Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1171 del 21/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1171 Anno 2014
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

Disciplinare
professioni sanitarie

sul ricorso proposto da:
RIVA Fabrizio (RVI FRZ 59P29 A794N), rappresentato e
difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dagli
Avvocati Roberto Marinoni e Giuseppe Valvo, presso
quest’ultimo, in Roma, via Silvio Pellico n. 24,
elettivamente domiciliato;
– ricorrente contro
ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E ODONTOIATRI DELLA PROVINCIA
DI MONZA E BRIANZA;
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI MONZA;
MINISTERO DELLA SALUTE;
– intimati –

– 1 –

Data pubblicazione: 21/01/2014

avverso la decisione della Commissione Centrale per gli
Esercenti le Professioni Sanitarie n. 34/12, resa il 25
giugno 2012, depositata il 14 settembre 2012 e notificata
il 19 settembre 2012.

udienza del 21 giugno 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
udito l’Avv. Roberto Marinoni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso, il quale ha
concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 23 marzo 2012, il dott. Fabrizio Riva
adiva la Commissione Centrale per gli Esercenti le
Professioni Sanitarie, per chiedere l’annullamento delle
delibere dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli
Odontoiatri della Provincia di Monza e Brianza n. 15/12,
con cui era stato cancellato dall’albo dei medici
chirurghi, e n. 16/12, con cui era stato cancellato in
autotutela dall’albo degli odontoiatri.
Il dott. Fabrizio Riva, iscritto all’Albo dei medici e
chirurghi della Provincia di Milano dal 1985, e
successivamente iscritto dapprima all’Ordine dei Medici
chirurghi di Milano e, a seguito della sua istituzione,
all’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Provincia di Monza e Brianza (31 marzo 2008), era stato
oggetto di procedimento disciplinare da parte dell’Ordine
dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri da ultimo
menzionato, avviato in data 20 settembre 2011, quando

quale risultava che egli era stato condannato in via
definitiva, con sentenza del 24 aprile 2007 della Corte
d’appello di Milano, che aveva confermato la sentenza del
22 novembre 2005 emessa dal Tribunale di Milano, per i
reati di cui agli articoli 572, 609-bis e 594 cod. pen.,
alla pena della reclusione di anni cinque, con applicazione
di varie pene accessorie, tra cui l’interdizione perpetua
dai pubblici uffici.
La pena detentiva veniva espiata dal 22 aprile 2008 al
26 luglio 2011.
L’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della
Provincia di Monza e Brianza contestava al dott. Riva di
avere omesso di specificare le pendenze penali a suo
carico, al momento della richiesta di trasferimento
dall’Ordine milanese a quello brianzolo. In particolare, il
dott.

Riva,

nella domanda presentata con

autocertificazione, avrebbe reso falsa dichiarazione di non
avere procedimenti penali a carico e, quindi, la sua
iscrizione all’Ordine doveva essere cancellata per

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l’Ordine aveva acquisito il suo certificato penale, dal

originaria illegittimità, difettando uno dei requisiti
previsti dagli articoli 6 e 11 del d.P.R n. 221 del 1950.
Con distinte lettere raccomandate ricevute in data 7
marzo 2012, al dott. Riva veniva comunicata la successiva

menzionati.
La Commissione Centrale per gli Esercenti le
Professioni Sanitarie, con la decisione indicata in
epigrafe, rigettava il ricorso del dott. Riva, ritenendo
corrette le delibere dell’Ordine dei Medici Chirurghi e
degli Odontoiatri della Provincia di Monza e Brianza, dal
momento che il ricorrente difettava del requisito della
condotta moralmente irreprensibile, principio generale per
l’iscrizione in qualsiasi Albo Professionale.
Avverso tale decisione, il dott. Riva ha proposto
ricorso, sulla base di quattro motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente
censura la decisione impugnata ai sensi dell’art. 111 Cost.
e 360, n. 4, cod. proc. civ., sotto il profilo della
nullità/inesistenza della decisione medesima. Ad avviso del
ricorrente, la nullità/inesistenza della decisione
impugnata sarebbe cagionata dal mancato esame, da parte
della Commissione adita, delle molteplici questioni che

cancellazione dai due ordini, per i motivi sopra

egli aveva posto con l’atto introduttivo. La Commissione,
premettendo alla parte motiva della decisione un periodo
del seguente tenore

“con unico motivo di diritto il

ricorrente contesta la violazione del combinato disposto

233/1946, per violazione di legge ed eccesso di potere per
difetto assoluto di motivazione”,

avrebbe escluso dal suo

esame i seguenti profili che, invece, erano stati
puntualmente dedotti nel ricorso avverso le due decisioni
dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri della Provincia di
Monza Brianza:
– il mero automatismo dei provvedimenti dell’Ordine,
rispetto alla sentenza penale di condanna;
– la violazione ed errata applicazione di altre norme,
oltre a quelle menzionate dalla adita Commissione, quali
l’art. 2 della legge n. 897 del 1938 (abrogato dal decretolegge n. 200 del 2008) e gli articoli 6 e 11 del d.P.R. n.
221 del 1950;

lo scostamento, da parte della Commissione, dai

costanti arresti della Corte costituzionale e della Corte
di cassazione, nella applicazione delle norme venute in
rilievo nel caso in esame;
interpretazione costituzionalmente orientata delle
disposizioni legislative richiamate, o, in caso di dubbio

dell’art. 50 del D.P.R. n. 221/1950 e dell’art. 9 D.P.R. n.

della Commissione giudicante, prospettazione di questione
di legittimità costituzionale;
non pertinenza degli arresti della Corte di
cassazione richiamati dalla difesa dell’Ordine.

denuncia la decisione impugnata, ai sensi dell’art. 111
Cost. e 360, n. 5, cod. proc. civ., sotto il profilo della
assoluta carenza, ovvero omissione della motivazione. Ad
avviso del ricorrente, rispetto ai medesimi profili dedotti
con il primo mezzo di ricorso, sussisterebbe, infatti,
vizio di motivazione, nella parte in cui l’adita
Commissione, omettendo l’esame degli stessi, ha reso, su
quei determinati profili, una decisione senza motivazione;
così come una sostanziale omissione di motivazione sarebbe
ravvisabile riguardo all’unico profilo preso in
considerazione dalla Commissione, giacché il precedente
richiamato dalla Commissione per ritenere non fondata la
violazione degli articoli 50 del d.P.R. n. 221 del 1950 e
dell’art. 9 del d.P.R. n. 233 del 1946, riferendosi ad una
ipotesi di cancellazione dall’ordine per reati commessi
nell’esercizio della professione, non avrebbe potuto
assumere rilievo nel caso di specie, in cui la
cancellazione di esso ricorrente dall’Ordine era avvenuta
per effetto di una condanna per reati non commessi
nell’esercizio della professione.

2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente

3. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente
denuncia, sempre ai sensi dell’art. 111 Cost. e 360, n. 5,
cod. proc. civ., la decisione impugnata per grave
contraddittorietà della (unica) motivazione, equivalente ad

affrontato dalla Commissione sarebbe gravemente
contraddittoria, laddove alcuni aspetti relativi alla
ricostruzione della vicenda di esso ricorrente sono stati
equivocati, dando luogo ad una parimenti contraddittoria ed
erronea motivazione.
Il ricorrente, in particolare, si duole sia per
l’affermazione concernente la sussistenza di una sentenza
definitiva di condanna al momento del trasferimento
dall’Ordine di Milano a quello brianzolo, giacché all’epoca
la sentenza nei suoi confronti non era ancora divenuta
irrevocabile; sia per il richiamo di un precedente
giurisprudenziale riferito alla commissione di reati
nell’esercizio della professione, quando invece la condanna
a suo carico era stata inflitta per reati non commessi
nell’esercizio della professione; sia per il riferimento
all’art. 2 della legge n. 897 del 1938, che è stato
abrogato; sia, infine, per aver ritenuto intervenuto il
vaglio, da parte dell’Ordine, della gravità dei fatti
addebitatigli, mentre la cancellazione era stata deliberata
automaticamente, a seguito della condanna penale.

omissione. La motivazione del rigetto dell’unico profilo

4.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente

deduce, ai sensi dell’art. 111 Cost. e 360, n. 3, cod.
proc. civ., la violazione di norme di diritto, in quanto
applicate

in

maniera

contrastante

con

principi

la conferma dei provvedimenti impugnati da parte della
adita Commissione, decisa senza prendere in esame né le
istanze di interpretazione costituzionalmente orientata
degli istituti applicati nelle delibere dell’Ordine
avanzate dal ricorrente, né la possibile questione di
legittimità costituzionale, prospettata col ricorso
introduttivo.
5. I motivi di ricorso, stante l’intima connessione tra
le questioni ivi svolte, possono essere trattati
congiuntamente.
5.1. Occorre premettere una necessaria ricognizione
della normativa rilevante in materia.
Ai sensi dell’art. 2 della legge 25 aprile 1938, n. 897
(Norme sulla obbligatorietà dell’iscrizione negli albi
professionali e sulle funzioni relative alla custodia degli
albi), «coloro che non siano di specchiata condotta morale
e politica non possono essere iscritti negli albi
professionali, e, se iscritti, debbono esserne cancellati,
osservate per la cancellazione le norme stabilite per i
provvedimenti disciplinari». Tale disposizione, abrogata

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costituzionali primari. L’oggetto della doglianza concerne

per effetto dell’art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 200
del 2008, è in realtà stata ripristinata in sede di
conversione del decreto legge dall’art. 1 della legge n. 9
del 2009. Della stessa, dunque, deve tenersi conto, sia

Con particolare riferimento alle professioni sanitarie,
il d.lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, all’art. 9, primo comma,
dispone che «per l’iscrizione all’albo è necessario: a)
essere cittadino italiano; b) avere il pieno godimento dei
diritti civili; c) essere di buona condotta; d) aver
conseguito il titolo accademico dato o confermato in una
università o altro istituto di istruzione superiore a ciò
autorizzato ed essere abilitati all’esercizio professionale
oppure, per la categoria delle ostetriche, avere ottenuto
il diploma rilasciato dalle apposite scuole; e) avere la
residenza o esercitare la professione nella circoscrizione
dell’ordine o collegio».
Il medesimo d.lgs.C.P.S, poi, per quanto qui rileva, al
primo comma dell’art. 11, dispone che «la cancellazione
dall’albo è pronunziata dal Consiglio direttivo, d’ufficio
o su richiesta del Prefetto o del Procuratore della
Repubblica, nei casi: a) di perdita, da qualunque titolo
derivata, della cittadinanza italiana o del godimento dei
diritti civili; b) di trasferimento all’estero della
residenza dell’iscritto; c) di trasferimento della

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pure con le precisazioni di cui si dirà.

residenza dell’iscritto ad altra circoscrizione; d) di
rinunzia all’iscrizione; e) di cessazione dell’accordo
previsto dal 2° comma dell’art. 9; f) di morosità nel
pagamento dei contributi previsti dal presente decreto» e,

nei casi di cui alle lettere d) ed e), non può essere
pronunziata se non dopo sentito l’interessato».
Ai sensi dell’art. 4, comma primo, del d.P.R n. 221 del
1950 (Approvazione del regolamento per la esecuzione del
decreto legislativo 13 settembre 1946, n. 233, sulla
ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e
per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse),
«la domanda di iscrizione è diretta all’Ordine o Collegio
nella cui circoscrizione il richiedente ha la sua
residenza, e deve essere corredata dei seguenti documenti:
a) certificato di nascita; b) certificato di cittadinanza
italiana; c) attestato comprovante il pieno godimento dei
diritti civili; d) certificato generale del casellario
giudiziale; e) certificato di buona condotta; f) titolo di
abilitazione all’esercizio professionale a norma delle
disposizioni in vigore; g) certificato di residenza».
Il successivo art. 6 del regolamento stabilisce ancora
che «non possono essere iscritti nell’Albo coloro che si
trovano in una delle condizioni che, ai sensi degli artt.
42 o 43 importino la radiazione dall’Albo o la sospensione

al secondo comma, stabilisce che «la cancellazione, tranne

dall’esercizio professionale, salvo che sussistano le
condizioni previste dall’art. 50 ai fini della riammissione
nell’Albo».
In particolare, l’art. 42 prevede, al primo comma, che

negli artt. 446 (commercio clandestino o fraudolento di
sostanze stupefacenti), 548 (istigazione all’aborto), 550
(atti abortivi su donna ritenuta incinta) e per ogni altro

delitto non colposo, per il quale la legge commina la pena
della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel
massimo a cinque anni, importa di diritto la radiazione
dall’Albo»; al secondo comma il medesimo art. 42 stabilisce
altresì che «importano parimenti la radiazione di diritto
dall’Albo: a) l’interdizione dai pubblici uffici, perpetua
o di durata superiore a tre anni, e la interdizione dalla
professione per una uguale durata; b) il ricovero in un
manicomio giudiziario nei casi indicati nell’art. 222,
secondo comma, del Codice penale; c) l’applicazione della
misura di sicurezza preventiva preveduta dall’art. 215 del
Codice penale, comma secondo, n. 1 (assegnazione ad una
colonia agricola o ad una casa di lavoro)»; al terzo comma
dispone che «la radiazione nei casi preveduti dal presente
articolo, è dichiarata dal Consiglio».
L’art. 43, a sua volta, al primo comma, stabilisce che
«oltre i casi di sospensione dall’esercizio della

«la condanna per uno dei reati previsti dal Codice penale

professione preveduti dalla

legge,

importano di diritto

tale sospensione: a) la emissione di un mandato o di un
ordine di cattura; b) l’applicazione provvisoria di una
pena accessoria o di una misura di sicurezza ordinata dal

c) la interdizione dai pubblici uffici per una durata non
superiore a tre anni; d) l’applicazione di una delle misure
di sicurezza detentive prevedute dall’art. 215 del Codice
penale, comma secondo, nn. 2 e 3 (ricovero in una casa di
cura e di custodia o ricovero in manicomio giudiziario); e)
l’applicazione di una delle misure di sicurezza non
detentive prevedute nel citato art. 215 del Codice penale,
comma terzo, nn. 1, 2, 3 e 4 (libertà vigilata – divieto di
soggiorno in uno o più comuni o in una o più province divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande
alcooliche – espulsione dello straniero dallo Stato)»; al
secondo coma prevede che «la sospensione è dichiarata dal
Consiglio. Il Consiglio può pronunciare, sentito il
professionista, la sospensione del sanitario ammonito dalla
autorità di pubblica sicurezza o contro il quale sia stato
emesso mandato od ordine di comparizione o di
accompagnamento senza pregiudizio delle successive
sanzioni»; al terzo comma, infine, dispone che «nei casi
preveduti nei precedenti commi la sospensione dura fino a

giudice, a norma degli artt. 140 e 206 del Codice penale;

quando abbia effetto la sentenza o il provvedimento da cui
essa è stata determinata».
5.2. La Commissione centrale ha respinto il ricorso
proposto dall’odierno ricorrente avverso i provvedimenti di

dell’art. 9 del d.lgs.C.P.S. n. 233 del 1946, per mancanza
dei requisiti di iscrizione, svolgendo le seguenti
argomentazioni: a) il requisito della condotta moralmente
irreprensibile costituirebbe, secondo la giurisprudenza di
questa Corte, un requisito ineludibile per la iscrizione
negli albi professionali e un principio di carattere
generale dell’ordinamento; b) il principio discenderebbe
dall’art. 2 della legge n. 897 del 1938, secondo cui
«coloro che non siano di specchiata condotta morale e
politica non possono essere iscritti negli albi
professionali, e, se iscritti, debbono esserne cancellati»,
nonché dall’art. 1175 cod. civ. che pone una clausola
generale di correttezza, e dall’art. 2 Cost., che
stabilisce il principio di solidarietà sociale; c) ciò che
rileva ai fini della valutazione dei requisiti per
l’iscrizione sono i fatti per cui è intervenuta la condanna
penale in relazione agli effetti dell’esercizio della
professione, rispondendo a principi di logica ritenere non
sussistente la buona condotta sulla base di parametri
penalmente rilevanti che destano allarme sociale; d)

cancellazione adottati nei suoi confronti, ai sensi

neanche una eventuale riabilitazione del condannato sarebbe
rilevante, potendo tale requisito essere oggetto di
valutazione discrezionale da parte dell’Ordine.
5.3. Il Collegio ritiene che la ora richiamata

reiezione del ricorso.
Essa, infatti, si fonda sul mero richiamo alla
previsione dei requisiti della “specchiata condotta morale
e politica” o della “buona condotta”, ma omette di svolgere
alcuna valutazione in ordine al modo in cui i detti
requisiti debbono essere considerati alla luce dei principi
costituzionali.
Si deve infatti ricordare che la Corte costituzionale,
nella sentenza n. 311 del 1996, ha svolto in ordine al
requisito della specchiata condotta morale e politica
rilevanti riflessioni, che risultano pertinenti anche con
riguardo al caso di specie, in cui si discute della
sussistenza dei requisiti di permanenza della iscrizione
all’Albo dei medici e a quello degli odontoiatri. In
particolare, nella citata sentenza si è precisato che «per
quanto riguarda condotte apprezzabili sotto il profilo
“morale”, deve operarsi una netta distinzione fra condotte
aventi rilievo e incidenza rispetto alla affidabilità del
soggetto per il corretto svolgimento delle funzioni o delle
attività volta per volta considerate, e che dunque possono

motivazione non sia idonea a giustificare la decisione di

essere legittimamente oggetto di valutazione a questi
effetti; e condotte riconducibili esclusivamente ad una
dimensione “privata” o alla sfera della vita e della
libertà individuale, in quanto tali non suscettibili di

funzioni o ad attività pubbliche o comunque soggette a
controllo pubblico. Sotto altro profilo, non potranno
essere considerate né valutate condotte che, per la loro
natura, o per la loro occasionalità o per la loro distanza
nel tempo, o per altri motivi, non appaiano ragionevolmente
suscettibili di incidere attualmente (cioè al momento in
cui il requisito della condotta assume rilievo) sulla
affidabilità del soggetto in ordine al corretto svolgimento
della specifica funzione o attività considerata. Non è
infatti ammissibile che da episodici comportamenti tenuti
da un soggetto finiscano per discendere conseguenze per lui
negative diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste
dalla legge e non suscettibili, secondo una valutazione
ragionevole, di rivelare un’effettiva mancanza di requisiti
o di qualità richieste per l’esercizio delle funzioni o
delle attività di cui si tratta, traducendosi così in una
sorta di indebita sanzione extralegale».
Tali esigenze di valutazione e di ponderazione delle
condizioni potenzialmente ostative alla assunzione di un
impiego sono poi state ribadite dalla stessa Corte

essere valutate ai fini di un requisito di accesso a

costituzionale nella sentenza n. 329 del 2007, con la quale
è stata dichiarata la illegittimità costituzionale
dell’art. 128, secondo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957,
n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto

prevede l’obbligo dell’amministrazione di valutare il
provvedimento di decadenza dall’impiego, emesso ai sensi
dell’art. 127, primo comma, lettera

d),

dello stesso

decreto, al fine della ponderazione della proporzione tra
gravità del comportamento e divieto di concorrere ad altro
impiego nell’amministrazione dello Stato».
Da tali pronunce risulta evidente come, ove si debba
procedere a valutazioni suscettibili di incidere in via
definitiva sulla possibilità delle persone di accedere agli
impieghi (o più in generale di svolgere un’attività
professionale che richieda l’iscrizione ad un albo), i
requisiti di buona condotta o similari devono essere
apprezzati con rigore e alla luce di una verifica
funzionale, nel senso della necessaria indagine della
possibile incidenza dell’elemento rilevante ai fini della
“condotta” sullo svolgimento delle attività rispetto alle
quali quella valutazione si pone come prodromica. In
sostanza, non è sufficiente che si rilevi l’esistenza di un
fatto significativo in astratto, ma è necessario verificare
se quel fatto è in concreto a tal punto significativo da

degli impiegati civili dello Stato), nella parte in cui non

precludere lo svolgimento dell’attività cui la valutazione
di ammissione è preordinata. In altri termini, ciò che si
intende evitare è qualsiasi effetto di automatismo tra
l’esistenza di una circostanza in ipotesi rilevante e

un’attività.
5.4. Nel caso di specie, dal provvedimento impugnato
emerge che il ricorrente è stato condannato in via
definitiva per reati non inerenti allo svolgimento della
professione e che, per effetto di tale condanna, gli è
stata comminata anche la pena accessoria della interdizione
perpetua dai pubblici uffici.
Orbene, posto che la detta pena accessoria non si pone
come preclusiva dello svolgimento di una professione (art.
28 cod. pen.), e posto che il provvedimento di
cancellazione oggetto di ricorso dinnanzi alla Commissione
centrale per gli esercenti le professioni sanitarie è stato
da tale organo giustificato con il riferimento alla
insussistenza del requisito della “specchiata condotta
morale e politica” o della “buona condotta”, per effetto
della condanna riportata in sede penale, risulta evidente
il deficit motivazionale concernente la valutazione della
incidenza della condanna penale per fatti non inerenti la
professione sulla affidabilità del soggetto in ordine al
corretto svolgimento da parte sua della professione.

l’esclusione dell’interessato dallo svolgimento di

6. Il ricorso va, quindi, accolto, e la decisione
impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione centrale
per gli esercenti le professioni sanitarie perché, in
diversa composizione, proceda a nuovo esame della

regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte
impugnata e

accoglie
rinvia,

il ricorso;

cassa

la decisione

anche per le spese del giudizio di

legittimità, alla Commissione centrale per gli esercenti
professioni sanitarie, in diversa composizione,.
Così deciso in Roma,

nella camera di consiglio della

Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione,
il 21 giugno 2013.

impugnazione proposta dal ricorrente e provveda anche alla

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