Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11723 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2011, (ud. 16/02/2011, dep. 27/05/2011), n.11723

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26554-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, selettivamente 2011 domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12 presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

G.C., FELICIELLO SALVATORE & C IN

LIQUIDAZIONE,

F.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 44/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 23/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi la società Feliciello Salvatore & C. snc in liquidazione ed i suoi soci F.S. e G.C. impugnavano davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma gli avvisi di accertamento loro notificati, con i quali l’Ufficio delle Imposte Dirette di Roma aveva accertato un maggior reddito per la società e, conseguentemente, per i soci.

La Commissione Tributaria Provinciale, riuniti i ricorsi, li dichiarava inammissibili, giudicandoli tardivi.

La Commissione Tributaria Regionale di Roma, adita con l’appello dei contribuenti, riformava la sentenza di primo grado e – premessa la tempestività dei ricorsi – giudicava i medesimi fondati e annullava gli impugnati avvisi di accertamento.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, entrambi difesi e rappresentati dall’Avvocatura Generale dello Stato, ricorrono per cassazione contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale sulla scorta di due motivi, entrambi riferiti all’art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 14 e 39 e violazione e falsa applicazione del D.L. n. 564 del 1994, art. 2 bis convertito con la L. n. 656 del 1894.

Gli intimati non si sono costituiti nel giudizio di cassazione.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 16.2.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente la Corte deve rilevare di ufficio l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parte del giudizio di secondo grado (a cui ha partecipato solo 1′ Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate), cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio.

Quanto al ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, va preliminarmente osservato che la sentenza impugnata – dopo aver rilevato l’errore del primo giudice nel conteggio del termine per la proposizione dei ricorsi ed aver conseguentemente affermato la tempestività dei medesimi – ha annullato gli impugnati avvisi di accertamento sulla base di una triplice ratio decidendi.

La Commissione Tributaria Regionale ha infatti affermato l’illegittimità degli avvisi di accertamento per le tre concorrenti, ma distinte ed autonome, ragioni di seguito elencate.

1) Perchè nella specie non sarebbero sussistiti i presupposti per poter legittimamente procedere ad un accertamento extracontabile D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2; al riguardo nella sentenza impugnata si argomenta che la mancata esibizione del libro giornale da parte della società, accompagnata dalla presentazione della relativa denuncia di smarrimento, costituirebbe irregolarità meramente formale e, pertanto, inidonea a consentire l’accertamento induttivo extracontabile operato dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2.

2) Perchè l’Ufficio si sarebbe limitato ad aumentare il reddito della società Feliciello Salvatore & C. snc “senza alcuna ulteriore motivazione o accertamento, se non mediante un generico riferimento al codice di attività dichiarata”, cosicchè l’accertamento sarebbe stato troppo generico e non sorretto da adeguata motivazione.

3) Perchè nella specie sarebbero sussistite le condizioni di cui al D.L. n. 564 del 1994, art. 3 convertito con la L. n. 656 del 1994, per l’accoglimento della richiesta di cd. “concordato di massa” anche per l’anno d’imposta 1990 “non potendosi ritenere causa ostativa la mera violazione formale della mancata esibizione del libro giornale riscontrata dalla Guardia di Finanza.” Col primo motivo di ricorso la difesa erariale censura la prima ratio decidendi, sottolineando come il giudice territoriale, nel ritenere insussistenti i presupposti per l’accertamento extracontabile, abbia violato la disposizione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c), che autorizza l’accertamento extracontabile quando non risulti disponibile, anche per causa di forza maggiore, una delle scritture indicate dallo stesso D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14 tra le quali è compreso il libro giornale, nella specie non esibito dalla società Feliciello Salvatore & C. snc. Col secondo motivo di ricorso la difesa erariale censura la terza ratio decidendi, affermando che il giudice territoriale – ritenendo sussistenti le condizioni per l’ammissione del cd. “concordato di massa” anche per l’anno d’imposta 1990, nonostante che in relazione a tale anno non si fosse formato alcun contraddittorio tra il contribuente e l’Ufficio, nè l’Ufficio avesse formulato alcuna proposta di concordato – avrebbe in sostanza ritenuto sufficiente, ai fini del perfezionamento del concordato, l’atto unilaterale del contribuente; in tal modo violando il disposto del D.L. n. 564 del 1994, art. 2 bis a mente del quale l’accertamento con adesione presuppone un atto di impulso dell’Ufficio.

La seconda ratio decidendi della sentenza impugnata, relativa al difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, non è stato censurato dalla ricorrente; per tale ragione il ricorso va giudicato inammissibile. Come infatti chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 16602/2005, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato. Si veda anche, in questo senso, Cass. 389/2007 (“In tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le “rationes decidendi” rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa. (Nella specie, parte ricorrente aveva censurato la mancata ammissione della prova testimoniale sotto il profilo dell’inosservanza delle norme poste dagli artt. 2721, 2724 e 2726 c.c., ma non l’inammissibilità dichiarata dal giudice di merito anche perchè la prova non era stata articolata per capi separati e specifici)”, nonchè Cass. 13070/2007 e Cass. 24540/2009.

Anche il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, al pari di quello del Ministero dell’Economia e delle Finanze, va quindi in definitiva dichiarato inammissibile.

Non vi è luogo alla regolazione delle spese del giudizio di cassazione, non essendosi le parte private costituite in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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