Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11696 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/05/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 05/05/2021), n.11696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13292/2013 R.G. proposto da:

D.A.C. DISTRIBUZIONE ARTICOLI CASALINGHI DI C. & C S.N.C.,

in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso

dall’Avv. Paolo Vermiglio, elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. Pietro Saija, in Roma, via della Mercede n. 11,

palazzo Bernini;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia, sez. staccata di Messina, n. 22/2/2012 depositata il 2

aprile 2012, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 25 novembre 2020

dal consigliere Pierpaolo Gori.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Messina, veniva rigettato l’appello proposto dalla D.A.C. Distribuzione Articoli Casalinghi di C. & C. S.n.c. avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Messina n. 167/10/2006 la quale, a sua volta, aveva rigettato il ricorso della contribuente proposto contro un avviso di rettifica IVA e sanzioni 1996, a seguito di tentativo di adesione non andato a buon fine.

– Le riprese, integralmente confermate dalla CTR, traevano origine da accertamenti bancari da cui emergevano violazioni degli obblighi relativi alla contabilità, operazioni imponibili non dichiarate, tra cui versamenti per Euro 140.829,35 (Lire 272.683.593) e prelevamenti per Euro 132.119,18 (Lire 255.818.347), oltre a violazione degli obblighi di dichiarazione.

– Avverso la decisione propone ricorso la contribuente per tre motivi, che illustra con memoria, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso la contribuente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2 e art. 54, in relazione all’affermazione della CTR di omessa integrazione della prova contraria circa i contestati versamenti e prelevamenti sui conti. Al proposito la Corte osserva che, benchè la rubrica del mezzo menzioni i soli versamenti, nel corpo del motivo si fa riferimento in modo dettagliato anche ai prelevamenti alle pagg.32 e 33 del ricorso. La contribuente riprende così una domanda già rassegnata avanti al giudice di primo grado e riproposta con il secondo motivo di appello, avanti al quale la società aveva ribadito di aver cessato la propria attività nel 1994 offrendo giustificazioni delle movimentazioni bancarie contestate, in particolare distinte di sconto di effetti cambiari e titoli di favore emessi da amici del legale rappresentante al fine di creare temporanea provvista finanziaria alla società e riscossione di crediti.

– Con il secondo motivo di ricorso ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contribuente deduce l’omessa motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia, in relazione alle medesime circostanze oggetto della prima censura.

– I motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e relativi al contenuto della prova liberatoria ai fini del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione alle operazioni bancarie contestate. Gli stessi non sono inammissibili, non essendo diretti ad una mera rivalutazione della prova come eccepito in controricorso, ma a censurare l’applicazione del canone della prova liberatoria dalla presunzione in materia di accertamenti bancari e sono fondati, nei termini che seguono.

– Premesso che nel caso di specie non si verte nell’ipotesi di domanda di rimborso IVA presentata a seguito della cessazione dell’attività di impresa e che comunque la CTR ha preso in carico, tra l’altro, la difesa della contribuente circa la cessazione dell’attività nell’anno 1994, si ribadisce che “In tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio “praesumptum de praesumpto non admittitur” (o “divieto di doppie presunzioni” o divieto di presunzioni di secondo grado o a catena) sia perchè tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c., nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perchè, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicchè non ricorrerebbe nel caso di specie.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 15003 del 16/06/2017, Rv. 644693 – 01). Orbene, nel caso di specie la CTR correttamente ritiene che la presunzione discendente dall’applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, sia una presunzione legale e non semplice e che ammetta prova contraria, ossia vada qualificata come relativa e non assoluta.

– Ciò detto, in ricorso vengono riprodotte analiticamente le documentazioni poste all’attenzione del giudice d’appello asseritamente giustificative dei singoli movimenti contestati dall’Agenzia, tanto in relazione ai versamenti quanto ai prelevamenti, e spetta al giudice del merito accertare, altrettanto rigorosamente, se trattasi di documentazione idonea o no a vincere la presunzione legale relativa, e se completamente o in parte (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10480 del 03/05/2018, Rv. 648064 – 01).

– Se è vero che nel caso di specie la CTR correttamente afferma che in generale tale presunzione può essere vinta dal contribuente fornendo prova contraria in relazione al singolo movimento contestato, con riferimento al caso concreto il giudice d’appello si è pronunciato in modo troppo sbrigativo, idoneo ad essere censurato, come è stato fatto, quantomeno sotto il profilo della motivazione omessa, o comunque insufficiente, nella parte in cui apoditticamente si limita a statuire che la documentazione prodotta per la prima volta in appello

– come era facoltà della contribuente fare – non è rilevante.

– Tale argomentazione si colloca a livello di omessa (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9113 del 06/06/2012, Rv. 622945 – 01) o comunque quantomeno di insufficiente motivazione, censura complessivamente prospettata nel corpo del secondo motivo che richiama il primo, avuto anche riguardo al fatto che nella fattispecie nella quale trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo anteriore al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 11 agosto 2012, n. 143.

– Alla luce di quanto precede va dunque precisato il seguente principio di diritto: “In tema di IVA e di accertamenti bancari, grava sul contribuente l’onere di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, e il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, avuto riguardo per ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione, e la mancanza di tale controllo è utilmente censurabile sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile catione temporis, per omessa o comunque insufficiente motivazione (Fattispecie nella quale trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo anteriore al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 11 agosto 2012, n. 143)”. A tale principio si atterrà il giudice del rinvio nel riesaminare il profilo evidenziato.

– Con il terzo motivo di ricorso la contribuente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, comma 6 e art. 51, comma 2, n. 2, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, quanto ai prelevamenti sui conti per Euro 132.119,18 (Lire 255.818.347), circa la statuizione del giudice d’appello sull’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente in presenza di accertamenti bancari, considerati ricavi non annotati anzichè acquisti senza fattura.

– Il motivo è assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi che per le ragioni esposte investono la sentenza impugnata anche con riferimento alle contestazioni dell’Agenzia circa i prelevamenti.

– In conclusione, accolti i motivi primo e secondo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, assorbito il terzo, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi primo e secondo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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