Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11701 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/05/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 05/05/2021), n.11701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16403/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Fontana di Papa Vini D’Italia S.c. a r.l., rappresentata e difesa

dagli Avv.ti Benedetto Santacroce e Salvatore Mileto, con domicilio

eletto presso lo Studio legale tributario

Santacroce-Procida-Fruscione in Roma, via Giambattista Vico n. 22,

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 323/14/12, depositata il 15 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 gennaio

2021 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate impugna per cassazione, con quattro motivi, la sentenza della CTR in epigrafe che, confermando la decisione della CTP di Roma, aveva ritenuto infondata la pretesa di cui all’avviso di accertamento emesso nei confronti di Fontana di Papa Vini D’Italia S.c. a r.l. ai fini Iva, Irap e Irpeg per gli anni 2003 e 2004 per essere sussistenti i presupposti per l’esenzione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 10, e giustificate le differenze inventariali tra giacenze fisiche e dati inventariati nella contabilità.

Fontana di Papa Vini D’Italia S.c. a r.l. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 10, anche in combinato disposto con l’art. 2426 c.c., e con l’art. 76 tuir, limitatamente all’annualità 2003, per aver la CTR ritenuto rispettato il presupposto della mutualità nonostante la società, nella valorizzazione dei conferimenti di uve da parte dei soci, avesse tenuto conto di tutti i componenti positivi e negativi di reddito, compresi i contributi in conto esercizio o in conto impianti, nonchè gli oneri ed i proventi straordinari, sì da determinare la chiusura del bilancio senza utile, con violazione dell’obbligo di versare il 3% degli utili al fondo mutualistico e conseguente surrettizia distribuzione degli utili stessi tra i soci.

1.1. Il secondo motivo denuncia, sui medesimi profili, omessa motivazione su fatto decisivo e controverso, avuto riguardo, in particolare all’inclusione degli oneri e proventi straordinari di esercizio, restando privo di rilievo il parere del Ministro del Lavoro di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 14.

2. Il primo motivo è fondato nei limiti e termini che seguono, restando assorbito il secondo.

2.1. Vanno peraltro disattese, preliminarmente, le eccezioni di inammissibilità.

Sono, in primo luogo, irrilevanti gli invocati precedenti (Cass. n. 7343/2012, Cass. n. 10798/2012 e Cass. n. 14872/2012) che si sono risolti in una statuizione di inammissibilità per esser stata censurata la sentenza ivi impugnata con l’unico mezzo del vizio di motivazione, mentre la questione avrebbe dovuto essere dedotta come violazione di legge, censura qui, invece, specificamente proposta.

Nè ha rilievo la mancata censura, nel motivo, del D.L. n. 746 del 1983, art. 7-ter, sul quale, incidentalmente, le richiamate sentenze si sono soffermate, avendo l’Agenzia delle entrate correttamente censurato l’applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 10, su cui la CTR ha fondato la propria statuizione, sicchè va pure escluso che la doglianza di risolva in una asserita richiesta di nuova valutazione degli elementi di fatto.

3.1. Nel merito, giova premettere che, per il legislatore, come emerge chiaramente dall’art. 73 tuir, comma 1, lett. a) (già art. 87, ratione temporis vigente), nonchè dagli artt. 55 e 81 tuir, anche le società cooperative sono soggetti Irpeg (ora Ires); in considerazione della funzione sociale svolta, peraltro, possono fruire, in presenza di specifiche condizioni, di disposizioni agevolative.

Nella specie, rileva il D.P.R. n. 601 del 1973, art. 10, che riconosce il beneficio dell’esenzione alla cooperativa che operi in regime di mutualità (“Sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche e dall’imposta locale sui redditi i redditi conseguiti da società cooperative agricole e loro consorzi mediante l’allevamento di animali con mangimi ottenuti per almeno un quarto dai terreni dei soci nonchè mediante la manipolazione, conservazione, valorizzazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici e di animali conferiti prevalentemente dai soci”).

Il D.P.R. n. 601 del 1973, art. 14 e il D.Lgs.C.P.S. n. 1577 del 1947, art. 26, richiamato dalla prima norma, dettano, poi, le condizioni, formali e sostanziali, per poter beneficiare dell’esenzione.

Tra queste, in particolare, lo statuto deve prevedere – e debbono essere in concreto rispettate – il “divieto di distribuzione dei dividendi superiori alla ragione dell’interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato” e il “divieto di distribuzione delle riserve tra i soci durante la vita sociale”.

Ai sensi della L. n. 59 del 1992, art. 11, commi 4 e 10, infine, le cooperative sono tenute, a pena di decadenza dai “benefici fiscali e di altra natura”, a versare il 3% degli utili annuali ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.

3.2. Il quadro normativo su delineato comporta, dunque, che, nello svolgimento della sua attività la cooperativa, da ritenersi soggetto d’imposta ad ogni effetto, fruisce del regime di favore ove sia adempiente alle condizioni di legge e, dunque, con riguardo alla vicenda in giudizio, abbia correttamente determinato l’imponibile, non abbia erogato, indirettamente, utili e, se questi siano maturati, abbia versato al Fondo mutualistico la quota dovuta.

3.3. Nella vicenda in giudizio, invero, la contestazione dell’Ufficio investe – per la valutazione dei conferimenti dei soci e per la determinazione dell’imponibile – l’indebito di tre componenti, voci che, in sostanza, sono confluite nel ristorno (correlato all’attività mutualistica ed attribuito al socio per aver effettuato scambi mutualistici) anzichè nell’utile di bilancio (la remunerazione del capitale sociale, indipendente dal concreto scambio mutualistico), ossia: i contributi di esercizio; i contributi in conto impianti; oneri e proventi straordinari.

3.4. Con riguardo alle prime due voci – contributi di esercizio e contributi in conto impianto – il ricorso è infondato.

3.5. Va evidenziata, sul punto, la scarsa pertinenza del D.L. n. 746 del 1983, art. 7-ter, rispetto alle questioni in giudizio.

La norma, infatti, rileva esclusivamente ai fini Iva, come del resto emerge sia dall’intestazione del D.L. (“Disposizioni urgenti in materia di imposta sul valore aggiunto”), sia dalla rubrica della norma (“Non imponibilità ai fini IVA delle erogazioni finanziarie effettuate dall’AIMA”), sia, specificamente, dal dettato della norma (“Gli aiuti, premi, contributi, compensazioni finanziarie erogati dall’AIMA devono intendersi interventi destinati al sostegno della produzione agricola e pertanto non sono prestazioni imponibili ai fini dell’IVA”), mentre la contestazione attiene al computo delle medesime voci ai fini delle imposte dirette.

3.6. Occorre tuttavia osservare che l’art. 85 tuir, comma 1, lett. h) (corrispondente all’art. 53, lett. f), ratione temporis applicabile), include nei ricavi “i contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge”, indicazione che trova la propria giustificazione proprio nella circostanza che gli stessi vengono corrisposti a titolo di integrazione dei ricavi stessi o a copertura di spese di gestione, sicchè si tratta di somme che, in sostanza, rappresentano una vera e propria componente del prezzo della fornitura che verrà posta in essere.

Analoga conclusione vale per i contributi in conto impianti: l’art. 88 tuir, comma 3, lett. b) (corrispondente all’art. 55 tuir, comma 3, lett. b) nel testo ratione temporis vigente), include, a seguito della modifica ad opera della L. n. 449 del 1997, art. 21, comma 4, lett. b, i contributi in conto impianti (per l’acquisto di beni ammortizzabili) tra le sopravvenienze attive, traducendosi, anche qui e in linea con i principi contabili internazionali, in ricavi anticipati.

Entrambe queste voci, dunque, hanno una relazione diretta con lo scopo mutualistico, integrando il prezzo o il valore del conferimento, e, quindi, vanno assimilate nella valorizzazione dei conferimenti dei soci, sì da confluire, poi, nei ristorni riconosciuti ai medesimi.

3.7. Diversa conclusione, invece, riguarda gli “oneri e proventi straordinari”, che costituiscono una categoria eterogenea nella quale confluiscono – in coerenza con il principio OIC n. 12 come formulato all’epoca – tutti quei costi e ricavi estranei all’attività ordinaria o non riferibili ad operazioni svolte abitualmente dall’impresa, come tali estranei allo scambio mutualistico tra soci e società.

Ne deriva che le componenti straordinarie non concorrono alla valorizzazione dei conferimenti dei soci dell’esercizio al fine di evitare che al socio venga riconosciuto un valore estraneo allo scambio mutualistico.

E appena il caso di sottolineare, seppur il profilo sia estraneo al presente giudizio, che la modifica del principio OIC n. 12 operata nel 2014 (da cui, poi, la successiva soppressione della lett. E) dell’art. 2425 c.c., per effetto del D.Lgs. n. 139 del 2015) ha espunto tale categoria, dovendo le singole voci essere collocate in ragione della specifica natura.

3.8. Va dunque affermato il seguente principio di diritto:

“in tema di agevolazioni tributarie a favore delle società cooperative, ai fini della valorizzazione dei conferimenti dei soci assumono rilievo i contributi in conto esercizio, ex art. 53 tuir, lett. f, ratione temporis vigente (ora 85, comma 1, lett. h), e i contributi in conto impianto, ex art. 55 tuir, comma 3, lett. b, nel testo ratione temporis vigente (ora 88, comma 3, lett. b), trattandosi di importi che rappresentano, quale integrazione dei ricavi o ricavi anticipati, una vera e propria componente del prezzo della fornitura che verrà posta in essere, sicchè hanno una relazione diretta con lo scopo mutualistico; non rilevano, invece, gli importi per “oneri e proventi straordinari”, già previsti dall’art. 2425 c.c., lett. e, nel testo vigente ratione temporis e soppresso dal D.Lgs. n. 139 del 2015, trattandosi di costi e ricavi non riferibili all’attività ordinaria o alle operazioni svolte abitualmente dall’impresa, come tali estranei allo scambio mutualistico tra soci e società”.

4. Orbene, la CTR ha limitato la sua valutazione alla sussistenza dei requisiti formali statutari, che ha ritenuto rafforzata dagli esiti della relazione ispettiva ministeriale, ma, nel valutare la sussistenza sostanziale dei presupposti, non si è attenuta ai principi di diritto su esposti, in ispecie con riguardo agli oneri e proventi straordinari.

Infine, quanto alla rilevanza, in tale ambito, della richiamata relazione ministeriale, è sufficiente ricordare che secondo la costante giurisprudenza della Corte “ai fini del riconoscimento delle agevolazioni o esenzioni tributarie in favore delle società cooperative, la conformità degli statuti ai principi legislativi in materia di mutualità comporta una presunzione di spettanza dei benefici, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 14, in relazione al D.Lgs.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 26, la cui natura, peraltro, è relativa e non impedisce all’Amministrazione finanziaria di disconoscere, per ogni singolo periodo di imposta, la spettanza delle suddette agevolazioni ove dimostri, con accertamento basato su dati concreti nel cui ambito assume particolare rilievo l’osservanza della disciplina in tema di devoluzione di utili, che la veste “mutualistica” funge da copertura ad una normale attività imprenditoriale” (Cass. n. 21959 del 25/09/2013).

5. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1, 2, 3,4 e 5, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, per aver la CTR ritenuto giustificata la differenza tra le giacenze fisiche rinvenute all’atto dell’ispezione e i dati inventariali in assenza di prova contraria con le modalità di legge e a fronte di gravi anomalie del libro degli inventari.

5.1. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sui medesimi profili insufficiente motivazione.

6. I motivi, che possono essere esaminati unitariamente per connessione logica, sono fondati, esclusa ogni inammissibilità, non risolvendosi le censure nè in un riesame del merito, nè in una omessa pronuncia.

6.1. E’ palese, infatti, che, trattandosi di ripresa anche ai fini Iva, la CTR non si è attenuta, nella sua decisione, alle modalità di prova indicate dal D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1,2 e 3 (v. da ultimo Cass. n. 31273 del 04/12/2018, secondo cui “in tema di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, in base al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, comma 2, le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d), o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate, costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo, presunzione che è relativa e superabile non con qualunque mezzo di prova, ma solo con le prove tassativamente indicate dal citato D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 2”), tanto più a fronte delle rilevanti differenze quantitative di prodotto, specificamente e puntualmente contestate dall’Agenzia delle entrate, come risulta dall’atto di appello e dallo stesso avviso riprodotto in parte qua per autosufficienza, sì da far altresì ritenere insufficiente e generica l’affermazione che le “quantità accertate sostanzialmente coincidevano con quelle dichiarate” e ciò, a maggior ragione” a fronte delle gravi anomalie contabili del libro degli inventari, il cui apprezzamento è stato ingiustificatamente trascurato dalla CTR.

7. In accoglimento del primo, terzo e quarto motivo, assorbito il secondo, la sentenza va pertanto cassata, con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, nei termini di cui in motivazione, il terzo e il quarto motivo, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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