Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11693 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 9306/2010 proposto da:

ANTICHITA’ FIORILLO SRL ((OMISSIS)) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

NIZZA 22, presso lo studio dell’avvocato BRENCIAGLIA ENRICO,

rappresentata e difesa dall’avvocato COSTA Cesare giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1024/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

6/3/09, depositata il 07/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ANTONIETTA

CARESTIA.

La Corte, letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 31 marzo 20010 l’Antichità Fiorillo S.r.l. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 7 aprile 2009 dalla Corte d’Appello di Roma, confermativa della sentenza del Tribunale di Viterbo che, riunite tre cause, aveva rigettato sia la domanda di risoluzione del contratto di locazione proposta dalla società per inadempimento della locatrice C.G., sia l’opposizione a decreto ingiuntivo afferente il pagamento di canoni scaduti e non pagati, mentre aveva dichiarato la risoluzione del contratto per inadempimento della società locataria per mancato pagamento dei canoni.

C.G. non ha espletato attività difensiva.

2 – I quattro motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

3. – Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa pronuncia. Il tema è l’eccepita carenza di legittimazione attiva e di interesse ad agire della C., che aveva perso il potere di disporre dell’immobile per effetto della procedura esecutiva gravante sul medesimo.

Il vizio di omessa pronuncia va fatto valere ai sensi dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 e non del precedente n. 3.

Comunque è agevole rilevare: a) la censura non è autosufficiente poichè non trascrive le pertinenti parti dell’atto di appello, adempimento necessario per accertare che la questione avesse formato oggetto di specifico motivo di gravame; b) comunque la Corte territoriale l’ha esaminata (pagg. 6 e 7); c) il quesito finale si rivela inidoneo poichè non postula l’enunciazione di un principio di diritto, decisivo per il giudizio e di applicabilità generalizzata, fondato sulla norma indicata, ma piuttosto una verifica della correttezza della sentenza impugnata.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione (non specificate come se sì trattasse di sinonimi) degli artt. 2912 e 820 c.c., nonchè artt. 65 e 560 c.p.c., art. 171 disp. att. c.p.c..

Anche questa censura si conclude con un quesito inidoneo perchè non da ragione delle numerose violazioni e false applicazioni di norme di diritto denunciate, prescinde totalmente dalla motivazione della sentenza impugnata, omette di indicare la regula juris da questa erroneamente applicata.

Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sotto diverso profilo; omessa pronuncia.

Il tema è l’avere la locatrice sottaciuto la circostanza che l’immobile locato era già all’epoca della conclusione del contratto oggetto di pignoramento. Per questa censura valgono le argomentazioni svolte per il primo motivo circa erronea individuazione della norma di riferimento (n. 4 e non n. 3 dell’art. 360 c.p.c.), mancanza di autosufficienza e inidoneità del quesito.

Il quarto motivo ipotizza violazione/errata applicazione dell’art. 1573 c.c. e art. 15 delle condizioni del contratto nonchè degli artt. 1453, 1455 e 1460 c.c..

La censura viola palesemente l’art. 366 c.p.c., n. 6, con riferimento al contratto in essa menzionato. Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile. Inoltre il duplice quesito finale non consente l’enunciazione di principi di diritto in quanto implica necessariamente valutazioni di merito non consentite in questa sede.

4.- La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti;

La ricorrente ha presentato memoria; nessuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte con la memoria non scalfiscono i molteplici rilievi contenuti nella relazione;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; nulla spese;

visti gli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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