Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11703 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/05/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 05/05/2021), n.11703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23751/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n.160 della Commissione tributaria regionale

della Puglia, sezione distaccata di Taranto, pronunciata in data 3

luglio 2012, depositata in data 15 luglio 2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio

2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi avverso M.A. per la cassazione della sentenza n. 160 della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione distaccata di Taranto, pronunciata in data 3 luglio 2012, depositata in data 15 luglio 2013 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiori Irpef ed Ilor dell’anno di imposta 1983, ha rigettato l’appello dell’Ufficio;

nella fattispecie, con avviso di accertamento n. (OMISSIS) (Allegato n. 1), notificato il 21 dicembre 1990, il soppresso Ufficio II.DD. di (OMISSIS) rettificava la dichiarazione dei redditi presentata dal Sig. M.A. per l’anno di imposta 1983, accertando un maggior imponibile IRPEF ed ILOR pari rispettivamente a Lire 434.198.000 e Lire 422.198.000;

a tale determinazione l’Ufficio era pervenuto sulla scorta delle risultanze del rapporto penale di denunzia all’Autorità Giudiziaria redatto il (OMISSIS) dai militari della Guardia di Finanza – 17A Legione Comando Tenenza di (OMISSIS);

con tale rapporto veniva contestata la fittizietà delle operazioni commerciali di vendita di prodotti vinosi, nonchè la eccessiva incidenza di costi e spese dichiarati (pari a Lire 295.476.000);

con sentenza del 27 ottobre 2008 n. 299/05/08, la Commissione tributaria provinciale di Taranto accoglieva il ricorso del contribuente ed annullava l’avviso di accertamento impugnato;

in particolare la Commissione tributaria di prime cure riteneva che dalla sentenza penale allegata al ricorso introduttivo risultava essere stato accertato che i numerosi documenti di accompagnamento vitivinicolo e le fatture emesse dal M. a carico di diversi soggetti non riguardavano operazioni di vendita inesistenti, ma operazioni reali relative a quantitativi di prodotto oggettivamente consegnati ai destinatari;

con sentenza del 15 luglio 2013, n. 160/29/2013, la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto, rigettava l’appello dell’amministrazione finanziaria, confermando la sentenza di primo grado;

a seguito di rituale notifica del ricorso, il contribuente è rimasto intimato;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 27 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., nonchè del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

secondo l’Agenzia ricorrente, la sentenza definitiva di assoluzione del contribuente emessa in sede penale per i medesimi fatti storici non esplica automaticamente efficacia di giudicato nel procedimento tributario, laddove sia pacifico che l’Amministrazione Finanziaria non si sia costituita parte civile nel giudizio penale, e, in ogni caso, laddove il giudicato penale sia intervenuto su fatti accertati in dibattimento a seguito di prova testimoniale, inammissibile in sede di giudizio tributario;

il motivo è fondato e va accolto;

i Giudici di appello hanno statuito che “assolutamente inconferente appare, d’altronde, il richiamo della disposizione di cui all’art. 654 c.p.p., perchè nel caso in esame l’accertamento dei fatti effettuato dalla Corte penale sovverte e ribalta totalmente i risultati del p.v.c. redatto dalla G.d.F. e posto dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento opposto perchè in base alle risultanze probatorie (testimoniali e documentali) riconosce come effettive e reali le operazioni ritenute dall’odierno appellante inesistenti”;

secondo la C.t.r. “l’accertamento dei fatti compiuto dal Giudice penale risulta in questi casi vincolante per l’Ufficio la cui autonomia operativa incontra un limite invalicabile non solo nell’autorità delle regiudicata ma anche, e soprattutto, nel principio di ragionevolezza apparendo di solare evidenza l’illogicità della dicotomia per cui fatti affermati concreti e reali in sede penale possono essere ritenuti fittizi ed immaginari in sede tributaria”;

con tale statuizione il Collegio è incorso nella denunziata violazione di legge;

invero, questa Corte ha già avuto modo di rilevare che “nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 22/05/2015);

più di recente, in un caso di operazioni soggettivamente inesistenti incluse in una frode carosello, si è ribadito che ” il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorchè riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27814 del 04/12/2020);

deve, quindi, riconoscersi l’autonoma tra giudizio penale e giudizio tributario, stante la diversità di mezzi di prova acquisibili nei due ambiti processuali e di criteri di valutazione del materiale acquisito, per l’operare solo nel giudizio tributario di presunzioni;

come è stato detto, il giudice tributario, pur potendo trarre elementi di convincimento dai fatti materiali accertati nel giudizio penale, è tenuto sempre ad operare una valutazione critica delle circostanze fattuali in relazione al complessivo materiale probatorio acquisito al giudizio tributario: “nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare” (così, testualmente, Cass. 12/02/2014, n. 3105; nello stesso ordine di idee, Cass. 24/11/2017, n. 28174; Cass. 28/06/2017, n. 16262; Cass. 23/05/2012, n. 8129);

una valutazione del genere manca nel caso in esame, poichè la sentenza impugnata fonda l’annullamento dell’atto impositivo solo ed esclusivamente sull’assoluzione del contribuente in sede penale, senza sottoporre le risultanze in tale sede acquisite a vaglio critico oppure corroborare il convincimento del giudice di appello con inferenze tratte dal compendio istruttorio del giudizio tributario, nonostante l’amministrazione, con l’atto di appello, avesse specificamente contestato la rilevanza dei fatti accertati in sede penale (mancata prova della sofistificazione del vino, addotta dal contribuente a giustificazione dell’iperproduzione di vino oggetto delle vendite che il fisco riteneva oggettivamente inesistenti, anche sulla base delle dichiarazioni di terzi -clienti e trasportatori-) ai fini dell’accertamento tributario;

con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

secondo la ricorrente, i giudici regionali avrebbero omesso di pronunciarsi sul secondo motivo posto a fondamento del gravame proposto dall’Ufficio relativo alla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74 (applicabile ratione temporis) e dell’art. 2697 c.c.;

l’Ufficio appellante aveva censurato la sentenza della Commissione tributaria provinciale nella parte in cui i Giudici di prime cure, con riferimento ai costi dichiarati dal contribuente (pari a Lire 295.476.000), oltre a stigmatizzare l’espressione “si appalesano eccessivi”, adoperata nella motivazione dell’avviso di accertamento, avevano rilevato che l’Ufficio non aveva documentalmente provato alcunchè a proprio favore, per cui il suo operato non poteva essere ritenuto legittimo;

a tal riguardo, l’appellante aveva ricordato come costituisca principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello in base al quale l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973, del D.P.R. n. 598 del 1973 e del T.U.I.R., incombe al contribuente;

l’Ufficio aveva rammentato, altresì, come la Suprema Corte avesse precisato che, in tema di imposte sui redditi, ai fini della determinazione del reddito di impresa, è onere del contribuente e non dell’Ufficio finanziario documentare l’esistenza dei costi deducibili, trattandosi di una componente negativa del reddito;

a parere dell’appellante era evidente come fosse privo di pregio l’assunto della Commissione tributaria provinciale, la quale aveva ritenuto illegittimo anche sotto questo aspetto l’avviso di accertamento impugnato, non avendo l’Ufficio dimostrato documentalmente alcunchè a proprio favore;

orbene, la ricorrente rileva come, in nessun punto della motivazione della sentenza d’appello, è dato individuare un esplicito pronunciamento in ordine a tale questione da parte della Commissione tributaria regionale;

il motivo, come esposto, deve ritenersi assorbito nell’accoglimento del precedente e la doglianza dovrà essere eventualmente esaminata, unitamente al merito, dal giudice di rinvio, in quanto la sentenza impugnata non si è specificamente pronunciata sul punto, avendo confermato la sentenza di primo grado sul presupposto dell’efficacia vincolante del giudicato di assoluzione nel processo penale;

in conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto, assorbito il secondo, e la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla C.t.r. della Puglia, sezione staccata di Taranto, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.t.r. della Puglia, sezione staccata di Taranto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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