Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11689 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.S. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE FEDERICI 2, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRINI MARIA C, rappresentato e difeso dall’avvocato FREDA

ETTORE, giusta mandato speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ BARLETTA E. SRL (OMISSIS), in persona del suo

Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’1 20, presso

lo studio dell’avvocato SALVATORE SICA, rappresentata e difesa

dall’avvocato MEOLI BRUNO, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 513/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI

dell’11/2/09, depositata il 12/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ANTONIETTA

CARESTIA.

La Corte Letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 29 marzo 2010 R.S. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 12 febbraio 2009 dalla Corte d’Appello di Napoli, confermativa della sentenza del Tribunale di Avellino che aveva rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo per L. 6.896.765 emesso nei suoi confronti ad istanza della Barletta E. S.r.l. quale corrispettivo di fornitura merci.

La società intimata ha resistito con controricorso.

2 – I tre motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art 366 bis c.p.c. introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. Il tema trattato è il valore probatorio delle ricevute bancarie prodotte a prova dell’eccepito pagamento.

Le scarne argomentazioni addotte a sostegno della censura e il quesito finale peccano di genericità assoluta. In particolare, il quesito non postula l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulla norma indicata e risulta del tutto astratto e avulso dalla motivazione della sentenza impugnata.

Il secondo motivo ipotizza violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 1193 c.c. La censura non esplicita quali sarebbero “tutte le eccezioni e critiche mosse alle risultanze peritali prese a base del giudizio” e “le domande agitate dall’appellante”. Formula ben quattro quesiti di diritto – in palese violazione del criterio di specificità che il singolo motivo di ricorso deve presentare – tutti assolutamente astratti per le ragioni già indicate con riferimento al primo motivo.

Il terzo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

La censura, che contiene ampi riferimenti alle risultanze processuali e, quindi, implica non consentiti accertamenti fattuali e apprezzamenti di merito, risulta priva del prescritto momento di sintesi necessario per circoscrivere il fatto controverso e per specificare in quali parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza impugnata si riveli, rispettivamente, omessa, insufficiente, contraddittoria.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie nè alcuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali e aecessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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