Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11721 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2011, (ud. 16/02/2011, dep. 27/05/2011), n.11721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26455-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA ATTILIO

FRIGGERI N. 111 presso lo studio dell’avvocato MORGANTI PAOLO, che lo

rappresenta e difende procura speciale Notaio Dr. PARIDE MARINI

ELISEI in TIVOLI il 25 maggio 2010 REP. 22315;

– resistente –

avverso la sentenza n. 78/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 24/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SANTORO MASSIMO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato MORGANTI PAOLO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Sulla base di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza di Tivoli del 23.12.99 l’Amministrazione finanziaria rettificava nei confronti della sig.ra D.a. l’ammontare dei redditi ai fini IRPEF ed ILOR e la dichiarazione IVA per l’anno d’imposta 1995.

La contribuente impugnava i suddetti accertamenti, per un verso contestandoli nel merito e, per altro verso, deducendo l’illegittimità dell’azione accertatrice dell’Ufficio D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 2 in quanto successiva ad un accertamento con adesione già definito col pagamento di L. 57.000.000.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma rigettava il ricorso, ritenendo l’emissione di nuovi avvisi legittima, pur in presenza di un accertamento con adesione, in forza del disposto del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a), in considerazione dell’ emersione di nuovi elementi, forniti dalla Guardia di Finanza, che consentivano l’accertamento di un maggior reddito superiore a L. 150.000.000.

La Commissione Tributaria Regionale di Roma, adita con l’appello della contribuente, riformava la sentenza di primo grado e annullava gli impugnati avvisi di accertamento e rettifica.

Il giudice di appello motivava la propria decisione sull’argomento che – ancorchè l’emissione degli avvisi impugnati dovesse giudicarsi legittima, avendo la Guardia di Finanza fornito all’Ufficio finanziario elementi di maggior reddito superiore a L. 150.000.000 – dalla stessa sentenza appellata sarebbe emerso come nel corso del giudizio la contribuente avesse ricostruito la propria contabilità, “giustificando quasi tutto tranne L. 27.454.000”, a fronte di un volume di affari di L. 1.743.357.000; cosicchè, con un giudizio ex posi, si sarebbe dovuta negare la sussistenza di accertamenti di maggiori redditi di importo tale da consentire il superamento della preclusione costituita dall’accertamento per adesione.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, entrambi difesi e rappresentati dall’Avvocatura Generale dello Stato, ricorrono per cassazione contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale sulla scorta di un unico complesso motivo, rubricato come Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a), e art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’ intimata non ha depositato controricorso, costituendosi nel giudizio di cassazione solo con memoria notarile ai fini della partecipazione alla discussione.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 16.2.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente la Corte deve rilevare di ufficio l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parte del giudizio di secondo grado (a cui ha partecipato solo l’ Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate), cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio. Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza in argomento di questa Corte si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione tra il Ministero e la parte resistente.

Quanto al ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, esso non censura l’accertamento di fatto operato dalla Commissione Tributaria Regionale secondo cui, delle somme contestate dall’Ufficio alla contribuente, all’esisto del giudizio sarebbero rimaste prive di giustificazione solo L. 27.454.000 (a fronte di un volume di affari di L. 1.743.357.000).

La difesa erariale denuncia invece, con un unico motivo, la violazione di legge (e, precisamente, del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4), nonchè la contraddittorietà della motivazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, per aver questa affermato che l’accertamento impugnato, da un lato, era legittimo ex ante perchè la Guardia di Finanza aveva fornito sufficienti elementi di maggior reddito e, dall’altro, era illegittimo ex posi perchè la contribuente aveva ricostruito in giudizio la propria contabilità, giustificando tutto tranne L. 27.454.000 a fronte di un volume di affari di L. 1.743.357.000.

Secondo la ricorrente, l’attività dell’Ufficio doveva giudicarsi legittima, in quanto conforme al disposto del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a), per il quale la definizione mediante accertamento con adesione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore a L. 150 milioni. Sotto altro aspetto l’Avvocatura addebita al giudice territoriale un error in procedendo (pur senza richiamare espressamente l’art. 360 c.p.c., n. 4), censurando la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c.; la difesa erariale assume infatti che nell’atto di appello la contribuente avrebbe svolto solo censure di merito, senza riproporre l’eccezione, sollevata in primo grado, di illegittimità degli impugnati avvisi di accertamento per violazione dei limiti fissati alla potestà accertativa dell’Amministrazione dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a).

Osserva in primo luogo la Corte che la censura di contraddittorietà della motivazione della sentenza va giudicata – prima ancora che infondata (non vi è infatti contraddittorietà nell’esprimere, sulla legittimità di un atto, giudizi diversi a seconda della diversità dei parametri di riferimento) – inammissibile, giacchè il difetto di motivazione rileva autonomamente come vizio della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, solo quando incida su accertamenti di fatto e non quando riguardi questioni di diritto. Per gli errori di diritto, infatti, il mezzo di ricorso è quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, mentre, se la decisione della sentenza impugnata abbia esattamente applicato la legge, gli eventuali difetti della motivazione in punto di diritto possono essere emendati dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

Quanto alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a), si rileva che, in base al tenore letterale della disposizione, dopo un accertamento definito con adesione, l’Amministrazione finanziaria può esercitare ulteriormente l’azione accertatrice solo se sopravvenga la conoscenza di nuovi elementi in base ai quali sia possibile “accertare un maggior reddito” superiore al 50% del reddito definito nell’accertamento con adesione o, comunque, non inferiore a L. 150 milioni (ora Euro 77.468,53).

Secondo la difesa erariale tale disposizione andrebbe intesa nel senso che, qualora l’entità del maggior reddito accertato con l’atto impositivo successivo all’accertamento con adesione superi le suddette soglie dimensionali, il ridimensionamento di tale entità al di sotto di dette soglie, a cui eventualmente pervenga il giudice tributario investito dell’opposizione del contribuente contro l’atto impositivo, non farebbe venir meno la legittimità dell’azione accertativa esercitata con l’atto impositivo impugnato, in quanto non sussisterebbe “nessuna disposizione che ex post inficia l’accertamento in base a quanto il contribuente riesce successivamente a giustificare” (pag. 4, penultimo capoverso, del ricorso).

L’argomento non merita adesione, perchè la illegittimità di una azione accertativa (ulteriore rispetto ad un accertamento con adesione già definito) che si concluda, all’esito dell’impugnativa giurisdizionale dell’atto impositivo, con l’accertamento giudiziale di un maggior reddito di entità inferiore alle soglie fissate dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a), discende proprio ed immediatamente da quest’ultima disposizione. Se, infatti, il giudice tributario, correggendo le valutazioni dell’Ufficio, ha accertato a carico del contribuente un maggior reddito di entità inferiore a L. 150 milioni o al 50% del reddito definito in sede di accertamento con adesione, vuoi dire che i nuovi elementi sulla cui base l’Ufficio ha svolto l’ulteriore azione accertatrice non rendevano possibile accertare un maggior reddito del contribuente di entità superiore al 50% del reddito definito in sede di accertamento con adesione, e comunque superiore a L. 150 milioni; il che vuoi dire che l’azione accertativa era ab origine illegittima e tale va dichiarata dal giudice tributario investito dell’impugnativa dell’atto impositivo, che va conseguentemente annullato. La differenziazione tra valutazione ex posi e valutazione ex ante della legittimità dell’atto impositivo dell’Ufficio, su cui si sofferma il passo dell’ impugnata sentenza criticato dalla difesa erariale, tende in definitiva ad evidenziare semplicemente che, nel caso di un accertamento tributario successivo alla definizione di un accertamento con adesione, se il maggior reddito del contribuente risulti inferiore alle soglie quantitative di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a), già sulla base dell’accertamento svolto dall’Ufficio, l’illegittimità dell’atto amministrativo di accertamento, per la violazione dei limiti posti dalla legge all’esercizio della potestà accertativa dell’Amministrazione dopo la definizione di un accertamento con adesione, risulterà immediatamente dal testo dell’atto medesimo; al contrario, se il maggior reddito del contribuente risulti inferiore alle soglie quantitative di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a), solo all’esito del ridimensionamento del relativo ammontare operato dal giudice tributario nel giudizio di impugnativa dell’ atto amministrativo di accertamento, l’illegittimità di quest’ultimo non emergerà direttamente dal suo contenuto, ma dalla revisione giudiziale di tale contenuto.

La sentenza impugnata non è dunque incorsa nella violazione di legge lamentata dalla ricorrente.

Quanto alla censura relativa alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. – fondata sull’assunto che la Commissione Tributaria Regionale ha dichiarato l’illegittimità dell’atto impositivo, D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 2, comma 4, lett. a) ancorchè la relativa eccezione, avanzata dalla contribuente in primo grado, non sia stata dalla stessa riproposta nell’atto di appello e si dovesse quindi intendere rinunciata ex art. 346 c.p.c. – si osserva detta censura è inammissibile per carenza di autosufficienza.

La ricorrente si limita infatti a riferire che “la contribuente ha proposto appello alla Commissione Tributaria Regionale di Roma contestando nel merito la decisione senza peraltro insistere nell’eccezione di illegittimità dell’emissione di nuovi avvisi di accertamento in presenza dell’accertamento con adesione per gli anni 1995 e 1996” (pag. 2, righi 16-18, del ricorso) ma nel ricorso non vengono riportati – nè mediante trascrizione integrale, o dei passi salienti, nè mediante riepilogo, sintetico ma esaustivo – nè Fatto di appello della contribuente, nè la sentenza di primo grado (con particolare riguardo alle statuizioni di tale sentenza relative alle contestazioni avanzate dalla contribuente sulla sussistenza della potestà accertativa dell’Ufficio); il ricorso stesso risulta quindi del tutto carente delle precisazioni e dei riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale; da tanto consegue l’ inammissibilità della censura, come stabilito da questa Corte con le sentenze nn. 1170/2004 (“Se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente è il vizio di ultra o extrapetizione, è anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere-dovere è necessario, non essendo il predetto vizi rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale.”) 8575/2005, 9275/2005, 16245/2005.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensa le spese tra il Ministero e l’intimata.

Rigetta il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

Condanna l’Agenzia a rifondere all’intimata le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 per onorari, oltre Euro 100 per esborsi e spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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