Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11688 del 17/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/06/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 17/06/2020), n.11688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21659-2018 proposto da:

VIA INGEGNERIA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA S. BERNARDO N. 101, presso

lo studio dell’avvocato ARTURO CANCRINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROCCO VINCENZO VIRGALLUA;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI CASERTA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 532/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

PIETRO LAMORGESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato la Provincia di Caserta a pagare alla Via Ingegneria srl il saldo dei maggiori compensi per le prestazioni professionali, consistite nella progettazione definitiva ed esecutiva dei lavori di ammodernamento e adeguamento della SS Sessa-Mignano Nord, rese in attuazione della convenzione del 23 maggio 2003 e dell’atto integrativo del 2 ottobre 2003, il cui pagamento era condizionato al “preti accredito dei &aliti fondi da parte della Regione”.

Ad avviso del tribunale, il diritto della società attrice all’adempimento derivava dalla fictio di avveramento della condizione di cui all’art. 1359 c.c., atteso che la Provincia di Caserta, rimasta contumace, non aveva fornito la prova, della quale era onerata, di essersi attivata per ottenere il finanziamento.

Il gravame della Provincia di Caserta è stato accolto dalla Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 5 febbraio 2018, che ha rigettato la domanda della Via Ingegneria.

La Corte ha ritenuto che la fictio iuris di avveramento della condizione, di cui all’art. 1359 c.c., sia applicabile solo quando la condizione sia mancata per causa imputabile alla parte che abbia interesse contrario all’avveramento di essa, non nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una determinata prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione, come nel caso in esame.

Avverso questa sentenza la Via Ingegneria ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria. La Provincia di Caserta non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La società ricorrente denuncia con un unico motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 1358,1359 e 2697 c.c., per avere ritenuto inapplicabile la presunzione di avveramento della condizione, senza che la Provincia di Caserta appellante abbia provato il corretto adempimento dell’obbligo di buona fede che le imponeva di attivarsi per ottenere il finanziamento regionale e conservare integre le ragioni dell’altra parte, omettendo di valutare il sopravvenuto disinteresse della Provincia all’avveramento della condizione.

Il motivo è infondato.

Si deve premettere che, in tema di contratti con la pubblica amministrazione, il creditore che lamenti il mancato avveramento della condizione costituita dall’ottenimento di un finanziamento dell’opera progettata da parte di un soggetto terzo, cui sia subordinato il pagamento del compenso per l’opera professionale pattuita, ha l’onere di provarne l’imputabilità, ai sensi dell’art. 1359 c.c., al debitore, a titolo di dolo o colpa, mentre quest’ultimo è tenuto a dimostrare di avere adempiuto all’obbligo di buona fede di cui all’art. 1358 c.c. (Cass. n. 10844 del 2019). Ed infatti, in tale secondo caso, il creditore della prestazione deve unicamente provare il contratto, mentre l’amministrazione debitrice sub condicione del compenso deve dimostrare che il proprio comportamento sia stato conforme al dovere nascente dall’art. 1358 c.c. di conservare integre le ragioni dell’altra parte (Cass. n. 13469 del 2010).

Nel motivo in esame, che denuncia anche la violazione dei principi in tema di ripartizione dell’onere della prova, si assume che la Corte territoriale abbia erroneamente posto a carico del creditore che agiva per l’adempimento di dare la prova dell’inadempimento della controparte all’obbligo di conservare integre le proprie ragioni, mentre nella specie la società creditrice avrebbe sufficientemente dato prova del titolo negoziale e allegato l’inadempimento della controparte, sulla quale spettava di provare l’esatto adempimento della prestazione di cui all’art. 1358 c.c..

In tale parte il motivo non coglie la ratio decidendi ed infatti la Corte di merito non ha deciso la controversia in ragione del mancato assolvimento, da parte del creditore-attore, dell’onere di provare l’inadempimento all’obbligo di buona fede da parte della Provincia di Caserta, altra essendo la ratio decidendi della sentenza impugnata. La quale, infatti, dopo avere affermato la validità della clausola con cui, nella convenzione tra le parti, il pagamento del compenso al professionista era condizionato alla concessione di un finanziamento per la realizzazione dell’opera (in linea con Cass. n. 16213 del 2017), ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la norma dell’art. 1359 c.c. – in base alla quale la condizione del contratto si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento – non è applicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una determinata prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento di essa La condizione può ritenersi apposta nell’interesse di una sola delle parti contraenti soltanto quando vi sia un’espressa clausola contrattuale che disponga in tal senso ovvero allorchè – tenuto conto della situazione riscontrabile al momento della conclusione del contratto – vi sia un insieme di elementi che nel loro complesso inducano a ritenere che si tratti di condizione alla quale l’altra parte non abbia alcun interesse; in mancanza – come nella specie – la condizione stessa deve ritenersi apposta nell’interesse di entrambi i contraenti (Cass. n. 18512 del 2017, n. 16620 del 2013).

Ed allora, con autonomo apprezzamento di fatto, plausibile e incensurabile in questa sede, la Corte ha ritenuto che l’interesse all’avveramento della condizione fosse comune, avendo la Provincia interesse all’ottenimento dei fondi regionali per la realizzazione dell’opera pubblica e, quindi, per evitare le ricadute lesive derivanti dal mancato avveramento della condizione.

Il ricorrente richiama un precedente che ha ritenuto applicabile l’istituto della finzione di avveramento della condizione, ex art. 1359 c.c., anche quando l’interesse della controparte, inizialmente convergente con quello del professionista, si modifichi nel corso del rapporto, fino a risultare contrario all’avveramento della condizione (Cass. n. 16501 del 2014), ma è questa una ipotesi diversa da quella in esame, in cui è stata accertata in concreto la perdurante comunanza dell’interesse delle parti all’avveramento della condizione.

In definitiva, lo stabilire se sussista o meno l’interesse comune all’avveramento della condizione involge una indagine di mero fatto il cui risultato è insindacabile in sede di legittimità, così come quando si debba stabilire se il mancato avveramento della condizione, per trarne la conseguenza di considerarla come avverata, si debba attribuire a causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario (Lfr. Cass. n. 4118 del 1984).

Il ricorso è rigettato. Non si deve provvedere sulle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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