Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1171 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. III, 21/01/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 21/01/2020), n.1171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29386/2017 proposto da:

S.G., SA.GI., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA FERA,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE LANZILLOTTA;

– ricorrenti –

contro

V.E., UNIPOL SAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1328/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 14/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2019 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato in data 2 ottobre 2001 Sa.Gi. e S.G. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Bari – sezione distaccata di Monopoli l’avv. V.E.. Esposero gli attori che, nonostante i loro genitori avessero conferito al convenuto incarico professionale al fine di ottenere il risarcimento per il danno subito a seguito del sinistro stradale cagionato nel (OMISSIS) da Vi.On. alla guida di autovettura di proprietà di M.A.M. e priva di copertura assicurativa, il professionista non aveva tempestivamente promosso l’azione civile, dopo l’estinzione per amnistia del reato commesso dal conducente, con prescrizione del diritto. Chiesero quindi la condanna del convenuto al risarcimento del danno. Al giudizio venne riunito quello promosso dal V. nei confronti di SAI Assicurazioni s.p.a.. Il Tribunale adito con sentenza parziale rigettò la domanda. Avverso detta sentenza proposero appello i germani S.. Con sentenza di data 14 settembre 2017 la Corte d’appello di Bari rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale che il V. si era attivato sia nei confronti del conducente (incardinando il giudizio penale) sia nei confronti della proprietaria (ottenendo da quest’ultima cinque dichiarazioni di riconoscimento di responsabilità), sia ancora nei confronti del Fondo di garanzia e che la responsabilità professionale si sarebbe potuta addebitare soltanto nell’ipotesi di accertamento della prescrizione con sentenza passata in giudicato, cosa che non si era verificata perchè gli appellanti, dopo la revoca dell’incarico, avevano preferito desistere dal promuovere il giudizio nei confronti del responsabile e del Fondo. Aggiunse che correttamente era stata ravvisata dal Tribunale nell’ultima dichiarazione della M. la rinuncia alla prescrizione, potendo ravvisarsi la rinuncia nell’atto dichiarativo di debito o promessa di pagamento riscontrabile nella dichiarazione del 24 febbraio 1999, e che sempre correttamente il Tribunale aveva ritenuto ammissibili e rilevanti le ricognizioni di debito sottoscritte dalla M. dato che le scritture private provenienti da terzi costituiscono prove atipiche il cui valore è meramente indiziario e possono quindi contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo (Cass. Sez. U. n. 15169 del 2010). Osservò inoltre che gli effetti della rinuncia alla prescrizione si estendevano al Fondo di garanzia. Osservò infine che stante l’infondatezza dei precedenti motivi di appello era da ritenere assorbito il motivo relativo all’affermazione del Tribunale secondo cui la prescrizione maturata nei confronti del conducente non era fonte di alcun danno essendo costui impossidente e quindi non in grado economicamente di risarcire il danno.

Hanno proposto ricorso per cassazione Sa.Gi. e S.G. sulla base di sei motivi. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

va premesso che è stata depositata attestazione di conformità della sentenza impugnata (cfr. Cass. Sez. U. 25 marzo 2019, n. 8312).

Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,1218,2043 e 2236 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5. Osservano i ricorrenti, con riferimento all’erronea affermazione secondo cui i S. avrebbero dovuto in primis conseguire un giudicato di accertamento della prescrizione, che il danno di cui era stato richiesto il risarcimento era costituito dalla perdita di chance, della possibilità cioè di conseguire il vantaggio economico, sicchè il giudice doveva esaminare se fosse stata dimostrata la ragionevole probabilità di verificazione della chance.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2704 c.c., artt. 115,116 e 184 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osservano i ricorrenti che la dichiarazione della M. del 24 febbraio 1999 era per la prima volta apparsa in sede di costituzione del V. nel giudizio di primo grado e che era stata disconosciuta la provenienza ed autenticità delle dichiarazioni della proprietaria, mentre il V., su cui incombeva il relativo onere, non aveva chiesto la testimonianza della M. al fine di acclarare la provenienza delle scritture. Aggiungono che il giudice di appello, richiamando la pronuncia della Corte di Cassazione, ha affermato che le dichiarazioni in discorso hanno valore meramente indiziario e possono contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo, ma non si comprende a quali altri elementi probatori la corte territoriale abbia fatto riferimento, non avendo richiamato la decisione impugnata altri dati che potessero confermare la valenza indiziaria delle ricognizioni di debito.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1309,1310,1988,2054,2697,2704 e 2944 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osservano i ricorrenti che non si sarebbe potuto agire nei confronti del Fondo garanzia, avendo quest’ultimo disatteso la richiesta formulata dal professionista per essere prescritto il relativo diritto, e che non erano state valorizzate le dichiarazioni testimoniali dei genitori degli attori, dalle quali emergeva la confessione stragiudiziale del V.. Aggiungono che la ricognizione di debito avrebbe potuto fare ingresso nel giudizio se proveniente dalla parte e non da un terzo estraneo alla lite.

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2937 c.c., artt. 115,116 e 184 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osservano i ricorrenti che non è evincibile alcuna consapevolezza della M. circa la volontà di rinunciare alla prescrizione del diritto vantato dai S., nè il V., su cui incombeva il relativo onere, aveva chiesto la testimonianza della M. al fine di acclarare l’esistenza della detta rinuncia e che la motivazione della sentenza in ordine all’asserita rinuncia in discorso è insufficiente.

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2735 e 2733 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osservano i ricorrenti che, anche se corrispondesse al vero che l’azione non si era prescritta, non si comprende perchè l’azione giudiziaria non sia stata proposta dal professionista e che dalla testimonianza dei genitori emerge la confessione stragiudiziale che il V. nel febbraio 2001 ebbe a fare a costoro dichiarando di essersi dimenticato di introdurre il giudizio e di avere fatto prescrivere il diritto risarcitorio, sicchè, stante l’efficacia di piena prova della confessione, doveva ritenersi preclusa ogni ulteriore indagine istruttoria, prevalendo la detta confessione sulle asserite ricognizioni di debito.

Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1309,1310,2054,2697,2740 e 2909 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osservano i ricorrenti che si è formato il giudicato interno sull’affermazione del giudice di primo grado secondo cui all’epoca della revoca dell’incarico al professionista si era già prescritto il diritto nei confronti del Vi. e che illegittimamente vi era stata la dichiarazione di assorbimento in ordine al motivo di appello nei confronti del Vi. posto che quest’ultimo ai sensi dell’art. 2740 c.c., risponde con tutto il suo patrimonio presente e futuro, sicchè irrilevante è la circostanza di un’attuale impossidenza del Vi..

Il secondo motivo è fondato per quanto di ragione. Il giudice di appello ha affermato, richiamando l’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, che le dichiarazioni del terzo sono suscettibili di integrare il fondamento della decisione nel concorso di altri elementi che ne confortino la credibilità e l’attendibilità. Non ha però, come si rileva nel motivo di ricorso, indicato quali fossero gli ulteriori elementi probatori tali da corroborare la credibilità ed attendibilità delle dette dichiarazioni. Con il rilevare che non si comprende a quali altri elementi probatori la corte territoriale abbia fatto riferimento la censura, al di là di quanto risultante dalla rubrica del motivo, è da valutare per il suo obiettivo contenuto nei termini della denuncia della motivazione apparente. Ed invero la motivazione non è in grado di esplicitare le ragioni della decisione per essere obiettivamente incomprensibile a quali altri elementi la corte territoriale abbia fatto riferimento per fondare il proprio convincimento. Peraltro trattasi di profilo integrante la ratio decidendi in quanto l’avere imputato alla desistenza della stessa parte le lamentate conseguenze pregiudizievoli (desistenza che avrebbe impedito di configurare il presupposto della responsabilità professionale costituito dal giudicato di accertamento della prescrizione) discende dalla premessa rappresentata dalle cinque dichiarazioni di riconoscimento di responsabilità provenienti dalla proprietaria del veicolo. La motivazione è quindi apparente proprio al livello della premessa iniziale dell’argomentazione della corte territoriale relativa alla ratio decidendi. Risulta così violato l’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Per il resto le censure appaiono inammissibili, non essendo comprensibile la censura nella parte in cui si denuncia la produzione in sede di costituzione in primo grado della dichiarazione della M. del 24 febbraio 1999 (produzione evidentemente tempestiva) e l’intervenuto disconoscimento delle scritture, stante la qualifica di queste ultime in termini di elemento indiziario.

L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento di primo, quarto e sesto motivo.

Il terzo e quinto motivo, da valutare unitariamente, sono inammissibili. La censura contenuta nel terzo motivo è incomprensibile nella parte in cui deduce quale fatto impeditivo alla proposizione del giudizio la mancata adesione del Fondo di garanzia alla richiesta formulata dal professionista, non potendo naturalmente il detto rifiuto precludere l’accertamento giurisdizionale della legittimità della pretesa. Incomprensibile è anche il riferimento ai limiti dell’ingresso in giudizio della dichiarazione del terzo, posto il valore indiziario conferito alla medesima da parte del giudice di merito. Anche il richiamo all’inizio del quinto motivo alla non chiarezza delle ragioni per le quali il giudizio non sarebbe stato promosso dal professionista, ipotizzando la non prescrizione del diritto, non appare comprensibile, proprio alla luce del fatto costitutivo dell’originaria domanda, rappresentato dall’inadempimento del V. al dovere di diligenza professionale.

Venendo alla questione della confessione stragiudiziale, la censura difetta di specificità perchè non risulta indicato se, avendo raggiunto all’epoca della dedotta confessione stragiudiziale i germani S. la maggiore età, coloro ai quali sarebbe stata indirizzata la dichiarazione di contenuto confessorio (i genitori dei medesimi S.) avessero la qualità di rappresentanti della parte, ovvero che il confitente li considerasse agire per la parte cui la confessione sarebbe stata diretta (cfr. art. 2735 c.c., comma 2). La confessione fatta al terzo resta, in mancanza di tale decisiva specificazione, liberamente apprezzabile dal giudice e dunque non ha l’efficacia di piena prova indicata nel motivo di censura.

E’ appena il caso di aggiungere che non sarebbe configurabile quale oggetto della dichiarazione confessoria l’effetto della prescrizione del diritto, in quanto la qualificazione giuridica del fatto esula dall’ambito della confessione, la quale può avere ad oggetto solo circostanze obiettive e non già giudizi (fra le tante Cass. 6 agosto 2003, n. 11881).

P.Q.M.

accoglie per quanto di ragione il secondo motivo, con assorbimento di primo, quarto e sesto motivo, dichiarando inammissibile per il resto il ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Bari in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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