettifica da parte dell’Ufficio della dichiarazione dei redditi della Banca fosse già dì per sè significativa della confluenza nei ricavi anche degli interessi maturati sui titoli di Stato delle filiali di(OMISSIS), ha specificamente elencato le fonti documentali sulle quali si fondava la pretesa creditoria della contribuente, individuandole:

a) per quanto specificamente relativo alla confluenza degli interessi percepiti dalle due filiali estere, nei ricavi dichiarati dalla Banca: 1) nelle relazioni al bilancio, pagg. 44 e 45 per le filiali di (OMISSIS), e pag. 97 per le filiali estere in genere;

2) nei contenuti della dichiarazione, riportante tutti i ricavi del Banco di Napoli, prodotti in Italia e all’estero, così come risultanti dal bilancio, e nei prospetti e documenti allegati, con la specificazione dei crediti per imposte pagate all’estero; 3) nei raffronto tra i diversi imponibili dichiarati ai fini Irpeg e Ilor, risultando il minor importo dichiarato ai fini Ilor proprio dall’esclusione dei redditi derivanti da attività esercitate all’estero.

b) Per quanto invece più specificamente relativo all’ammontare degli interessi sui titoli oggetto delle operazioni di repos, e all’importo delle ritenute di acconto sugli stessi subiti (che costituiscono lo specifico oggetto della domanda di rimborso in contestazione), nei “prospetti delle operazioni repos in titoli di Stato effettuate dalle filiali di (OMISSIS) con indicazione dei titoli, dei periodi di utilizzo, degli interessi, delle banche con cui sono stati posti in essere; copia delle conferme dei contratti repos scambiati con controparti bancarie; prospetto con dimostrazione delle operazioni repos con raccordo ed integrazione con gli interessi sui titoli dì proprietà delle filiali estere, con gli interessi indicati nell’allegato 4 della dichiarazione e nel 760/S e raccordo con gli allegati 1, 4 e 15 della dichiarazione; determinazione degli interessi relativi e delle ritenute non dedotte nella dichiarazione relativamente alle operazioni repos disciplinate dalla legislazione americana”.

Ha inoltre aggiunto “ad abundantiam” che l’importo delle ritenute di acconto subite dalla Banca sugli interessi relativi ai titoli oggetto delle operazioni di repos, trovava altresì riscontro nella dichiarazione al riguardo rilasciata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in ottemperanza ad ordinanza emessa dalla stessa C.T.R..

A fronte di tale minuziosa e concreta esposizione delle ragioni della decisione, assolutamente immune da vizi logici, la doglianza dell’attuale ricorrente si fonda essenzialmente sul fatto che: il richiamo alle pagine della relazione ai bilancio sarebbe generico e non spiegherebbe perchè da quelle pagine dovrebbe desumersi la confluenza nel bilancio dei ricavi delle filiali estere; il richiamo a specifici parti della dichiarazione sarebbe a sua volta generico, e non idoneo a suffragare il convincimento della piena confluenza nella dichiarazione medesima, dei ricavi delle filiali estere; non sarebbe dato comprendere la rilevanza della evidenziata divergenza degli imponibili dichiarati ai fini Irpeg e ilor; confuso e nebuloso risulterebbe infine la menzione dei cd. “prospetti”.

La censura in tal modo articolata risulta inammissibile perchè volta a conseguire un riesame nel merito delle valutazioni in fatto già operate dalla C.T.R. sulla base, come già si è rilevato, di ampie ed esaurienti argomentazioni, e ciò in forza di doglianze assolutamente esse si generiche e lesive del principio di autosufficienza del ricorso, poichè, non riportando i contenuti dei documenti ritenuti dal giudice di merito idonei a supportare il proprio convincimento, non consentono a questa Suprema Corte di apprezzare la rilevanza delle critiche esposte.

3 . Con il secondo motivo deduce la ricorrente la violazione dell’art. 2730 e segg. c.c. con riferimento al valore confessorio attribuito in sentenza all’affermazione contenuta nell’appello dell’Ufficio del 18 luglio 2001 circa l’ammontare delle ritenute subite dalle due filiali, che dalla documentazione prodotta sarebbe risultato pari a L. 16.425.685.890 e non a L. 16.683.932.417 come richiesto, sull’importo di L. 44.279.097.222 indicato come corrispondente alle cedole complessivamente maturate nel 1994 sui titoli oggetto delle operazioni di repos.

Al riguardo la ricorrente pone il seguente quesito: Dica la S.C. se l’appellante, che formulando un motivo di appello contesti il calcolo della pretesa avversaria indicando quello secondo lui corretto, possa ritenersi aver reso per ciò solo dichiarazione confessoria della debenza della somma correttamente calcolata”.

Il motivo è inammissibile sotto due distinti ma convergenti profili:

a) per la genericità della formulazione dei quesito, che così come articolato non potrebbe che avere risposta positiva senza però con questo ritenersi risolutivo della controversia per l’assenza in esso di adeguato riferimento alla fattispecie concreta. In proposito questa Suprema Corte ha già avuto modo più volte di affermare, in maniera senz’altro condivisa, che il motivo è inammissibile quando ” …il quesito di diritto formulato a chiusura del medesimo … si esaurisce in una enunciazione di carattere generale e astratto che in quanto priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consente di dare alcuna risposta utile a definire la presente causa nel senso voluto dal ricorrente (v. per l’inammissibilità del motivo in caso di mancanza di riferimento alla fattispecie o di assoluta genericità, C. Cass. SU 2007/36 e 2007/20360) …)” (così Cass. SS.UU. 11.3.2008, n. 6420). Ciò senza che a nulla valga in contrario senso replicare che il quesito non sarebbe generico perchè andrebbe letto e valutato alla stregua del motivo cui accede, avendo anche a riguardo la giurisprudenza di questa Corte ulteriormente chiarito, tra l’altro anche con la già citata sentenza delle Sezioni Unite, che è da escludersi la possibilità di desumere il quesito dal contenuto del motivo (C. Cass. 2007/23732) o d’integrarlo con quest’ultimo (C. Cass. 2007/7108), “perchè ciò comporterebbe una sostanziale abrogazione della norma di cui all’art. 366 bis”.

b) Per l’irrilevanza della questione una volta chiarito, come si è innanzi fatto con riferimento al primo motivo, che la decisione impugnata risulta fondata su una serie di prove documentali sufficienti a giustificare il convincimento del giudicante, rispetto alle quali le pur erronee argomentazioni del giudicante in ordine al preteso valore confessorio della dichiarazione dell’Ufficio, già esposte in forma meramente residuale (“Non va tralasciato che …”), non rivestono alcuna rilevanza ai fini della decisione.

4 . Con il terzo motivo deduce ancora l’Agenzia il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultra petizione, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e il vizio di motivazione della sentenza con riferimento in particolare e tra l’altro all’affermazione contenuta in sentenza circa il fatto che “il contenuto della dichiarazione sarebbe stato ritenuto attendibile dall’Ufficio solo per non esservi stato accertamento sull’anno 1994 e che ciò confermasse i ricavi ivi indicati”.

In proposito lamenta nello specifico la ricorrente che:

a) con tale affermazione il giudice sarebbe incorso in ultrapetizione, e formula ai riguardo il seguente quesito: “Dica quindi la S.C. se fosse ammissibile nel giudizio di rinvio una censura non sollevata in quello di primo grado e non conseguente alla sentenza di cassazione nè a sentenze precedenti, e se la pronuncia su di essa possa dirsi rientrante nel petitum”;

b) L’affermazione sarebbe comunque errata, e si risolverebbe ancora una volta in una violazione del principio dell’onere della prova, onde il quesito: “Dica la S.C. se sia preclusa all’Ufficio, non essendovi stato accertamento sui redditi dell’anno, l’eccezione di mancata prova dì uno di essi, su cui si basa il credito di imposta chiesto a rimborso per errore nella dichiarazione stessa”;

c) La motivazione della sentenza continuerebbe a gravare l’Ufficio dell’onere della prova in ordine alle circostanze ostative al riconoscimento del diritto al rimborso, così in particolare quando, invocando lo Statuto del contribuente, addebita all’Ufficio “di non aver facilitato il compito del giudice controdeducendo puntualmente sui documenti prodotti dalla Banca”, e non darebbe adeguatamente conto di come la parte possa ritenersi aver assolto tale onere, non avendo tra l’altro essa mai “reso comprensibile nè documentato con chiarezza il fondamento della sua pretesa”. Da qui gli ulteriori quesiti: “Dica la S.C. se il contribuente che chiede un rimborso possa ritenersi aver assolto l’onere probatorio che gli incombe attraverso la produzione di una quantità di documenti di contenuto tecnico complesso, senza attivarsi per indicarne il senso e spiegarne le relazioni. Dica altresì la S.c. se il convenuto abbia l’onere di contribuire con le proprie eccezioni a chiarire il senso della documentazione probatoria prodotta dall’attore”.

Il motivo è sotto ogni profilo infondato se non addirittura inammissibile. Ed invero la denuncia del vizio di motivazione, oltre a non concludersi con la specificazione del fatto controverso secondo quanto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c. nell’interpretazione datane dai giudice di legittimità (per tutte v. Cass. 30.12.2009, n. 27680 secondo la quale: “Secondo l’art. 366 bis c.p.c. introdotto dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. 3441/2008; 2697/2008). Pertanto, la relativa censura (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) “deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), costituente una parte del motivo che si presenti, a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione dei ricorso e di valutazione della sua ammissibilità”), non fa che riproporre sotto ulteriori profili una tematica già trattata in occasione dell’esame del primo motivo e che avendo ivi trovato esauriente risposta non richiede in questa sede utteriori repliche.

Quanto alle altre doglianze esposte con riferimento ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 tutte prospettano quesiti generici secondo quanto già precisato ai punto 3 che precede, risultando per tale aspetto inammissibili. Ciò senza tacere che: a) il riferimento alla mancata rettifica della dichiarazione dei redditi per il 1994 non integra, nella motivazione contestata, una autonoma ratio decidendi che si collega ad una domanda nuova della contribuente, bensì una mera argomentazione dedotta dal giudicante a conforto di un convincimento già formatosi sulla base dei documenti prodotti; b) il valore “indiziario” dell’argomentazione, tra l’altro irrilevante per le ragioni complessivamente esposte al punto 2 che precede, non è smentito dalla critica della ricorrente, giacchè il ragionamento presuntivo del giudicante, lungi dal fondarsi assurdamente su una pretesa inammissibilità dell’eccezione di insussistenza della prova del credito chiesto a rimborso, per effetto del mancato accertamento in rettifica dei redditi dell’anno 1994, molto più ragionevolmente si basa sulla valorizzazione della complessiva attendibilità della dichiarazione e dei documenti contabili sottostanti, desumibile anche dalla mancanza di rettifica da parte dell’Ufficio, e sulla confluenza in essa dei redditi delle Filiali di (OMISSIS), comprensivi degli interessi maturati sui titoli oggetto delle operazioni di “repos” poste in essere nel 1994, e costituenti la base imponibile per il calcolo delle ritenute chieste a rimborso; c) quanto alla tematica dell’onere probatorio, non può qui che ribadirsi ulteriormente l’assoluta genericità de quesito formulato.

5 . Con il quarto motivo la ricorrente denuncia i vizi di violazione dell’art. 392 e ss. c.p.c e di omessa o comunque insufficiente motivazione della sentenza con riferimento alla certificazione del Ministero delle Finanze acquisita agli atti dei giudizio in fase di rinvio, a giudizio dell’agenzia in violazione della norma citata, e richiamata in sentenza senza chiarire il valore annesso al documento in questione. A tal riguardo formula l’Ufficio il seguente quesito:

“Dica quindi la S.C. se sia ammissibile in fase di rinvio la produzione di un documento non depositato nei gradi di merito”.

il motivo è sotto entrambi i profili inammissibile.

Per quanto relativo alfa violazione di legge la censura non solo contiene un’erronea indicazione della norma asseritamente violata, che nella prospettazione della ricorrente sarebbe da ritenersi rappresentata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63 che ricalca il disposto dell’art. 394 e non dall’art. 392 c.p.c. ma, cosa ben più rilevante, non risulta formulata in maniera aderente alle risultanze processuali. Nel caso di specie, invero, il documento in questione non è stato “prodotto” dalla parte ne giudizio di rinvio, bensì acquisito dal giudice nell’esercizio dei suoi poteri istruttoria con apposita ordinanza, e la legittimità dell’esercizio di quei poteri non può dirsi censurata con la doglianza in esame.

A questo punto è per mera completezza che può altresì rilevarsi, a sostegno della decisione, come la doglianza e il quesito finale risultino ancora una volta assolutamente generici e si espongono pertanto alle critiche già formulate al punto 3 che precede, tanto più che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “…

è pur vero che, a norma della citata disposizione del codice di rito, nel giudizio di rinvio, dato il carattere “chiuso” de relativo procedimento – che comporta che la controversia deve essere riproposta nello stato di istruzione nel quale fu pronunciata la sentenza cassata – non è consentita la produzione di nuovi documenti. Tale principio, peraltro, subisce una deroga in tutti le ipotesi in cui fatti sopravvenuti o la stessa sentenza di cassazione rendano necessaria una ulteriore attività del genere di quella sopra indicata, si che quest’ultima venga a dipendere strettamente dalle statuizioni della Suprema Corte (v., su punto, Cass. n. 9859 del 2006, n. 12276 del 2000). In definitiva, la produzione di documenti nel giudizio di rinvio, se non è ammessa qualora determini la necessità di ulteriori contestazioni e deduzioni, può esserlo a supporto di pretese e considerazioni già svolte (così Cass. 12.10.2009, n. 21957; cfr. Cass. 18.4.2007, n. 9224).

Per quanto relativo invece al vizio motivazionale l’infondatezza della censura è fin troppo evidente risultando chiaramente dalla sentenza esser stato il documento in questione, utilizzato per verificare l’ammontare degli interessi corrisposti alle Filiali di (OMISSIS) del Banco di Napoli nell’anno 1994 sui titoli di Stato oggetto delle operazioni di “repos” (così come elencati nell’allegato A della dichiarazione), e delle ritenute fiscali conseguentemente operate su quegli importi, a definitivo riscontro di quanto già risultante dalla documentazione prodotta in giudizio dalla Banca e tenacemente ma in maniera inconcludente e fumosa contestato dall’Agenzia, pur in presenza di una dichiarazione proveniente dallo stesso Ministero delle Finanze.

6 . Alla stregua delle esposte considerazioni i ricorso dell’Agenzia deve pertanto essere rigettato, dovendo, per il principio della soccombenza, ricadere su di essa l’onere delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e rigetta quello principale. Condanna l’Agenzia al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 22.000,00 di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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