Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11720 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. III, 05/05/2021, (ud. 06/11/2020, dep. 05/05/2021), n.11720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6760/2018 proposto da:

C.G.C., difeso dall’avv. DARIO D’ALESSIO;

– ricorrenti –

contro

LABOR LEGNO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAVIA 30,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PROIETTI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato STEFANO ARRIGO;

– controricorrenti –

e contro

CO.VI. DITTA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 56/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 12/01/2018.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 15 marzo 2001, C.G.C. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Nocera Inferiore, la Labor Legno S.p.A., dalla quale aveva acquistato il materiale per realizzare la pavimentazione dell’immobile di sua proprietà, nonchè la ditta Vi.Co., che aveva provveduto alla posa in opera del parquet;

lamentava la presenza di vizi, successivamente riscontrati a mezzo di accertamento tecnico preventivo e l’inidoneità del prodotto finale, chiedendo il risarcimento dei danni rappresentati dai costi per la rimozione del pavimento difettoso e per la posa in opera del nuovo materiale;

si costituiva la società convenuta Labor Legno eccependo la tardività della denunzia dei vizi e la nullità dell’accertamento tecnico e, nel merito, l’infondatezza della domanda. La ditta individuale restava contumace;

il Tribunale, con sentenza del 16 settembre 2010, accoglieva la domanda rilevando che dalla consulenza espletata emergevano i vizi e i danni lamentati dall’attore, con conseguente condanna dei convenuti al pagamento della somma di Euro 12.624;

avverso tale decisione proponeva appello la società Labor Legno, davanti alla Corte territoriale di Salerno. Si costituiva C. richiedendo la conferma della decisione di primo grado;

la Corte d’Appello, con sentenza del 12 gennaio 2018, accoglieva il motivo di impugnazione relativo all’accertamento delle cause principali dei danni, da individuarsi nella cattiva esecuzione della posa in opera del pavimento in legno, mentre la diversa trafilatura delle doghe aveva avuto una incidenza marginale (definita millimetrica). Sotto altro profilo il difetto contestato al fornitore dei materiali, rappresentato dalla diversa dimensione delle doghe, era immediatamente percepibile, con conseguente necessità di immediata denunzia dei vizi che, in relazione all’epoca della consegna, doveva ritenersi tardiva. Conseguentemente, in accoglimento della impugnazione, rigettava la domanda proposta da C.G. nei confronti della S.p.A. Labor Legno, confermando la decisione adottata nei confronti della ditta Vi.Co., con condanna dell’appellato al pagamento delle spese processuali;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione C.G.C. affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso Labor legno S.r.l. (già S.p.A.) illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio logico della decisione in quanto la Corte d’Appello, pur facendo propri gli elementi probatori acquisiti in sede di accertamento tecnico preventivo e di consulenza d’ufficio, non ne avrebbe tenuto conto ai fini della decisione. In particolare, in entrambi gli elaborati sarebbe stata evidenziata la non perfetta linearità delle doghe “sia pur in maniera millimetrica”. Nell’ipotesi di cosa venduta che presenti vizi non rilevabili attraverso un sommario esame, il termine per la denunzia degli stessi decorre dal momento della scoperta e quindi, quanto meno, dal deposito delle conclusioni dell’elaborato redatto in occasione dell’accertamento tecnico preventivo;

con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’omessa, errata, carente e insufficiente motivazione e la violazione delle norme in tema di soccombenza. Il giudice di appello, pur riconoscendo i vizi lamentati dal ricorrente, lo avrebbe comunque condannato alle spese del doppio grado di giudizio, adottando una decisione contraddittoria. In particolare, l’esclusione di responsabilità della S.p.A. Labor Legno non potrebbe produrre l’ulteriore effetto della condanna al pagamento delle spese a carico del C.;

il primo motivo è inammissibile perchè parte ricorrente ha erroneamente richiamato il disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte d’Appello di Salerno ha espressamente esaminato il fatto decisivo individuato dal ricorrente. Infatti, la Corte territoriale, con valutazione ragionevole e non sindacabile in questa sede, ha considerato il dedotto difetto di trafilatura, escludendone la rilevanza causale circa l’inidoneità ai sensi dell’art. 1490 c.c., comma 1, oltrechè riguardo al tema della decorrenza del termine per la denunzia ai sensi dell’art. 1495 c.c., che ragionevolmente viene ricondotto all’ipotesi di agevole scoperta del vizio al momento della consegna. In particolare, come evidenziato anche dallo stesso ricorrente, la Corte territoriale ha individuato la causa (quasi esclusiva) del danno nella non perfetta presa del collante al pavimento sottostante, mentre la “diversa trafilatura delle doghe” rientrava nei limiti di tolleranza del capitolato speciale d’appalto utilizzato per i lavori edili e, in quanto tale, escluderebbe ogni responsabilità della società Labor (il capitolato individua una tolleranza di 1,5%);

inoltre, con riferimento alla seconda parte dei rilievi, si richiede alla Corte di legittimità un’inammissibile rivalutazione del fatto, al fine di fondare un’affermazione di gravità dell’inadempimento e di differente decorrenza del termine per la denunzia dei vizi, che costituisce oggetto di valutazioni di merito, non sindacabili in sede di legittimità;

il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità. Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali la decisione è ritenuta erronea dal ricorrente. Poichè per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi, con i quali è esplicato, si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata. Tali ragioni debbono concretamente considerare le argomentazioni che la sorreggono e non possono prescindere da esse. Diversamente dovrà considerarsi nullo, per inidoneità al raggiungimento dello scopo, il motivo che non rispetti tale requisito. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (principio costante: si veda Cass. Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, ed in motivazione, Cass. S.U. n. 7074 del 2017 e da ultimo, n. 22478 del 24/09/2018);

nel caso di specie, la censura si riferisce alla violazione di norme di legge non individuate, prospettando una sorta di contraddittorietà tra il riconoscimento di taluni tra i vizi lamentati e la successiva condanna dell’appellato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. La doglianza, pertanto, difetta dell’individuazione delle argomentazioni del giudice di appello ritenute errate e delle norme violate. Al contrario, la Corte territoriale ha affermato che, poichè la diversa dimensione delle doghe, rientrava nei limiti di tolleranza, non poteva costituire un difetto. In ogni caso, trattandosi di un vizio evidente, C. era incorso nella decadenza prevista all’art. 1495 c.p.c.. Pertanto, ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza riguardo alla posizione della società Labor Legno, rispetto alla quale è stato escluso ogni profilo di responsabilità, confermando, invece, quella della ditta individuale che aveva provveduto alla posa in opera del materiale;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 6 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

 

 

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