Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11715 del 17/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/06/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 17/06/2020), n.11715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27512/2014 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AMITERNO

3, presso lo studio dell’Avvocato STEFANO NOTARMUZI, rappresentata e

difesa dall’Avvocato FEDERICO CINQUE.

– ricorrente –

contro

REGIONE ABRUZZO, in persona del legale rapp.te pt.;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 1521/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/12/2013 R.G.N. 22/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza n. 1521 del 2013 la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della pronuncia n. 284 del 2012 emessa dal Tribunale della stessa città, ha condannato la Regione Abruzzo a corrispondere a D.A. la somma di Euro 4.050,15 a titolo di differenze retributive per lo svolgimento delle superiori mansioni di cat. D1, quale responsabile della Segreteria del Vice Presidente del Consiglio Regionale dell’1.3.2007 fino al 19.1.2009, pur essendo inquadrata nella inferiore categoria C.

2. I giudici di secondo grado hanno rilevato che la D. aveva pienamente assolto all’onere della prova, su di lei gravante, in ordine alla dimostrazione dello svolgimento del dedotto rapporto di lavoro secondo modalità esecutive sussumibili nella definizione di cui alla cat. D idonee a condurre, in punto di fatto, al riconoscimento delle rivendicate differenze retributive; inoltre, hanno precisato che la dipendente aveva diritto, per le funzioni svolte, al riconoscimento delle maggiori indennità di posizione e di risultato, connesse al ruolo di responsabilità, mentre non aveva diritto alla indennità di assegnazione, di cui alla L.R. n. 18 del 2001, art. 10, comma 3, la quale era da ritenersi alternativa alla indennità di posizione e di risultato; hanno, quindi, concluso sul presupposto che la indennità di assegnazione fosse stata già percepita, che il relativo importo andasse sottratto da quello spettante a titolo di indennità di posizione e di risultato, così residuando dalla somma riconosciuta in primo grado esclusivamente la differenza di Euro 4.505,15 oltre interessi (Euro 14.205,46 – Euro 10.155,31).

3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione D.A. affidato a sei motivi, illustrati con memoria.

4. La Regione Abruzzo non ha svolto attività difensiva.

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per assoluta incoerenza della motivazione, per avere la Corte territoriale sostenuto – con un iter logico seguito decisamente claudicante – che dovesse essere detratta dal credito della esponente, perchè percepita e non cumulabile con l’indennità di posizione e di risultato prevista per la cat. D, l’indennità di assegnazione L.R. n. 18 del 2001, ex art. 10, non considerando che tale indennità era stata già detratta dal proprio credito dalla esponente, così decurtando due volte lo stesso importo.

2. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per contraddittorietà assoluta della motivazione, per avere la Corte di appello: a) riconosciuto che le due indennità erano alternative e non cumulabili; b) dato per pacifico che la dipendente avesse defalcato quanto percepito in applicazione della L.R. n. 18 del 2001, art. 18; c) affermato che la stessa indennità andava detratta una seconda volta, così sostanzialmente escluso la spettanza di entrambe le indennità, pur avendone affermato a alternatività.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non essere stato considerato che la indennità L.R. n. 18 del 2001, ex art. 10, proprio perchè era stata percepita e non era cumulabile con quella di posizione e di risultato che era l’unica ad essere stata richiesta con il ricorso introduttivo, era stata già detratta.

4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, della violazione e falsa applicazione della L. n. 18 del 2001, art. 18, comma 3, perchè la Corte di appello non ha, in sostanza, riconosciuto alcuna indennità, neanche in alternativa, in quanto, a fronte di una richiesta in cui il quantum della domanda era stato già ridotto in misura corrispondente all’importo della indennità di assegnazione di cui era stata eccepita la percezione, ha nuovamente sottratto dall’importo riconosciuto in primo grado (Euro 14.205,46) il medesimo importo.

5. Con il quinto motivo si eccepisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c., per ultra-petizione, per avere la Corte di appello, pur in presenza di accezioni cristallizzate nell’atto di costituzione di primo grado della regione Abruzzo, disposto una seconda decurtazione del quantum, decidendo ultra petita partium.

6. Con il sesto motivo si sostiene, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dal fatto, ignorato dalla Corte di merito, che il Tribunale aveva già preso atto della spontanea riduzione della domanda effettuata dalla esponente, che aveva già defalcato l’indennità L.R. n. 18 del 2001, ex art. 10, dal proprio credito, riducendolo da Euro 24.360,77 ad Euro 14.205,46.

7. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono fondati e determinano l’assorbimento della trattazione degli altri, riguardanti lo stesso punto della sentenza gravata ma con riguardo ad altri profili.

8. E’ opportuno precisare che, allorchè con il ricorso per cassazione è denunciato un error in procedendo per difetto della attività valutativa del giudice “a quo”, la Corte di cassazione deve decidere la questione mediante l’accesso diretto degli atti processuali, dichiarando se del caso la nullità della sentenza impugnata (Cass. n. 5971 del 2018) essendo giudice anche del fatto inteso in senso processuale (Cass. n. 24856 del 2006).

9. Orbene, nella fattispecie, devono evidenziarsi alcuni punti utili ai fini della decisione: a) l’originaria domanda della ricorrente, avendo riguardo al conteggio depositato, concerneva l’importo di Euro 24.360,77, reclamato a titolo di differenze retributive, 13 mensilità, indennità di posizione, e retribuzione di risultato; b) con le note difensive del 2/3 febbraio 2012, depositate giudice del lavoro di primo grado, la ricorrente ha testualmente specificato: “Per mero incidente di stampa, in tale conteggio non è stata inserita l’indennità L.R. n. 18 del 2001, ex art. 10, pari ad Euro 10.155,31, percepita dalla esponente quale dipendente di categoria C. Detratto tale importo dalla somma richiesta con il ricorso, residua comunque un credito di Euro 14.205,46: Il conteggio corretto viene allegato alle presenti difese (C)”; c) il Tribunale, all’ultima pagina della pronuncia, ha quindi affermato: “Il quantum della pretesa, quello originariamente indicato nel ricorso (Euro 24.360,77), è stato contestato dall’Amministrazione sulla base di un conteggio predisposto dalla stessa, riferito al medesimo periodo dal 1 marzo 2007 al 19 gennaio 2009, che però ha omesso di conteggiare il lasso temporale tra il 26 giugno 2008 e il 31 dicembre 2008, per cui, rieffettuati i calcoli dalla stessa ricorrente che, in effetti, ha riconosciuto la mancata detrazione dell’indennità di Euro 10.155,31, comunque percepita come categoria C, ha riquantificato il dovuto nell’importo di Euro 14.205,46, sulla base peraltro delle stesse voci retributive (stipendio base, 13^, indennità e retribuzione di risultato) evidenziate dalla Regione, importo al cui pagamento l’amministrazione dovrà essere condannata”.

10. A fronte di tale statuizione, la Corte di appello di L’Aquila, pronunciandosi sul terzo motivo di appello (pag. 10) riguardante proprio i rapporti tra la indennità di posizione e di risultato connessa alle funzioni superiori riconosciute e la indennità di assegnazione L.R. n. 18 del 2001, ex art. 10, comma 3, già percepita, premessa l’alternatività tra le due indennità e lo svolgimento, da parte della D. delle funzioni di responsabilità, ha testualmente precisato: “Ne consegue che, pur se in prime cure la parte appellata ha provveduto a detrarre dal conteggio esplicativo l’importo di Euro 10.155,31 ivi indicato a titolo di indennità L.R. 9 maggio 2001, n. 18, ex art. 10, comma 3 (cfr. pag. 14 note difensive depositate il 3.2.201), deve rilevarsi che costituisce circostanza incontestata che lo stesso è stato già percepito dalla lavoratrice. Pertanto, stante la già evidenziata incumulabilità dell’indennità L.R. 9 maggio 2001, n. 18, ex art. 10, comma 3 (che presuppone il mancato espletamento di funzioni di responsabilità dell’ufficio) con le “indennità di posizione e di risultato” (che invece tali finzioni presuppongono), la sentenza impugnata va riformata nel punto in cui ha liquidato le predette indennità (“di posizione e di risultato”) senza detrarre l’importo di Euro 10.155,31 (già pacificamente percepito dalla lavoratrice a titolo di indennità L.R. 9 maggio 2001, n. 18, ex art. 10, comma 3)”.

11. Ciò premesso, rileva il Collegio che la motivazione dei giudici di seconde cure presenta profili di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, che determinano la nullità della sentenza (Cass. n. 8053/2014; Cass. n. 21257/2014) perchè, se alla ricorrente per il periodo in contestazione spettava la indennità di posizione e di risultato e, dall’importo di tutte le pretese avanzate in sede di conclusioni di prime cure, aveva sottratto la somma già percepita a titolo di indennità L.R. n. 18 del 2001, ex art. 10, comma 3, pacificamente incompatibile e di entità inferiore rispetto alla prima, non è chiaro perchè la Corte di merito, diversamente da quanto affermato dal Tribunale, abbia nuovamente detratto l’importo di Euro 10.155,31, corrisposto appunto a titolo di indennità ex art. 10, comma 3 L.R. citata, sul presupposto che fosse stato già percepito, dal quantum complessivo richiesto dall’originaria ricorrente.

12. Non è possibile, infatti, comprendere l’iter decisionale ravvisandosi nella sentenza affermazioni oggettivamente contrastanti che impediscono di discernere le ragioni della ulteriore sottrazione della somma di Euro 10.155,31, da quanto già riconosciuto alla dipendente in prime cure come da sua richiesta già depurata di tale ammontare.

13. Alla stregua di quanto esposto, la gravata sentenza, previa declaratoria di nullità, deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, assorbiti gli altri, e la causa va rinviata, per una nuova valutazione sul punto oggetto dei motivi medesimi, alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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