Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11690 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/05/2017, (ud. 13/04/2017, dep.11/05/2017),  n. 11690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5435-2012 proposto da:

G.P., rappresentato e difeso da se medesimo, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA MONTE ZEBIO 7, presso lo studio

dell’avvocato G.P.;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI NAPOLI UFFICIO PROVINCIALE;

– intimato –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI NAPOLI DIREZIONE PROVINCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 64/2012 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 10/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2017 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. L’avv. G.P. propone, in proprio, due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n.64 del 10.1.12, con la quale la commissione tributaria regionale della Campania ha confermato la decisione di compensazione delle spese di lite presa dalla commissione tributaria provinciale di Napoli con sentenza n. 132/11; nonostante che quest’ultima avesse ritenuto illegittimo il silenzio-rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria alla sua domanda di rimborso della somma di Euro 236,00, pagata in eccedenza sul contributo unificato riscosso al momento dell’iscrizione a ruolo di una causa di impugnativa di delibera condominiale.

L’agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva in questa sede.

L’avv. G. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

p. 2.1 Con il primo ed il secondo motivo di ricorso il G. lamenta, rispettivamente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – insufficiente motivazione su un punto controverso del giudizio, nonchè violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.. Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto corretta la compensazione delle spese del primo grado di giudizio (oltre che del secondo) in considerazione di non meglio precisati “motivi di equità”. Senza, con ciò, dare conto dell’esistenza di serie ragioni di deroga alla regola generale della causalità processuale e della soccombenza.

p. 2.2 I due motivi di ricorso, congiuntamente valutati, sono fondati.

Sul piano normativo, si osserva che la disciplina delle spese di lite era nella specie desumibile dall’art. 92 c.p.c., comma 2″, come modificato, per i giudizi introdotti dopo il 1 marzo 2006, dalla L. n. 263 del 2005; secondo cui: “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.

Non può dirsi che il giudice di appello abbia rispettato questo dettato legislativo, nella parte in cui subordina la compensazione delle spese di lite, in assenza di soccombenza reciproca, al concorso di “giusti motivi” che debbono essere “esplicitamente indicati nella motivazione”.

L’unica ragione di compensazione ivi indicata attiene infatti alla asserita esistenza di “adeguati motivi di equità”. Formula, quest’ultima, del tutto generica e valevole per ogni ipotesi, in quanto avulsa dalla concretezza della fattispecie e non riferita ad alcuna peculiare connotazione del procedimento o del diritto in esso dedotto; diritto (al rimborso) di cui il contribuente aveva conseguito pieno ed incondizionato riconoscimento.

Si è affermato, in proposito (Cass. n. 11130/15), che: “nel regime introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), e anteriore a quello modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve essere esplicitamente motivato. Ove non vi abbia provveduto il primo giudice, i giusti motivi possono, per colmare il tenore della pronuncia di primo grado, essere indicati, in sede di appello, dal giudice chiamato a valutare la correttezza della statuizione sulle spese, il quale nell’esercizio del potere di correzione, può dare, entro i limiti del “devolutum”, un diverso fondamento al dispositivo contenuto nella sentenza impugnata”; e, inoltre, che: “in tema di spese giudiziali, nei giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della L. 28 dicembre 2005, n. 263, il giudice può procedere a compensazione parziale o totale tra le parti in mancanza di soccombenza reciproca solo se ricorrono “giusti motivi” esplicitamente indicati nella motivazione, atteso il tenore dell’art. 92 c.p.c., comma 2, come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. a) Legge citata” (Cass. 13460/12).

Deve pertanto concludersi nel senso che – sulla base dell’art. 92 c.p.c., comma 2, mod. dalla L. n. 263 del 2005 cit. – la compensazione delle spese, in difetto di soccombenza reciproca, per non meglio precisati “motivi di equità”, non soddisfa l’onere di individuazione ed esplicita indicazione dei giusti motivi legittimanti tale compensazione.

Ciò va detto pur tenendo conto dell’obiettiva esiguità economica della lite e dell’esercizio di autodifesa da parte dell’avv. G., costituitosi in proprio; si tratta infatti di aspetti che non giustificano il sostanziale accollo a suo carico, in sede di compensazione integrale nonostante la piena vittoria nella lite, di spese ed esborsi addirittura superiori all’entità del credito spettantegli. Pena la menomazione, ex art. 24 Cost., del diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti; tutela per la quale non è dall’ordinamento richiesto, allo stato, il superamento di una determinata soglia di rilevanza economica.

Stante la ravvisabilità di entrambi i vizi denunciati, la sentenza impugnata va dunque cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c.; mediante accoglimento della domanda del G. di condanna dell’agenzia delle entrate alla rifusione – in ragione della regola generale di soccombenza delle spese di lite per entrambi i gradi di merito; oltre che per il presente giudizio di legittimità.

La liquidazione avviene come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

– accoglie il ricorso;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna l’agenzia delle entrate alla rifusione delle spese di lite, che liquida come segue: per il primo grado di giudizio, in Euro 440,00; per il secondo grado di giudizio, in Euro 400,00; per il presente giudizio di legittimità, in Euro 320,00; il tutto oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 13 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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