Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11715 del 13/05/2010

Cassazione civile sez. I, 13/05/2010, (ud. 15/04/2010, dep. 13/05/2010), n.11715

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – rel. Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13670/2005 proposto da:

A.G. (c.f. (OMISSIS)), anche nella qualità di

procuratore speciale di AM.GI., A.M.T.,

A.P., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA NAVIGATORI

11, presso il Dott. BARBATO COSMO, rappresentati e difesi

dall’avvocato FEDELE Pasquale, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI AVELLINO (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3,

presso l’avvocato SANDULLI MICHELE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PIONATI Serafino Carlo, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1247/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 14/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

15/04/2010 dal Presidente Dott. PAOLO VITTORIA;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato PIONATI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – A.G., in proprio e quale procuratore speciale di Am.Gi., insieme a M.T. e A.P. hanno proposto contro il Comune di Avellino una domanda di condanna a rimuovere dei prefabbricati installati su un fondo di loro proprietà, che era stato oggetto di requisizione in loro danno, requisizione poi trasformata, in base alla L. 18 aprile 1980, n. 84, in occupazione preordinata alla espropriazione.

Con la stessa citazione, notificata il 21.7.1994, hanno chiesto che il Comune fosse condannato a restituire il terreno e altrimenti a risarcire il danno loro derivato dalla trasformazione del fondo.

2. – Il tribunale ha dichiarato essere intervenuta la irreversibile trasformazione del fondo; ha rigettato la domanda di restituzione ed accolto quella di risarcimento del danno, che ha liquidato in base al D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 7 bis, conv. in L. 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3,comma 65; ha altresì accolto la domanda relativa all’indennità di occupazione ed al risarcimento del danno da illecita protrazione dell’occupazione per il periodo successivo all’entrata in vigore della L. 18 aprile 1984, n. 80.

3. – La corte d’appello ha confermato la decisione di primo grado, con sentenza del 14.4.2004.

4. – Le parti private l’hanno impugnata con ricorso notificato il 27.5.2005, cui il Comune ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene un motivo.

Restano in contestazione due punti: se si sia avuta o meno occupazione acquisitiva a favore del Comune di Avellino; se incombesse al Comune l’obbligo del pagamento dell’indennità di occupazione anche per il periodo anteriore all’entrata in vigore della L. n. 80 del 1984, e perciò per il periodo 1981 – 1984.

2.1. – Il motivo denunzia vizi di violazione di norme di diritto e di difetto di motivazione (art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 934 cod. civ., e segg., quanto all’accessione;

alla disciplina delle espropriazioni per pubblica utilità di cui alla L. n. 2359 del 1865 e L. n. 865 del 1971, quanto all’istituto della c.d. accessione invertita; all’art. 2043 cod. civ. e della L. n. 2359 del 1865, art. 39, nonchè alla L. n. 80 del 1984, art. 6 in relazione all’art. 2043 cod. civ., alla L. n. 2359 del 1865, art. 39 ed alla L. n. 865 del 1971).

2.2. – I ricorrenti svolgono questa prima serie di argomenti.

Gli esiti dell’istruttoria consentivano di escludere che nella specie l’istituto dell’accessione invertita si potesse applicare:

hanno infatti confermato che il fondo era stato oggetto di istallazioni provvisorie temporanee, asportabili, cosa confermata del resto, dal fatto che il Comune, in pendenza della causa, aveva provveduto a smontarle e rimuovere.

Richiamano nel ricorso il contenuto di due documenti: un atto di cessione alla diocesi di Avellino di altra parte del fondo invece espropriata; il passo contenuto nella Delib. n. 57 del 2001 del consiglio comunale di Avellino – riportato nel ricorso – del seguente tenore: – “.. nella permuta dell’area è sorto un problema per la particella, in cui insisteva il prefabbricato (OMISSIS). Particella che si pensava fosse già del Comune essendoci una scuola ma, in realtà non è stata mai espropriata ed è di un privato, che sta facendo legalmente tutelare i suoi interessi da un parente avvocato che, ogni volta, alza le pretese non consentendo la chiusura della pratica”.

Concludono perciò che da un lato non si è potuta produrre una irreversibile trasformazione, dall’altro l’opera è comunque venuta meno.

Sotto ambedue gli aspetti il motivo è infondato.

La Corte osserva che la definitiva espropriazione delle aree requisite per l’installazione di insediamenti provvisori a seguito del terremoto del 1980 (L. 14 aprile 1984, n. 80, art. 6) ha dato luogo ad un contenzioso, nell’ambito del quale si è altre volte discusso e con vario esito delle modalità e degli effetti delle trasformazioni indotte dalle sistemazioni operate sui terreni occupati (Cass. 29.5.2009 n. 12504; 15.5.2008 n. 12307; 4.4.2008 n. 8781).

Nel caso è in discussione un solo profilo del fenomeno della occupazione acquisitiva: quello della avvenuta trasformazione del suolo privato, occupato per la costruzione dell’opera, per la cui realizzazione è stato iniziato, senza portarlo a compimento, un procedimento di esproprio.

Che la costruzione di un edificio – adibito a servizi pubblici, nella specie a ricevere un istituto di istruzione professionale – sia fatta con la tecnica della installazione di prefabbricati, anzichè con quella dell’edificazione, è circostanza irrilevante al fine di stabilire se si sia o no prodotto il fenomeno dell’accessione.

Questa non è esclusa dalla separabilità delle opere nè dalla loro temporaneità.

La caratterizza invece una infissione di carattere stabile, volta a durare quanto l’opera, che si accompagna di necessità alla esecuzione sul terreno di modifiche che ne alterano modo d’essere e condizioni di uso.

Ciò detto in diritto, la valutazione dei fatti spetta al giudice di merito.

Le circostanze allegate nel ricorso non la rivelano viziata, perchè, come ha osservato la corte d’appello, la successiva rimozione dell’opera non esclude che la precedente realizzazione vi sia stata e possa avere richiesto installazione di servizi e sistemazioni delle aree vicine, mentre i documenti richiamati dalle parti denunziano piuttosto l’esistenza, fuori del giudizio, dello stesso dissenso tra le parti, che ha dato causa al processo, sugli effetti di tale attività di manipolazione del terreno occupato.

2.3. – Proseguono i ricorrenti – sul secondo punto indicato all’inizio – “che l’intervenuta normativa di cui alla L. n. 80 del 1984, art. 6 non consente di escludere la responsabilità per il danno provocato dall’occupazione, che va dal febbraio 1981 al gennaio 1984, in testa al Comune che ha posto in essere, gli atti adottati dallo stesso Comune, legittimato passivamente per il risarcimento dei danni causati agli attuali ricorrenti”.

Anche questo secondo argomento è infondato.

Sul punto la Corte si è già pronunciata con la sentenza 13 luglio 2000 n. 488 delle sezioni unite e poi con la sentenza 24 luglio 2000 n. 9695 di questa sezione, nel senso affermato nella decisione impugnata, secondo il quale per il periodo anteriore alla legge 80 debitore dell’indennità di occupazione era il Ministero per il coordinamento della protezione civile, su delega del quale il comune aveva operato la requisizione: agli argomenti lì svolti la Corte si può richiamare, perchè nel ricorso non sono stati formulati al riguardo argomenti critici nè la Corte ne rinviene.

3. – Il ricorso è rigettato.

4. – Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.700,00 – due mila dei quali per onorari di avvocato – oltre al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010

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