Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11711 del 27/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/05/2011, (ud. 09/02/2011, dep. 27/05/2011), n.11711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14872-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

S.A.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA

BORGHESANO LUCCHESE 29, presso lo studio dell’avvocato PETRUCCIANI

GIUSEPPE, rappresentato e difeso dagli avvocati CIMA ANGELO WALTER,

COLUCCI PIETRO con Studio in CAMPOBASSO TRAV. VIA ZURLO 8, (avviso

postale), giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 43/2005 della COMM. TRIB. REG. di CAMPOBASSO,

depositata il 24/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIORENTINO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per la remissione atti al 1^

Giudice.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 24.3.2005 la commissione tributaria regionale del Molise, pronunciando nella controversia insorta tra S. A.A. e l’agenzia delle entrate di Campobasso, avente a oggetto l’impugnativa di due avvisi di accertamento per Irpef e Ilor, rispettivamente concernenti gli anni d’imposta 1988 e 1989, dichiarava improponibile l’appello dell’amministrazione finanziaria avverso la sentenza 221/03/2001 della commissione tributaria provinciale di Campobasso, interamente favorevole al contribuente. La commissione regionale dava atto che con i suddetti avvisi erano stati rettificati: (a) il reddito d’impresa (rectius di partecipazione) del S. quale socio della s.n.c. Supermercato Uno,- (b) il reddito d’impresa del medesimo in quanto imprenditore individuale, conseguente ad altra attività (di rivendita di elettrodomestici) esercitata in proprio.

Sulla premessa che la società aveva impugnato gli avvisi a essa notificati, affermava che, quanto al reddito d’impresa, l’amministrazione aveva notificato a S. apposite cartelle esattoriali. Su gravame dell’intimato, i relativi ricorsi erano stati peraltro definitivamente accolti in sede regionale, per entrambe le annualità 1988 e 1989, con sentenza 146/2/99 – divenuta irrevocabile -, sul rilievo della mancata previa notifica di avvisi di accertamento. L’attuale controversia era attinente ad avvisi di accertamento nuovamente notificati dall’amministrazione finanziaria in data 7.12.1996.

Tanto considerato, la commissione regionale riteneva che gli avvisi de guibus dovevano considerarsi, da un lato, tardivi, in quanto notificati in violazione del termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e dall’altro giuridicamente inesistenti in ragione della preclusione derivata dal precedente giudicato sulla medesima questione. Per la cassazione di questa sentenza – non notificata -ricorre l’agenzia delle entrate articolando due motivi, ai quali l’intimato resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente denunzia, come violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e come vizio di motivazione, l’errore in cui è incorso il giudice tributario nel ritenere che la questione sottoposta al suo esame fosse nella specie identica – tanto da risultare preclusa – a quella decisa con l’anteriore sentenza 146/99.

Con il secondo denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 nonchè dell’art. 57, comma 2, della L. n. 413 del 1991, con riferimento alla ritenuta tardività della notifica dei ripetuti avvisi di accertamento, non avendo il giudice tributario considerato che, merce la seconda delle citate disposizioni, il termine per l’accertamento era stato prorogato di due anni.

2. – I motivi, che, per la stretta loro connessione, possono essere dal collegio esaminati congiuntamente, inducono a formulare le considerazioni che seguono.

L’esposizione dei fatti, dalla ricorrente svolta a premessa del suo ricorso, non risultando smentita dal controricorso, integra lo svolgimento desumibile dalla sentenza, rendendone maggiormente intelligibile il presupposto.

In particolare la ricorrente evidenzia che (i) per l’anno 1988 venne rettificato sia il reddito di partecipazione di S. nella s.n.c. Supermercato Uno, sia il reddito d’impresa individuale, (ii) per l’anno 1989, invece, venne rettificato solo il reddito d’impresa individuale.

Simile premessa, per quanto detto non contrastata, può ritenersi acquisita, e impone doversi giuridicamente distinguere la (soluzione della) problematica concernente l’accertamento del reddito d’impresa individuale da quella invece concernente l’accertamento del reddito di partecipazione.

III. – Quanto al reddito d’impresa non si ha difficoltà a condividere, sebbene con le precisazioni di cui infra, quanto sostenuto dall’amministrazione ricorrente.

Difatti è errata la valutazione offerta dalla commissione regionale a proposito dell’intervenuta decadenza del potere accertativo in ragione del disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43.

La commissione ha giustamente ritenuto che, per le dichiarazioni. dei redditi presentate anteriormente al 1.1.1999 (come quelle che qui rilevano), l’art. 43 stabiliva che gli avvisi di accertamento dovessero essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui fosse stata presentata la dichiarazione.

Invero, nel testo dell’art. 43, le originarie parole “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo” sono state sostituite con quelle attualmente rinvenibili (“entro il 31 dicembre del quarto anno successivo”) solo del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, ex art. 15 con effetto per le dichiarazioni dei redditi presentate a decorrere dal 1.1.1999.

Ma non ha considerato che, a sua volta, il ridetto termine di decadenza (quinquennale o quadriennale, a seconda – come chiarito – della data di presentazione della dichiarazione dei redditi oggetto di accertamento e rettifica) dovevasi considerare prorogato di due anni ai sensi della L. n. 413 del 1991, art. 57, comma 2, giacchè, con riguardo a entrambe le annualità 1988 e 1989, i termini per l’accertamento non erano scaduti alla data del 31.12.1991, così essendo consentito all’interessato di presentare la dichiarazione integrativa.

Consegue – in tal senso dovendosi correggere l’errore al riguardo rinvenibile finanche nelle affermazioni della ricorrente – che, alla data di avvenuta notifica dei rinnovati avvisi di accertamento (7.12.1996), l’amministrazione non era affatto decaduta dalla potestà accertativa prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43.

Con riguardo al periodo d’imposta 1988, il termine di decadenza andava invero a scadere al 31.12.1996 (rilevando la data del 31 dicembre del settimo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi 1989); e, con riguardo al periodo d’imposta 1989, il termine di decadenza andava a scadere al 31.12.1997 (rilevando la data del 31 dicembre del settimo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi 1990). Nè – e ciò dicesi condividendo quanto dalla ricorrente opposto col primo mezzo – la ripetuta potestà di accertamento potevasi ritenere preclusa dall’anteriore giudicato sulle cartelle di pagamento. E’ sufficiente al riguardo il rilievo che dalla sentenza risulta che le cartelle vennero annullate per un vizio procedurale derivato dall’omessa notifica dell’atto presupposto. Il quale invero comporta la nullità dell’atto consequenziale (v. per tutte sez., un. 2007/16412, sez. un. 2008/5791).

Per cui nessun effetto preclusivo potevasi razionalmente far discendere da una simile statuizione rispetto alle ragioni poste al fondo della potestà impositiva, non essendo tali ragioni comprese nel dedotto dell’azione di annullamento delle cartelle (e quindi nell’oggetto di quel processo), nè tantomeno (per quanto sì apprende dall’impugnata sentenza) nel decisum.

4. – L’impugnata sentenza va dunque cassata, stante la fondatezza dei motivi di ricorso, con riguardo alla statuizione adottata in relazione al reddito d’impresa, e la Corte, non. essendo necessario procedere a ulteriori accertamenti di fatto, può decidere nel merito della regiudicanda, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rigettando l’originario ricorso avverso gli avvisi di accertamento.

5. – Lo stesso non può farsi quanto alla rettifica del reddito di partecipazione, ai fini Irpef e Ilor, relativo al 1988.

In parte qua, invero, la sentenza è nulla per violazione dell’integrità del contraddittorio conseguente al fatto di essere stata pronunciata con la sola partecipazione del socio S., sebbene in fattispecie di litisconsorzio unitario originario tira il socio (del cui reddito di partecipazione si discorre) e la s.n.c. Supermercato Uno.

Siffatto rilievo comporta – d’ufficio – la cassazione della sentenza con. rinvio al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3, per essere stata la sentenza pronunciata senza la presenza dei restanti litisconsorti (i soci e la società) (sez. un. 2008/14815).

Pur vero essendo che, nel processo tributario, la nozione di litisconsorzio necessario, quale emergente dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 configura una fattispecie autonoma rispetto a quella del litisconsorzio necessario di cui all’art. 102 c.p.c. – essendo nel processo speciale positivamente indicati, in ragione dell’oggetto del ricorso (nello specifico nesso tra l’atto impositivo e i motivi di impugnazione), i presupposti di inscindibilità della causa (cfr.

sez. un. 2007/1052, ma anche sez. un. 2007/22523) -, la relativa violazione resta assimilabile a quella relativa al disposto ex art. 102 c.p.c., per la quale è acquisita la rilevabilità d’ufficio finanche in cassazione (per tutte Cass. 2008/6381).

Attesa la violazione del disposto D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 14 il riscontro della nullità del giudizio di primo grado, per la quale il giudice d’appello avrebbe dovuto (art. 56, comma 1, lett. b), stesso D.Lgs.) rimettere la causa alla commissione provinciale, impone la cassazione della sentenza, in parte qua ex art. 383 c.p.c., comma 3, con rinvio a quest’ultima commissione.

Il giudice del merito provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso con riguardo all’accertamento del reddito d’impresa per gli anni 1988 e 1989,- cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito in parte qua, rigetta l’originaria impugnazione avverso gli atti impositivi;

cassa altresì l’impugnata sentenza per quanto attiene alla rettifica del reddito di partecipazione di cui all’avviso di accertamento per l’anno 1988, e rinvia, alla commissione tributaria provinciale di Campobasso anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 9 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2011

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