Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11711 del 17/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/06/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 17/06/2020), n.11711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18474/2016 proposto da:

L.R., domiciliata in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

CARLO CONGEDO;

– ricorrente –

contro

WORLDPHONE S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, MA.SA.LA. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE,

FINMEDIA HOLDING S.P.A. (già D.G. S.p.a., già D.G.

S.r.l.), D.G.G. e D.G.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 176/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 22/07/2015 R.G.N. 253/2014.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte di Appello di Potenza, con sentenza del 22 luglio 2015, premesso che L.R. aveva convenuto in giudizio innanzi al locale Tribunale “i sigg. D.G.R. e D.G.G., la società D.G. spa ed ancora Worldphone srl e MA.SA.LA. srl chiedendo dichiararsi che tra essa ricorrente ed i “datori di lavoro” era intercorso un rapporto lavorativo dal 28/5/2000 al 7/7/2005″, ha respinto l’appello della lavoratrice avverso la pronuncia di primo grado che aveva rigettato il ricorso per “carenza di prova in ordine allo svolgimento da parte della ricorrente di lavoro subordinato alle dipendenze di alcuno dei resistenti”;

2. la Corte ha considerato come la soccombente avesse richiesto “la condanna al pagamento delle differenze retributive “indifferentemente” a danno di D.G.G. e D.G.R. “ovvero delle società appellate”, evidentemente presupponendo l’esistenza di un unico datore di lavoro, senza tuttavia indicarlo nè specificare le ragioni o gli indici presuntivi dell’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro”; ha quindi aggiunto che “evocando – peraltro in maniera implicita – l’esistenza di un collegamento economico-funzionale tra imprese, individuali e societarie, asseritamente facenti capo alle medesime persone fisiche (i fratelli D.G.), la lavoratrice non ha in alcun modo provato la sussistenza di una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente con 4 motivi, mentre non hanno svolto attività difensiva gli intimati.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione della norma di cui all’art. 112 c.p.c.”, sostenendo che “il convincimento della Corte di Appello secondo cui la ricorrente avrebbe presupposto la sussistenza di un unico datore di lavoro cui imputare la titolarità (passiva) del rapporto” risulterebbe “privo di alcun supporto processuale”, atteso che la domanda, sia in primo che in secondo grado, sarebbe stata finalizzata all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato “in via principale tra la ricorrente e i sigg.ri D.G.G. e D.G.R., e, in via subordinata, tra la ricorrente e le società D.G. srl e Worldphone sri”;

2. il motivo non può trovare accoglimento;

con esso si contesta l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale della originaria domanda, poi riproposta in appello;

si tratta di interpretazione della domanda e dei suoi confini che è competenza del giudice del merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 21784 del 2015, Cass. n. 18 del 2015, Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 12944 del 2012; Cass. n. 21208 del 2005); ancora di recente si è ribadito che nel giudizio di legittimità va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito: nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c.; nel secondo caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità si pone solo una questione di correttezza della motivazione (Cass. n. 30684 del 2017);

per di più parte ricorrente neanche riporta i contenuti testuali degli atti processuali rilevanti nel corpo del ricorso (atto introduttivo del giudizio e appello), limitandosi ad una sintesi (mentre l’interpretazione non può prescindere da una valutazione del complesso degli atti), in tal modo precludendo a questa Corte qualsiasi possibile delibazione in limine litis della questione, atteso che non è sufficiente che l’interpretazione offerta dai giudici di appello alle domande di cui al ricorso non corrisponda alle attese della parte per determinare la cassazione della sentenza impugnata, ove la pronuncia sia sorretta – come nella specie – da adeguata motivazione (cfr. Cass. n. 14650 del 2012; Cass. 22893 del 2008; Cass. n. 14751 del 2007); anzi, parte ricorrente comunque ammette che l’accertamento del rapporto di lavoro subordinato era stato richiesto quanto meno nei confronti di almeno due soggetti di diritto diversi, il che pone comunque la questione della “co-datorialità” richiamata dalla giurisprudenza di questa Corte che l’Appello di Potenza ha posto a fondamento della sua decisione;

3. il secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, della norma di cui all’art. 2697 c.c.”, assumendo che “l’evidente error in procedendo compiuto dalla Corte di Appello nell’aver qualificato la domanda introduttiva in modo completamente avulso dal thema decidendum” avrebbe determinato la violazione della disposizione codicistica richiamata; per connessione deve essere esaminato anche il quarto mezzo, con cui si lamenta “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa motivazione”, argomentando che il presupposto da cui si sarebbe mosso il giudice di secondo grado circa il “difetto assoluto e non rimediabile dell’individuazione del soggetto passivo della pretesa creditoria azionata” sarebbe “completamente avulso dall’impianto processuale”;

4. il mancato accoglimento del primo motivo rende inammissibili anche i motivi ora richiamati che si fondano sull’assunto che la Corte di appello avrebbe errato ad interpretare la domanda, interpretazione che, invece, ha superato il vaglio di legittimità per le ragioni dette, così logicamente travolgendo le censure contenute nel secondo e nel quarto motivo di ricorso;

5. con il terzo motivo si denuncia “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5 (con riferimento a prove documentali, prove testimoniali e fatti non contestati)”;

6. il motivo è inammissibile;

con esso si sollecita una rilettura delle risultanze probatorie chiaramente preclusa a questa Corte di legittimità, in quanto si travalicherebbero i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), principi di cui parte ricorrente non tiene adeguato conto;

7. conclusivamente il ricorso va respinto; nulla per le spese in difetto di attività difensiva degli intimati;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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