Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1169 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. I, 18/01/2017, (ud. 30/11/2016, dep.18/01/2017),  n. 1169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

Fallimento (OMISSIS) s.p.a., in persona del curatore fall. p.t.,

rappr. e dif. dagli avv. Fabio Santangeli e Ettore Rizza, elett.dom.

in Roma, presso lo studio dell’avv. Fabio Pisani, Circonvallazione

Clodia n. 36/A, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.p.a. – SI.TE.CO. s.p.a. in liquidazione, in persona del

liquidatore p.t., rappr. e dif. dagli avv. Vincenzo Trapanese e

Antonello Davi, elett.dom. presso lo studio dell’avv. Giovanni

Arcieri, in Roma, via Lungotevere Flaminio n. 66, come da procura in

calce all’atto;

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

Sudelettrica s.p.a.

Ditta D.C. di D.C.G.;

Onda s.r.l.

Co.me.co. s.r.l.

– intimati –

per la cassazione della sentenza App. Catania 18.6.2013 n. 1218 R.G

n. 218/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 30 novembre 2016 dal Consigliere relatore dott. Massimo

Ferro;

udito l’avv. E. Rizza per il ricorrente;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.

Salvato Luigi, che ha concluso per l’accoglimento dei primi tre

motivi, assorbito il quarto, il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

IL PROCESSO

La curatela del fallimento (OMISSIS) s.p.a. (fallimento) impugna la sentenza App. Catania 18.6.2013 n.218 con cui venne parzialmente accolto il reclamo della società (OMISSIS) s.p.a. ((OMISSIS)) proposto avverso la sentenza Trib. Siracusa 20.12.2012 di revoca dell’ammissione al concordato preventivo e contestuale dichiarazione di fallimento, così disponendo per un verso la conferma della predetta revoca e per altro la revoca della dichiarazione di fallimento.

Rilevò la corte che la società (OMISSIS), dopo essere stata ammessa al concordato preventivo, da essa richiesto con la forma della cessione dei beni ai creditori, aveva subito gli esiti del subprocedimento aperto dal tribunale ai sensi della L. Fall., art. 173 e ciò sulla base di pagamenti ai creditori effettuati dopo il concordato, alterazione delle cause di prelazione, errori nell’elenco dei creditori, difetto di indicazione delle società di leasing tra i titolari di diritti reali, inesatte rappresentazioni dei crediti, divergenze rispetto alla situazione patrimoniale effettiva, violazione di buona fede e correttezza, indicazione di un ingente credito invero inesistente. Tali rilievi attinenti e agli atti di frode e a profili di inammissibilità resi evidenti solo in corso di procedura sono stati così confermati, tranne il primo (apparendo invece consentiti i pagamenti per debiti sorti in corso di procedura e relativi ad atti di ordinaria amministrazione), sulla base di una contestazione puntuale e per profili decisivi.

Quanto invece ai presupposti per la contemporanea dichiarazione di fallimento, osservò la corte che vi era stata violazione del principio della domanda e del contraddittorio, posto che la sentenza dava conto di istanze di fallimento proposte da creditori non nel menzionato subprocedimento aperto L. Fall., ex art. 173, ma solo in precedenza ed in allora già dichiarate improcedibili, senza impugnazioni sul punto, dal tribunale stesso, nonostante l’erroneità della disposta sospensione, nè constando una ripresa di attività dei creditori medesimi.

Il ricorso principale è affidato a quattro motivi, ad esso resiste con controricorso e ricorso incidentale su cinque motivi la società debitrice (OMISSIS).

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente in via principale deduce la violazione di legge, quanto all’art. 2907 c.c., artt. 329 e 336 c.p.c., art. 1362 c.c., art. 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, avendo erroneamente la corte d’appello statuito su un capo della pronuncia di primo grado, attinente alla revoca della sentenza di fallimento, non direttamente impugnato dalla reclamante società e dunque ormai precluso al riesame, per intervenuta acquiescenza della parte, posto che l’effetto devolutivo non poteva dispiegarsi nella fattispecie, in cui sulla questione principale vi era stata reiezione del reclamo.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione della sentenza per extrapetizione, dunque in dispregio degli artt. 112, 342, 345, 346 e 739 c.p.c., art. 111 Cost., L. Fall., art. 18, nonchè art. 1362 c.c., art. 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la corte d’appello disatteso le regole di specificità dei motivi d’impugnazione e pronunciato d’ufficio su un motivo mai articolato dalla parte, la validità del procedimento prefallimentare.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto all’art. 101 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la corte d’appello pronunciato d’ufficio e su questione non sottoposta all’esame delle parti, così non rispettando il diritto al contraddittorio.

Con il quarto motivo il ricorrente fa valere la violazione della L. Fall., art. 173, oltre che dell’art. 1362 c.c., art. 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, posto che il fallimento era stato dichiarato su istanza di quattro creditori, che con la “sospensione” della relativa iniziativa non erano stato ritenuti rinuncianti dal tribunale ma solo non abilitati temporaneamente a conseguire una decisione, sicchè nessun valore andava attribuito alla mancanza di un’impugnazione di quelle statuizioni.

Con il primo motivo il ricorrente in via incidentale deduce la violazione di legge, quanto alla L. Fall., artt. 160, 161 e 173, art. 115 c.p.c., art. 1362 c.c., art. 12 preleggi, avendo misconosciuto la corte d’appello che il procedimento L. Fall., ex art. 173 non si era svolto su impulso del commissario giudiziale, avendo questi meramente presentato un’ordinaria relazione illustrativa della proposta di concordato e non avendo accertato atti di frode.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto alla L. Fall., artt. 90, 172, 173, artt. 101 e 115 c.p.c., art. 2697 c.c., artt. 24 e 111 Cost., art. 1362 c.c., art. 112 preleggi e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, essendo stati violati nella sentenza di primo grado, e non accertati dalla corte d’appello, vizi dei principi di terzietà del giudice, diritto di difesa, contraddittorio e corrispondenza tra prove e decisione.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione avendo la sentenza mal considerato come le ragioni poste a sostegno della revoca dell’ammissione al concordato esulavano dalle previsioni della L. Fall., art. 173, comma 1.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce la duplice violazione di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, quanto al principio della corrispondenza della decisione a quanto dedotto e provato e a quello dell’obbligo di motivazione corretta, essendosi la sentenza conformata superficialmente su quella di primo grado, non superando i limiti della motivazione per relationem.

Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto alla L. Fall., artt. 160, 161, 162 e 173, mal applicati ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, posto che la sentenza ha esteso la portata dei fatti decettivi di cui all’art. 173 oltre quelli accertati dal commissario giudiziale, fino ad investire supposte violazioni di legge, quanto a alterazione delle cause di prelazione, difetti nell’elenco dei creditori, assenza di esposizione dei diritti dei terzi, rappresentazione di un credito inesistente.

1. I primi tre motivi del ricorso principale, da affrontare in via congiunta, non sono fondati. Questa Corte già ha maturato il convincimento che, nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento la quale segua alla inammissibilità del concordato preventivo, vige un identico ed unitario principio di devoluzione piena della controversia al giudice dell’impugnazione. Invero, “l’effetto devolutivo pieno che caratterizza il reclamo avverso la sentenza di fallimento riguarda anche la decisione sull’inammissibilità del concordato, perchè parte inscindibile di un unico giudizio sulla regolazione concorsuale della stessa crisi, sicchè, ove il debitore abbia impugnato la dichiarazione di fallimento, censurando innanzitutto la decisione del tribunale sulla sua mancata ammissione al concordato, il giudice del reclamo, adito ai sensi della L. Fall., artt. 18 e 162, è tenuto a riesaminare, anche avvalendosi dei poteri officiosi previsti dalla L. Fall., art. 18, comma 10, tutte le questioni concernenti detta ammissibilità, pur attinenti a fatti non allegati da alcuno nel corso del procedimento innanzi al giudice di primo grado, nè da quest’ultimo rilevati d’ufficio, ed invece dedotti per la prima volta nel giudizio di reclamo ad opera del curatore del fallimento o delle altre parti ivi costituite.” (Cass. 12964/2016). E parimenti, avendo riguardo alla sentenza dichiarativa di fallimento, se sussiste un limite “ab origine della legittimazione processuale e sostanziale dello stesso soggetto istante, inidoneo ad avviare il procedimento prefallimentare, tale carenza è rilevabile in via officiosa anche in sede di reclamo, in quanto attinente alla sussistenza dell’indispensabile iniziativa di parte, la sola idonea a dare impulso al procedimento.” (Cass.16751/2013). Il principio ancor più decisivamente opera pertanto in quei subprocedimenti che, attivati all’interno della procedura concordatizia, ne permettono la conversione in fallimento, laddove gli espliciti richiami di regolarità del relativo svolgimento, com’è proprio della L. Fall., art. 173, sono oggi – dopo la riforma del 2006 saldamente ancorati alla necessità della domanda di parte, con divieto di iniziativa officiosa (Cass. 21478/2013) e semmai introducono mere semplificazioni organizzative dettate dal legislatore a fini di economia di giudizio, celerità di decisione, non dispersione del patrimonio istruttorio, coerenza della regolazione concorsuale in ragione della tipologia del dissesto. Non può dunque dirsi, per questa via, che il rilievo della corte d’appello, volto in thesi ad accertare il rispetto dei predetti principi, fosse precluso dalle ristrettezze contestative pur proprie dell’atto di impugnazione: per un verso, il complessivo reclamo contro la revoca dell’ammissione al concordato si palesava altresì quale atto di non acquiescenza alla regolazione fallimentare della propria insolvenza e per altro verso appare corretto ribadire che nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa dell’insolvenza il fascicolo della procedura è acquisito d’ufficio (diversamente da quanto accade nei procedimenti incidentali di verifica dello stato passivo, Cass. 23428/2016), orientamento a supporto della necessaria verifica che il giudice deve compiere che la decisione comunque impugnata sia stata voluta da una parte legittimata alla relativa domanda.

2. Il quarto motivo è fondato. Come di recente puntualizzato in tema da questa Sezione (Cass. 17764/2016), occorre conferire un significato di improcedibilità meramente temporanea e parziale – a superamento ed evoluzione di altri indirizzi (Cass. 9050/2014) – al principio che Cass. s.u. 9935/2015 ha inteso individuare in ogni atto con cui il tribunale, esplicitando una misura organizzatoria relativa alle domande di fallimento pendenti al momento della presentazione di una domanda di concordato preventivo ne affermi, a prescindere dalla denominazione impiegata, la inidoneità momentanea (cioè allo stato degli atti) ad essere decise nel solo senso positivo della conclusione voluta dagli istanti o richiedenti. Si è così statuito che “finchè la procedura di concordato preventivo non ha avuto un esito negativo, il creditore che ha chiesto di regolare la crisi attraverso il fallimento non può ottenere la relativa dichiarazione”. Tale inquadramento ha inteso superare sia la teorica della pregiudizialità tecnico-giuridica assoluta (“prevalenza” circoscritta essenzialmente al suo profilo meramente logico, id est il tendenziale esame preventivo della domanda di concordato), sia il principio della sospensione (anche atecnica ed invero comunque inammissibile): il procedimento prefallimentare è ancora extrema ratio rispetto alla primaria soluzione concordatizia, ma – pendendo la seconda domanda – nessuna conclusione lo può riguardare (rectius definire) “con una dichiarazione di improcedibilità”, potendo esso “proseguire con l’istruttoria e concludersi con il rigetto dell’istanza o della richiesta di fallimento”. Ne deriva che l’eventuale denominazione ciononostante ancora assunta in tal senso da un atto giudiziale, come accaduto nella vicenda in esame, risulta assorbita dai citati limiti ove la cd. improcedibilità (che le cit. Sezioni Unite puntualizzano chiarendo che non si ammette “il corso di un autonomo procedimento prefallimentare”, pendente il concordato, se non al verificarsi di uno degli eventi lato sensu negativi) sia dichiarata come mera conseguenza della apertura, nel frattempo disposta, del concordato preventivo, cui più puntualmente il debitore sia ammesso. Tale interpretazione appare armonica rispetto ad una latitudine dei poteri del debitore che vanno esplicitati dentro il solo perimetro della domanda, della proposta e del piano di concordato, senza che l’arresto parziale e in vista di una particolare decisione del procedimento per la dichiarazione di fallimento, alla stregua – più restrittivamente – di presa d’atto della necessità di non far luogo alla sola pronuncia di fallimento, d’ordinario e dunque salvo impropri utilizzi dell’istituto (in termini di abuso e su cui già Cass. s.u. 1521/2013), attribuisca al ricorrente debitore la potestà unilaterale assoluta di precludere indefinitamente l’iniziativa fallimentare, che già appartiene comunque all’unitario procedimento (Cass. 19592/2016). Tant’è che, è stato precisato e si ripete, “la pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162, 173, 179 e 180, ma non rende improcedibile il procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del P.M., nè ne consente la sospensione, ben potendo lo stesso essere istruito e concludersi con un decreto di rigetto.”. Il cd. decreto di improcedibilità (ovvero la sospensione impropria), in particolare emanato contestualmente all’ammissione del debitore al concordato preventivo, non implica allora in sè alcuna definizione negativa dell’istruttoria prefallimentare, non ne costituisce cioè una “decisione”, ma semmai puntualizza l’ambito provvisorio delle pronunce adottabili, per la stretta concomitanza della domanda debitoria volta all’ammissione al concordato e dunque in coordinamento con essa, in questo limitato significato potendo discorrersi di una sua mera “fase”, locuzione per il resto impropria.

3. Ne consegue, diversamente da quanto statuito dalla corte d’appello, che nessuna valenza preclusiva potrebbe discendere dalla mancata contestazione del riportato decreto. Si tratta infatti di provvedimento che, assunto quale pacifico atto ricognitivo di un temporaneo limite alle decisioni sul fallimento assumibili dal tribunale e attuativo del necessario coordinamento tra le procedure, fa procedere la trattazione della domanda di concordato perchè si giunga, il prima possibile, al suo esaurimento, e cioè alla decisione di essa. “Detto provvedimento non è dunque suscettibile – in questa veste – di alcuna utile impugnabilità, perchè non conformativo di un diritto dell’istante e comunque destinato ad essere superato in presenta di uno dei possibili incidenti del procedimento di concordato” (Cass. 17764/2016). Per un verso, infatti, i soggetti autori della relativa iniziativa conservano la pienezza dei poteri di impulso alla prosecuzione del descritto procedimento una volta che sia rimossa la condizione preclusiva ad una pronuncia positiva di fallimento, ma senza che l’arresto della trattazione della domanda fallimentare – benchè in thesi non assoluto, ai sensi dell’interpretazione adottata dalla stessa cit. Cass. s.u. 9935/2015, stante la possibile evoluzione in una decisione di rigetto, per il richiamo alla L. Fall., art. 22, comma 1 e art. 161, comma 10 – coincida con il completo esaurimento di un procedimento autonomo. Resta invece quel segmento di interlocuzione tra debitore, creditori o P.M. e tribunale, confinato come detto ad una “fase” del tutto in itinere, come tale suscettibile di ritrovare sviluppo e prosecuzione al verificarsi di un primo evento disciplinante (ancorchè in modo non definitivo) la domanda di concordato.

D’altronde, la L. Fall., art. 173, comma 21.f., laddove prevede che All’esito del procedimento, che si svolge nelle forme di cui all’art. 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza, reclamabile a norma dell’art. 18, suppone che già al momento della pronuncia negativa (al pari di quelle di cui al L. Fall., artt. 162, 179 e 180) il tribunale possa decidere in via definitiva anche le istanze di fallimento, oggetto di trattazione riunita (ai sensi dell’art. 273 c.p.c., secondo Cass. s.u. 9935/2015 e per come dà atto la stessa sentenza qui impugnata essere avvenuto nella vicenda). La disposizione non avrebbe alcun significato ovvero confliggerebbe con la richiamata già insorta costituzione del rapporto processuale se esigesse l’assoluta novità delle iniziative dei legittimati o la loro reiterazione. Tanto più che, a stretto rigore e per la tesi qui rigettata, quelle istanze dovrebbero inesorabilmente essere ogni volta dichiarate improcedibili se solo promosse pendente (ancora) il procedimento per l’ammissione del debitore al concordato preventivo.

4. I primi tre motivi del ricorso incidentale, da affrontare in via congiunta, non sono fondati. Dalla sentenza emerge con nettezza che vi è stato pieno allestimento del contraddittorio su quanto tratto dalla relazione del commissario giudiziale, per la cui redazione opera il principio per cui “Il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato preventivo, a norma della L. Fall., art. 173, comma 1, è aperto d’ufficio dal tribunale e non richiede una specifica richiesta in tal senso del commissario giudiziale, cui spetta solo il compito di accertare gli eventuali atti di frode compiuti dal debitore e di riferirne al tribunale, che, indipendentemente dalle espressioni usate dal commissario, procederà alla relativa qualificazione giuridica.” (Cass. 9271/2014). Nè può degradarsi a mera clausola di stile il pur esplicito riferimento proprio alla L. Fall., art. 173, riportato nella relazione di tale organo e come ammesso dallo stesso ricorrente incidentale: ciò che rileva è la inequivoca assunzione, da parte del tribunale, dei fatti ivi segnalati come presupposti per la rituale convocazione ordinata ai fini della revoca dell’ammissione e su cui ogni possibilità di difesa è stata attuata sia con il deposito in cancelleria sia con la concessione dei termini ad interloquire per note illustrative.

5. Il quarto motivo è infondato, posto che anche la corte d’appello, lungi dall’emettere una pronuncia di mero rinvio al contenuto motivazionale di quella di primo grado, ne ha condiviso il quadro giustificativo, ripercorrendo criticamente le ragioni della revoca dell’ammissione ed anzi accogliendo un profilo di censura del reclamo, con motivazione autonoma e dettagliata.

6. Il quinto motivo è infondato. Posto che l’inammissibilità della richiesta di concordato può essere rilevata in qualsiasi fase, è proprio la portata di duplice controllo di cui alla L. Fall., art. 173 a permettere la sussunzione nella fattispecie di revoca di ogni vicenda di inammissibilità, anche alla stregua della venuta meno delle condizioni di cui alla L. Fall., artt. 160 – 161 e ciò ai sensi della citata disposizione, u.c.. Così, si può ripetere che “Nella valutazione delle condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato preventivo, qualunque sia la sede in cui avvenga (ammissione L. Fall., ex art. 162, comma 2; revoca ex art. 173, comma 3; omologazione ex art. 180, comma 3), al tribunale non è consentito il controllo sulla regolarità ed attendibilità delle scritture contabili, ma è permesso il sindacato sulla veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti unitamente al ricorso (L. Fall., art. 161, comma 2, lett. a, b, c, e d), sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica, al fine di consentire ai creditori di valutare, sulla base di dati reali, la convenienza della proposta e la stessa fattibilità del piano. Resta, invece, precluso ogni sindacato sulla stima del valore degli elementi patrimoniali effettuata dal professionista attestatore, salvo il caso di incongruenza o illogicità della motivazione.” (Cass. 2130/2014, 12533/2014). E d’altronde, va ribadito che “nell’ambito dei fatti accertati dal commissario giudiziale rientrano, oltre ai fatti “scoperti” perchè del tutto ignoti nella loro materialità, anche i fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta di concordato e nei suoi allegati” (Cass. 9050/2014, 17191/2014).

Il ricorso principale va pertanto accolto, nei limiti sopra precisati, mentre va rigettato il ricorso incidentale, con cassazione senza rinvio e liquidazione delle spese del presente procedimento, come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, rigetta i primi tre; rigetta il ricorso incidentale; cassa senza rinvio; condanna il ricorrente incidentale al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 10.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi ed accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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