Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11708 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/05/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 05/05/2021), n.11708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27007/2013 R.G. proposto da:

C.F. e CA.CR., ciascuno in proprio ed entrambi

in qualità di soci e legali rappresentanti della TERMOSANITARI

C. F. & CA. C. S.n.c., rappresentati e difesi dall’Avv.

Cinzia Tomasoni del Foro di Trento, con domicilio eletto in Roma,

via G. Ferrari n. 2, presso lo studio dell’avv. Francesco Grisanti;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

AGENZIA DELLE ENTRATE, Direzione Tributaria di (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria di II grado di

Trento n. 28/1/13 pronunciata il 4.2.2013 e depositata il 4.4.2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio

2021 dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con distinti ricorsi proposti dinanzi alla Commissione Tributaria di I grado di Trento, C.F. e Ca.Cr., ciascuno in proprio ed entrambi in qualità di soci e legali rappresentanti della Termosanitari C. F. & Ca. C. S.n.c., impugnavano gli avvisi di accertamento emessi nei loro confronti dall’Agenzia delle Entrate di (OMISSIS) in relazione all’anno d’imposta 2005. Gli avvisi traevano origine dall’attività istruttoria effettuata dall’Agenzia delle Entrate che riteneva inattendibile la contabilità della società e procedeva in via induttiva a rideterminare il maggior reddito e le maggiori imposte nei confronti della società stessa e dei singoli soci in base alle rispettive quote di partecipazione. I ricorrenti contestavano l’utilizzo del metodo induttivo da parte dell’Ufficio in presenza di contabilità formalmente regolare e chiedevano l’annullamento degli avvisi e delle sanzioni irrogate. L’Agenzia delle entrate, contestava l’assunto dei ricorrenti e ne chiedeva la reiezione.

2. All’esito del giudizio, la Commissione adita accoglieva parzialmente i ricorsi, previa riunione dei medesimi; in particolare, quanto alle imposte dirette, ritenendo errata la ricostruzione dei ricavi operata dall’Ufficio, ma confermando la parte relativa alla ripresa dei costi considerati indeducibili; quanto all’IVA, accoglieva i ricorsi in relazione alla maggiore imposta accertata in applicazione dell’aliquota ordinaria del 20% in luogo di quella agevolata del 10%; accoglieva, altresì, i ricorsi con riferimento all’IVA sui maggiori ricavi accertati, stante il disconoscimento del rilievo ai fini delle imposte dirette; infine, rigettava i ricorsi in relazione all’IVA sull’acquisto di carburante e con riferimento ad una nota di credito.

3. Avverso tale sentenza l’Ufficio proponeva appello con atto notificato a mezzo del servizio postale a ciascuna delle parti costituite presso lo stesso difensore. In accoglimento dell’eccezione formulata dai ricorrenti, la Commissione di II grado concedeva termine all’Agenzia delle Entrate per la rinnovazione della notifica dell’appello. All’esito del giudizio, con sentenza n. 28/1/13 pronunciata il 4.2.2013 e depositata il 4.4.2013 la Commissione adita, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva le censure dell’Agenzia delle entrate e rigettava l’appello incidentale proposto da controparte in ordine al recupero dei costi relativi ad una nota di accredito erroneamente contabilizzata.

4. I contribuenti hanno quindi proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

5. Il ricorso è stato quindi fissato nella camera di consiglio del 29 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. In via preliminare va osservato che in data 20.9.2019 C.F. in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Termosanitari C. F. & Ca. C. S.n.c. depositava una dichiarazione di adesione alla definizione agevolata ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, art. 6, convertito con modificazioni dalla L. n. 225 del 2016, con la relativa documentazione attestante l’integrale versamento dei complessivi importi dovuti ai fini della cessazione della materia del contendere, limitatamente alla posizione propria e della s.n.c.; detta istanza, unitamente con la relativa documentazione, è stata poi notificata alla controricorrente in esecuzione di specifica ordinanza emessa da questa Corte in data 24.9.2019.

1.2. Ciò posto, avendo l’Agenzia delle Entrate – Riscossione dato atto del pagamento integrale da parte dell’anzidetto contribuente (in proprio e nella qualità di legale rappresentante della s.n.c.) di quanto dovuto, va dichiarata l’estinzione del giudizio nei confronti dello stesso e della società per cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese di giudizio, a seguito della definizione agevolata prevista dal D.L. n. 193 del 2016, art. 6, convertito con modificazioni dalla L. n. 225 del 2016.

2. Quanto al ricorso residuale del socio Ca.Cr., va osservato che con il primo motivo veniva dedotta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3, (richiamato per l’appello dal successivo art. 53), per avere i contribuenti ricevuto un atto di appello diverso da quello depositato in giudizio.

2.1. Con il secondo motivo di ricorso veniva dedotta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

2.2. Entrambi i motivi, suscettibili di trattazione congiunta, si appalesano inammissibili in quanto non conformi ai principi di autosufficienza e specificità.

2.3. Con l’appello incidentale, infatti, i contribuenti avevano eccepito l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia delle Entrate “in riferimento all’errata notifica dello stesso, così come denunciato in separato esposto” nel quale avevano segnalato che l’atto era stato notificato in una “busta chiusa, artigianalmente confezionata, risultante non essere quello che l’agenzia delle entrate, costituendosi in giudizio ha o avrà dichiarato conforme all’originale e di cui il sottoscritto non ha nemmeno una copia”; doglianza che era stata respinta dai giudici di appello per “l’assoluta indecifrabilità dell’assunto censorio, peraltro contenuto in un esposto altro e diverso dall’atto di appello, in patente violazione del principio dell’unicità del gravame”.

2.4. Con riferimento poi alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, lamentavano l’inammissibilità del passaggio argomentativo con cui l’Agenzia, per la prima volta e solo in sede di appello, aveva definito “lo scarto tra prezzo di listino ed il prezzo praticato alla clientela “sconto ponderato” corrispondente al 32,68%”, mentre nella “memoria di costituzione dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado lo stesso Ufficio non aveva “posto alcuna preclusione all’eccezione mossa dai ricorrenti circa l’utilizzo di una percentuale di ricarico semplice, anzichè ponderale”; affermazione sulla quale i giudici di secondo grado avevano fondato la loro decisione in violazione del citato art. 57, comma 2.

2.5. Al riguardo va osservato che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, la deduzione di errores in procedendo (nella specie per errata notifica dell’atto di appello e per deduzione di una questione nuova), non fa venir meno il dovere del ricorrente di specificare, nonchè di localizzare, il contenuto degli atti cui fa riferimento affinchè tali censure possano essere apprezzate in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (cfr. Cass. Sez. 5, 11/09/2020, n. 18887).

2.6. Tale requisito di ammissibilità non risulta viceversa soddisfatto nel caso in esame. Nell’odierno ricorso parte ricorrente non ha, infatti, trascritto, nè riprodotto, le censure che avrebbero sorretto il proprio appello incidentale, precludendo a questa Corte (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino), di verificare se i vizi dedotti trovassero effettivo riscontro sulla base del solo ricorso e senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso (cfr., ex multis, Sez. 5, 13/11/2018, n. 29093, Rv. 65127701; nonchè, Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01).

2.7. Nella medesima prospettiva, questa Corte ha affermato che, “nel ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito, nè rilevabili di ufficio”. (cfr. Sez. 2, 09/08/2018, n. 20694, Rv. 650009-01).

2.8. Quanto poi all’asserita violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, la censura appare inammissibile atteso che la stessa, prescindendo da qualsiasi analisi della disposizione normativa violata e dalla indicazione specifica del principio disapplicato, si esaurisce in una generica contestazione dell’applicabilità nella specie del metodo induttivo e nella mera confutazione delle argomentazioni contenute nella sentenza al fine di ottenere una nuova e diversa valutazione degli elementi probatori già vagliati dal giudice di merito.

2.9. Invero, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione, – come nel caso di specie, di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass., Sez. U, sent. 05/05/2006, n. 10313 e, di recente, Sez.L, sent. 11/01/2016, n. 195). Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è comunque inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge, mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. Sez. 6, 04/04/2017, n. 8758).

3. Con il terzo motivo si deduce “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ed omessa pronuncia sulla richiesta dei contribuenti di voler disporre perizia tecnica d’ufficio per certificare la capacità reddituale della società ricorrente, nonchè per dimostrare l’erronea applicazione del concetto di “media” da parte dell’Agenzia”.

3.1 Con il quarto motivo si deduce “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ed omesso esame su fatti controversi ed elementi decisivi della controversia con riferimento al recupero dei costi per nota di accredito erroneamente contabilizzata pari a Euro 1.948,62”.

3.2. Dette censure (terza e quarta), suscettibili di trattazione congiunta per la loro stretta connessione, sono inammissibili.

3.3. Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza 22/09/2014, n. 19881, “il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico, che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso”.

3.4. Nell’enunciare tale principio di diritto le Sezioni Unite hanno osservato che nella riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è scomparso ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà.

3.5. In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, “la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.

3.6. Invero, a seguito della riforma del 2012, è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza ed è rimasto il mero controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione; controllo che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

3.7. Nel caso di specie, parte ricorrente non ha indicato alcun fatto storico, il cui esame sia stato omesso, nè il dato (testuale o extratestuale) idoneo a comprovare che tale fatto nel giudizio di merito abbia formato oggetto di discussione tra le parti, nè, infine, la decisività del fatto stesso.

4. Il ricorso del Ca. va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del medesimo dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il giudizio promosso da C.F. in proprio nonchè in qualità di socio e legale rappresentante della Termosanitari C. F. & Ca. C. S.n.c., per cessazione della materia del contendere a seguito della definizione agevolata prevista dal D.L. n. 193 del 2016, art. 6, convertito con modificazioni dalla L. n. 225 del 2016, e compensa le spese di giudizio tra le stesse parti.

Rigetta il ricorso proposto da Ca.Cr. e lo condanna al rimborso delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in 3.500,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del Ca. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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