Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11692 del 08/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 08/06/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 08/06/2016), n.11692

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5472/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

e contro

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3735/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA del 24/06/2014, depositata il 08/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/05/2016 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di B.G. (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 3735/46/2014, depositata in data 8/07/2014, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’imposta di registro dovuta su di un decreto ingiuntivo e sulla ricognizione di debito, ivi enunciata, avente valenza di transazione (con applicazione conseguente dell’imposta proporzionale del 3%) – è stata parzialmente riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame del contribuente, premesso che non era in contestazione l’aliquota di imposta applicata sul decreto ingiuntivo ma quella applicata dall’Ufficio sulla contestuale ricognizione di debito e transazione ivi enunciata, hanno sostenuto che, trattandosi in effetti di “atto di riconoscimento di debito”, che “non costituisce autonoma fonte di obbligazione ma ha soltanto etto conservativo di un preesistente rapporto fondamentale”, doveva essere applicata, “vista la natura dell’atto”, l’aliquota dell’1% in luogo di quella del 3%.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di un fatto discusso e decisivo, vale a dire il contratto di “riconoscimento di debito e transazione” e la natura del suddetto atto tassato, ex art. 20 del T.U.R., preliminare rispetto alla determinazione dell’aliquota applicabile. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia poi un vizio di violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20, 22 e 29, art. 9 della Tariffa, Parte 1^, allegata al TUR, in combinato disposto con gli artt. 1362 c.c. e segg. e art. 1965 c.c., dovendo l’atto registrato essere tassato in base alla sua intrinseca natura, da valutare, secondo le regole generali di ermeneutica contrattuale.

2. La prima censura è inammissibile.

Occorre premettere che, essendo impugnata una sentenza emessa in appello e pubblicata nel luglio 2014 (successivamente quindi all’11/09/2012), il ricorso per cassazione è, soggetto alla più restrittiva disposizione processuale introdotta dal cd. Decreto Sviluppo, per circoscrivere l’impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, al solo “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Premessa la piena operatività nel giudizio di cassazione in materia tributaria del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato (Cass. 8053 e 8054/2014) che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice detto di “sufficienzta” della motivazione” (cfr. ord. 21257/2014).

Nel caso in esame, è da escludere che ci si trovi innanzi a una di quelle patologie estreme dell’apparato argomentativo, tale da rientrare in quel “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, delineato dalla Sezioni Unite.

Infatti, nel nuovo assetto del giudizio di legittimità, il vizio specifico denunciabile per cassazione comma 1 n. 5 cit. è relativo al solo omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo. Nella specie, viene contestato non l’omesso esame di specifici fatti storici, quanto il vaglio, in concreto, operato dal giudice di appello, sulla natura di uno dei due atti (il negozio giuridico richiamato nel decreto ingiuntivo) oggetto di registrazione e tassazione.

3. Il secondo motivo è, invece, fondato.

Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, in rubrica “Interpretazione degli atti”, statuisce che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente” ed, in ambito fiscale, si pone in maniera complementare alla disposizione civilistica in tema di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c., che, nell’interpretazione del contratto, fa carico all’interprete d’indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole, a tal fine valutando il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto.

Questa Corte ha, più volte, chiarito che trattasi non soltanto di una norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione intesa ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario il quale è dato dall’oggetto e viene fatto coincidere con gli effetti giuridici indicativi della capacità contributiva dei soggetti che compiono gli atti (cfr. Cass. n. 2713/2002).

La sentenza impugnata, nel contesto di una valutazione della fattispecie in esame (“vista la natura dell’atto”, è scritto in motivazione), ha ritenuto che l’atto in oggetto configurasse una mera ricognizione di debito, conservativa di pregressa obbligazione e non sostitutiva con nuove obbligazioni autonome, e quindi non una transazione, con conseguente applicabilità dell’aliquota ridotta nella misura dell’1%.

Tuttavia, ricorre una transazione con efficacia novativa, quando risulti una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato nell’accordo transattivo, di guisa che dall’atto sorgano reciproche obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti. Cosicchè si è ritenuto che “al di fuori dell’ipotesi di un’espressa manifestazione di volontà delle parti in tal senso, il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni, ovvero se esse si siano limitate ad apportare modifiche alle obbligazioni preesistenti senza elidere il collegamento con il precedente contratto, il quale si pone come causa dell’accordo transattivo che, di regola, non è volto a trasformare il rapporto controverso” (Cass. 15444/2011).

Con il motivo è censurato dunque un error in iudicando, avendo i giudici d’appello dato rilievo, nella ricostruzione volontà delle parti, all’aspetto ricognitivo/conservativo di un debito pregresso, malgrado, sotto il profilo dell’interpretazione letterale del negozio, lo stesso fosse denominato “contratto di riconoscimento di debito e transazione” e, sotto l’aspetto della effettiva volontà delle parti, il creditore avesse rinunciato ad una parte del credito (passato “da Euro 380.000,00” ad “Euro 6350.000,00”, come riportato in ricorso), a fronte della fissazione di un termine finale di pagamento (in due tranches).

La verifica interpretativa operata dal giudice di merito non può essere riproposta in questa sede di legittimità (vedi Cass. 19044/2010).

Nella specie, si verte, invece, in tema di denuncia del mancato rispetto dei canoni legali di ermeneutica ed, effettivamente, la sentenza della C.T.R. non risulta averli rispettati.

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo motivo del ricorso, inammissibile il primo, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T.R. Lombardia in diversa composizione per nuovo esame. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2016

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