Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1170 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 15/09/2020, dep. 21/01/2021), n.1170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7563-2012 proposto da:

CONSORZIO MIXER IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA F. SIACCI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO VOGLINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO BENINCASA;

– ricorrente-

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 42/2011 della COMM.TRIB.REG. del Lazio,

depositata il 08/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott.ssa MARIA CASTORINA ROSARIA;

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consorzio Mixer in liquidazione presentava, in data 12 giugno 2003, la dichiarazione per la definizione dei ritardati od omessi versamenti ai fini IVA per gli anni di imposta 1998 e 1999, della L. 27 dicembre 2002, n. 289, ex art. 9 bis, optando per la ripartizione dei pagamenti in quatto rate di cui non versava la seconda.

In data 10 maggio 2004 decideva di avvalersi della riapertura dei termini, successivamente prevista dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 45, presentando una seconda istanza di condono al fine di saldare la rata non pagata l’anno precedente.

L’Agenzia delle entrate, in data 24 febbraio 2006, notificava il diniego della definizione dei ritardati od omessi versamenti in quanto formalmente errata e con versamenti tardivi; la società contribuente impugnava il diniego.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza 301/30/2008 accoglieva il ricorso.

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 42/06/11, depositata in data 8.2.2011, accoglieva l’appello dell’ufficio sul presupposto che la riapertura dei termini non consentiva pagamenti tardivi relativi alla procedura avviata con la pregressa normativa del 2002.

Avverso la sentenza di appello il Consorzio contribuente propone ricorso per Cassazione affidando il suo mezzo a un motivo.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9-bis e della L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, comma 45, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere la C.T.R. ritenuto che l’omesso versamento delle rate di condono costituisse causa di mancato perfezionamento del condono medesimo alla quale non poteva porsi rimedio (anche) con istanza presentata a seguito della riapertura dei termini di scadenza della relativa proposizione.

La censura non è fondata.

Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il condono tributario previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9-bis, (come modificato dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 45 – legge finanziaria per il 2004) ha struttura e funzione (c.d. clemenziale) diversa dalle altre forme di sanatoria previste della medesima legge, artt. 8, 9, 15 e 16; ne discende che, in ipotesi di pagamento rateale, ai fini del perfezionamento del condono – che produce la definizione della lite pendente – non è sufficiente il pagamento della prima o di alcune rate, ma è necessario l’integrale pagamento nei termini perentori stabiliti per il versamento in un’unica soluzione ovvero a rate, in difetto restando legittimata l’Amministrazione finanziaria al recupero della originaria imposta dovuta (v. e plurimis Cass. n. 20745 del 2010; n. 19546 del 2011; n. 21364 del 2012; n. 10309, n. 10650, n. 25238 del 2013; n. 9440 e n. 20435 del 2014; n. 420, n. 5116, n. 7852, n. 8149, n. 8209, n. 8420, n. 9543, n. 10583, n. 10881 del 2015, n. 5165 del 2017).

Ripercorrendo le argomentazioni di Cass. 19 gennaio 2018, n. 1317, presupposto necessario per l’adesione al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9 bis è infatti, come spiega la chiara lettera della norma, il ritardo o l’omissione di pagamenti risultanti dalle dichiarazioni annuali, non anche il ritardo o l’omissione di pagamenti relativi ad altro e diverso condono (nella specie quello di cui alla stessa L. n. 289 del 2002, art. 9 bis).

La ratio del condono fiscale è infatti, come sottolineato da Cass. 29 novembre 2013, n. 26767 (secondo cui la disciplina del condono risponde all’esigenza di conseguire risorse per lo Stato entro i termini perentori connessi alla redazione del bilancio statale) e da Cass., S.U., 6 luglio 2017, n. 16692, quella di recuperare risorse finanziarie e di ridurre il contenzioso (così assecondando appunto i principi di parità del bilancio di cui all’art. 81 Cost. e di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.), nel rispetto però delle previsioni costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost., che conferiscono alle norme in tema di condono carattere di stretta interpretazione, in ragione della loro obiettiva deroga al principio di uguaglianza nel trattamento fiscale dei cittadini davanti al Fisco; qualora infatti si consentisse di applicare le norme in tema di condono anche per debiti nei confronti dell’Erario derivanti da precedenti condoni, si sacrificherebbero eccessivamente i principi di uguaglianza davanti al Fisco, di ragionevolezza (espressione del principio di uguaglianza), di certezza del diritto (parimenti espressione del principio di uguaglianza (in questo senso Corte Cost. n. 219 del 2013) e del dovere di tutti di contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, perchè il contribuente verrebbe irragionevolmente ad usufruire due volte, per la stessa imposta, di un atto clemenziale dettato da contingenti ed eccezionali esigenze finanziarie e di carico giudiziario, che verrebbero ad assumere un peso eccessivo nel delicato bilanciamento di valori con i citati artt. 3 e 53 Cost., oltretutto con un assai discutibile ed evanescente contributo proprio alle suddette esigenze finanziarie dello Stato (in ragione dell’esiguità della somma recuperata dal Fisco, falcidiata da un doppio condono) e della ragionevole durata dei processi (a causa del contenzioso relativo all’ammissibilità del “condono di condono”).

Ritenere dunque ammissibile, in via interpretativa, un “condono di condono”, determinerebbe l’introduzione, in via surrettizia e generalizzata, di nuova forma di condono, circostanza più volte stigmatizzata dalla Corte costituzionale (Corte Cost. nn. 229, e 232 del 2017; 233 del 2015), la quale, proprio per la delicatezza della materia e la difficoltà di trovare il giusto equilibrio tra i diversi principi costituzionali, ha anche costantemente affermato la competenza esclusiva dello Stato in tema di condoni, proprio a voler sottolineare la centralità e l’esclusività del Parlamento nella decisione circa l’opportunità degli stess4, escludendo così implicitamente da tale decisione gli altri poteri dello Stato (non solo le Regioni, ma anche la Magistratura).

Questa Corte ha, in numerose occasioni, sia sottolineato la natura di stretta interpretazione delle norme in tema di condono (Cass. 28 luglio 2017, n. 18792; 17 luglio 2017, n. 18424; 8 novembre 2013, n. 25238; 30 novembre 2012, n. 21364), sia l’illegittimità del cd. “condono di condono” (da ultimo la già citata Cass. 19 gennaio 2018, n. 1317; Cass.28 dicembre 2011, n. 29217 e 24 settembre 2010, n. 20142; Cass., S.U., 25 luglio 2007, n. 16412.

Ancora, ha affermato Cass. 24 ottobre 2011, n. 22065, che la definizione agevolata di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9 bis, non può avere ad oggetto le rate di una precedente istanza di definizione, presentata ai sensi della medesima norma, rimaste insolute.

Non può poi non ricordarsi, la sentenza C-132/06 del 17 luglio 2008 con la quale la Corte di Giustizia – a proposito dalla L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, in questione – ha accolto i rilievi della Commissione ritenendo che il sistema comune in materia di IVA impone ad ogni Stato membro di adottare tutte le misure più idonee affinchè il tributo in esame venga integralmente riscosso.

Quale logico corollario di tale affermazione ne è derivata la dichiarazione di incompatibilità con la Direttiva citata di quelle norme che possano pregiudicare la riscossione effettiva dell’imposta o introdurre differenze significative nel trattamento dei soggetti passivi; che secondo la Corte di Giustizia, effetti di tal tipo conseguono dalla normativa sul condono, avendo lo Stato italiano, con la citata L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, di fatto rinunciato all’accertamento delle operazioni imponibili ed alla riscossione della relativa imposta, a fronte del pagamento da parte dei contribuenti, che decidono di aderire al condono, di una somma “non equivalente” all’imposta effettivamente dovuta; i giudici Europei, dopo avere stigmatizzato il condono quale istituto che di fatto favorisce i contribuenti colpevoli di frode (in termini espliciti l’affermazione è contenuta nel par. 47), concludono dichiarando l’inadempimento dello Stato italiano agli obblighi imposti dagli artt. 2 e 22 della sesta direttiva, nonchè dall’art. 10 del Trattato CE.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 3000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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