Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11705 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 05/05/2021), n.11705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6855/2014 R.G. proposto da:

ARCHIEDEA s.p.a. rappresentata e difesa giusta delega in atti

dall’avv. Alessandro Graziani con domicilio eletto in Roma presso il

ridetto difensore in piazza Buenos Aires n. 14;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

153/10/13 depositata il 23/09/2013 e non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

28/01/2021 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza impugnata la CTR capitolina accoglieva l’appello dell’Ufficio con ciò statuendo la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato per IVA, IRPEG e IRPEF 2005;

– ricorre a questa Corte il contribuente con atto affidato a quattro motivi e illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.; l’Agenzia delle Entrate ha depositato mero atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1 del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 6,18 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuta sussistere alterità tra i soggetti che hanno posto in essere l’operazione commerciale contestata rispetto a quelli indicati in fattura;

– il secondo motivo censura la gravata sentenza per violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, e dei principi espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione con le sentenze C-354/03, C-355/03, C-484/03 del 12 gennaio 2006 e C.-439/04, C-440/04 del 6 luglio 2006 e n. C-80/11, C-142/11 del 21 giugno 2012 sulla interpretazione della Dir. IVA, art. 17, e della Dir. n. 112 del 2006, art. 176, capo 4, tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR posto a carico dell’Agenzia delle Entrate l’onere di dimostrare la malafede del contribuente, che sapeva o che avrebbe dovuto sapere dell’esistenza della frode “a monte” dell’operazione fatturata e che non ha adottato i comportamenti cui poteva ragionevolmente ricorrere;

– il terzo motivo si incentra sulla omessa o carente motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR reso motivazione apparente, senza che emergano dalla sentenza impugnata quali siano le specifiche ragioni per le quali le censure sono state ritenute fondate o infondate; in particolare la CTR, secondo il ricorrente, pure enunciando i principi che disciplinano la materia delle fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti non ha riportato in sentenza alcun riferimento ai dati “concreti” della causa ed alle effettiva risultanze processuali, nè evidenziato quali siano gli elementi idonei a sostenere il recupero fiscale e la conseguente motivazione del giudizio di idoneità sugli stessi;

– il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di legge del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice dell’appello malgovernato l’interpretazione della disposizione in esame in materia di interposizione ed elusione;

– va premesso che i recuperi contestati derivano da una operazione di trasformazione della C.G. & F.lli s.n.c. nell’omonima s.a.s. (avvenuta il (OMISSIS)) cui ha fatto seguito (in data (OMISSIS)) la cessione delle quote della ridetta società al sig. Ca.Gi. e la conseguente modificazione della ragione sociale in Alma s.a.s. di Ca.Gi.. Successivamente, tal società – in data (OMISSIS) e in data (OMISSIS) – cedeva alla società Archidea s.p.a. gli svariati immobili costituenti il patrimonio societario, per Euro 6.800.000,00 più IVA e per Euro 1.360.000,00 più Iva. Quindi, in data (OMISSIS), la Alma s.a.s. di Ca.Gi. era posta in liquidazione e cancellata dal registro imprese in data (OMISSIS);

– orbene, secondo l’Agenzia delle Entrate, la Alma s.a.s. di Ca.Gi. è soggetto interposto ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 3, dalla società C.G. e f.lli s.a.s. e pertanto l’iva detratta da Archidea s.p.a. è ritenuta indetraibile in quanto Alma s.a.s. di Ca.Gi. è ritenuta soggetto diverso dall’effettivo cedente i beni in oggetto, che è invece la società C.G. & c. s.a.s.;

– il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso possono pertanto esaminarsi congiuntamente, in quanto tutti connessi tra di loro;

– detti motivi sono complessivamente fondati per le ragioni che si diranno nel prosieguo;

– dall’accoglimento di detti motivi deriva poi l’assorbimento del terzo motivo, divenuto irrilevante ai fini del decidere;

– venendo alle questioni poste in ricorso, risulta chiaramente dall’avviso di accertamento prodotto in questa sede di Legittimità che la p. iva della società cedente i beni (Alma s.a.s. di Ca.Gi., come risultante dalla cessione delle quote in atti e dal successivo necessario mutamento della ragione sociale) sia rimasta sempre le stessa;

– è chiaro quindi che, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR, non si è verificato alcun venir meno della continuità della vita della società, non potendo ex se il mero mutamento di ragione sociale causato dalla cessione delle quote produrre alcun effetto estintivo sulla società;

– pertanto, sussiste effettivamente l’evidente errore prima logico e poi giuridico denunciato dal ricorrente riferito all’errata individuazione del soggetto giuridico destinatario della pretesa, che non può essere la società C.G. & c. s.a.s. in quanto interponente, non sussistendo alcun fenomeno di interposizione (che presuppone almeno formalmente la diversità soggettiva tra interponente e interposto) dal momento che sussiste continuità tra la società C.G. & c. s.a.s. e la società Alma s.a.s. di Ca.Gi.;

– questa ultima società, era ed è rimasta soggetto di diritto e soggetto passivo di imposta anche dopo il mutamento di ragione sociale, come comprova appunto anche il mantenimento da parte della stessa dello stesso numero di p. iva.;

– come questa Corte ha da tempo chiarito (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9402 del 06/05/2005) il fenomeno di interposizione è connesso all’esistenza di un negozio fiduciario che si realizza mediante il collegamento di due negozi, l’uno di carattere esterno, realmente voluto e con efficacia verso i terzi, e l’altro di carattere interno – pure effettivamente voluto – ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo negozio per cui il fiduciario è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o ad un terzo, l’intestazione fiduciaria di titoli azionari (o di quote di partecipazione societaria); esso integra gli estremi dell’interposizione reale di persona, per effetto della quale l’interposto acquista (a differenza che nel caso d’ interposizione fittizia o simulata) la titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l’interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, nonchè a ritrasferire i titoli a quest’ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario;

– vera pre-condizione logica e giuridica è, in ogni caso, la (anche solo formale ma pur sempre necessaria) autonomia tra i due soggetti, che nel presente caso non sussiste stante l’irrilevanza da un lato della cessione delle quote – che non comporta estinzione della società – e d’altro canto il mantenimento della p. iva, che conferma ulteriormente la permanenza dell’esistenza dello stesso soggetto societario. Dalla lettura della sentenza impugnata appare chiaro come la CTR abbia del tutto equivocato sulla portata stessa del rilievo, confondendo sul piano logico e giuridico il fenomeno delle operazioni soggettivamente inesistenti (che qui non viene in rilievo) sia con quello delle operazioni elusive di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 – bis (tra le quali alla lett. b) in vigore ratione temporis si indicano appunto i “negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende” (facendo fuorviante riferimento quindi la CTR ai “fini elusivi” – pag. 3 terza riga della sentenza impugnata) sia con quello della interposizione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3. Va ricordato come il primo fenomeno – le operazioni soggettivamente inesistenti – sia indicativo di evasione tributaria, operazione con la quale il contribuente si avvale di una alterazione della realtà documentale rispetto a quella effettuale (indicandosi nella documentazione contabile, segnatamente le fatture passive un soggetto diverso da quello che cede il bene o presta il servizio) con ciò ottenendo la detrazione di Iva in forza della presenza dell’apparente emittente della fattura, in quanto l’effettivo cedente il bene o prestatore il servizio non avrebbe i requisiti per addebitarla. Il secondo fenomeno – le operazioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis – ricomprende invece ben diversi comportamenti elusivi (o abusivi che dir si voglia in forza della più recente disciplina positiva) ora disciplinati nella L. n. 212 del 2000, art. 10 bis; si tratta di comportamenti che non consistono nell’alterazione di cui sopra, ma nell’aggiramento delle disposizioni tributarie, senza che sussista una diretta violazione di alcuna previsione o divieto. Infine, il terzo fenomeno – l’imputazione al contribuente dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che questi ne è l’effettivo possessore per interposta persona D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37, comma 3 – consta nuovamente di un comportamento evasivo posto in essere dal contribuente che si avvale di una struttura fittizia, fondata su situazioni di interposizione fittizia o reale, nella quale l’apparenza delle situazioni diverge dalla realtà delle cose;

– ebbene, a fronte di una contestazione di violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, mossa dall’Ufficio, come si evince dall’avviso di accertamento oltre che dalla porzione dello stesso trascritta in ricorso a pag. 22, l’intera motivazione della CTR verte invece solo ed esclusivamente sulla illustrazione, peraltro astratta e senza alcun riferimento alla fattispecie concreta in esame, dei principi in materia di operazioni soggettivamente inesistenti;

– conseguentemente, rileva la Corte come il giudice dell’appello non abbia minimamente reso manifeste le vere ragioni in forza delle quale ha ritenuto fondata la pretesa, pretesa fondata su contestazioni ritenute dall’Ufficio costituenti altro fenomeno di illegittima sottrazione a imposizione di materia imponibile rispetto a quello esaminato ed esposto, peraltro sul piano meramente astratto, in motivazione;

– in particolare, non risulta in sentenza (anzi, la coincidenza della p. iva di cui si è detto è un indice evidente del contrario del quale pure la CTR non tratta minimamente) in forza di quali ragioni sia stata ritenuta la natura di soggetto interposto in capo alla soc. Alma s.a.s., mentre dalle risultanze di causa la stessa risulta unicamente frutto della cessione di quote;

– come è noto, (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è tuttora denunciabile in cassazione, nel presente caso applicandosi detto testo del codice di rito in quanto la sentenza gravata è stata depositata in data posteriore all’11 settembre 2012, l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata anche a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Le circostanze sopra evidenziate consentono di qualificare come “obiettivamente incomprensibile” e quindi “meramente apparente” la motivazione della sentenza gravata; essa è tutta incentrata esclusivamente sulla illustrazione di principi astratti e affermazioni apodittiche, integralmente prive di ogni relazione con l’oggetto del giudizio e manifestamente svincolate dall’elemento di fatto da quale dovevasi prendere le mosse, vale a dire il difetto di continuità nella vita della società cedente, in principio C.G. e figli s.a.s e poi Alma s.a.s. di Ca.Gi.;

– conseguentemente, il ricorso va accolto nei termini di cui in motivazione con riguardo alle riprese a fini IVA, le sole rimaste qui oggetto di causa;

– la sentenza gravata è pertanto cassata; non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può decidersi nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso, con riguardo alle medesime riprese Iva qui in discussione, della società contribuente;

– le spese di merito vanno compensate attesa la peculiarità della vicenda, mentre quelle di legittimità, liquidate come in dispositivo, sono regolate per soccombenza.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso del contribuente limitatamente alle riprese in materia di iva;

compensa le spese dei gradi di merito; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di legittimità a favore della contribuente, che liquida in Euro 17.000,00 oltre al 15% per spese generali, CPA ed Iva di legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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