Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11684 del 05/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 05/05/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 05/05/2021), n.11684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina M. – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI N. M.G. – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero 20973 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

Tecnodevice Tecnologie e Sistemi s.r.l. in liquidazione, in persona

del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Andrea Bertora e

dall’avv.to Tullio Elefante, elettivamente domiciliata presso lo

studio di quest’ultimo, in Roma, Via Cardinal de Luca n. 10;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– Controricorrente –

e contro

Equitalia Centro s.p.a.- già Equitalia Nord s.p.a. – in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia-Romagna n. 49/02/2011, depositata in data 17

giugno 2011, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

novembre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale De

Augustinis Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi per la società contribuente l’Avv.to Tullio Elefante e per

l’Agenzia delle entrate l’avv.to dello Stato Davide Giovanni Pintus.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate di Parma emetteva nei confronti della società Tecnodevice Tecnologie e Sistemi s.r.l. due provvedimenti di diniego di definizione agevolata L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis – per insufficiente versamento degli importi complessivamente dovuti a seguito di istanze di definizione (ai fini Irpeg, Irap e Iva) presentate rispettivamente per gli anni 1999-2001, e 1999-2003- e tre conseguenti cartelle di pagamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, per gli anni 2000-2003.

Avverso tali atti la società contribuente proponeva separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Parma, che, previa riunione, con la sentenza n. 91/07/08 annullava i dinieghi di condono e le cartelle di pagamento conseguenti e rideterminava la somma dovuta in Euro 1.389.000,00, quale differenza tra quanto dichiarato nella seconda dichiarazione integrativa e gli acconti già versati in sede di adesione ai condoni oltre rivalutazione monetaria e interessi.

L’Agenzia provvedeva ad emettere una nuova cartella di pagamento per la somma di Euro 1.689.362,01 (comprensiva degli accessori) relativa a un ruolo straordinario reso esecutivo per la mancata ottemperanza alla sentenza n. 91/07/08.

Avverso tale cartella di pagamento notificata il 17 dicembre 2009 la società contribuente proponeva ricorso avverso la CTP di Parma che, con la sentenza n. 77/09/2010, lo accoglieva parzialmente, ritenendo che non sussistessero i presupposti per la formazione del ruolo straordinario e, in ossequio al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, rideterminava le imposte dovute nella misura di Euro 926.000,00 (pari a 2/3 di Euro 1.389.000,00) nonchè la decorrenza degli interessi.

Avverso la sentenza n. 91/07/08, la società proponeva (RG 92/10) appello principale e l’Ufficio quello incidentale dinanzi alla CTR dell’Emilia Romagna, relativamente ai provvedimenti di diniego di condono e alle conseguenti tre cartelle.

Avverso la sentenza n. 77/09/2010, l’Agenzia delle entrate proponeva appello (RG. 602/11) per sentire dichiarare la legittimità della cartella di pagamento emessa a seguito della sentenza n. 91/07/08 e la società appello (RG.660/11) per ottenerne l’integrale annullamento, cui controdeduceva l’Ufficio, spiegando appello incidentale.

2. Con la sentenza 49/02/11, depositata il 17 giugno 2011, la CTR, previa riunione degli appelli (RG 92/10, 602/11, 660/11), ha 1) accolto parzialmente l’appello incidentale dell’Ufficio (RG 92/10) riducendo l’importo complessivo delle tre cartelle esattoriali di Euro 60.125,22 e rideterminando il credito erariale complessivo in Euro 1.665.564,07 oltre interessi e accessori, esclusa la rivalutazione monetaria; 2) assorbito (in parte) l’appello principale della società avverso la sentenza n. 91/07/08 e gli appelli contrapposti RG. 602/11 e 660/11 avverso la sentenza 77/09/2010 nonchè l’appello incidentale dell’Ufficio avverso l’appello n. 660/11.

Nella suddetta sentenza, in punto di diritto, il giudice di appello, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) il ricorso incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza n. 91/07/08 era fondato, in quanto l’omesso versamento nei termini delle rate aveva determinato l’inefficacia delle istanze di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9- bis, per cui era rimasta in essere la situazione preesistente qual era quella derivante dalle dichiarazioni fiscali della società; 2) l’appello principale della società era in parte assorbito (quanto alla censura di cui al punto 1 sul vizio di extrapetizione) mentre le altre censure (concernenti il riconoscimento della rivalutazione monetaria, l’inserimento anche di poste non contestate, la nullità delle cartelle di pagamento per carenza di motivazione)- pur rimanendo assorbite per le stesse ragioni-dovevano essere esaminate ai fini della determinazione del credito erariale; 3) la censura della società relativa all’inserimento nelle cartelle di poste non contestate era infondata quanto al 1999 mentre per le altre annualità, in base ai risultati della perizia contabile svolta dal CTU in primo grado, era fondata per l’importo di Euro 60.125,22 che andava detratto dalla pretesa erariale da determinarsi nell’importo di Euro 1.665.564,07 oltre interessi, senza l’aggiunta di rivalutazione monetaria; 4) era infondata la censura della società contribuente sulla pretesa nullità delle cartelle per carenza di motivazione, essendo la contestazione generica e priva di riscontri, e comunque, essendo ravvisabile la motivazione delle stesse essendo le poste contabili riportate “nel dettaglio degli addebiti” dettagliate e giustificate.

3.Avverso la suddetta sentenza della CTR, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a otto motivi cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate; è rimasta intimata la concessionaria Equitalia Centro s.p.a..

4. La società contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Assume carattere preliminare l’analisi della eccezione sollevata dall’Agenzia di inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività dello stesso, per decorrenza del termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1, nel testo posteriore alla modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17.

La sentenza oggetto di impugnazione concerne sei giudizi, cinque dei quali avverso due provvedimenti di diniego di definizione agevolata e tre cartelle esattoriali riuniti in primo grado e decisi con la sentenza 91/07/08, e un altro avverso una cartella relativa al ruolo straordinario – emessa a seguito della sentenza n. 91/07/08 – deciso con la sentenza n. 77/09/2010 e riunito agli altri in fase di appello.

Al riguardo, ad avviso dell’Ufficio, essendo stato il ricorso – confluito nel simultaneus processus – avverso la cartella di pagamento – emessa a seguito della sentenza n. 91/07/08 e notificata in data 17 dicembre 2009 proposto successivamente alla data del 4 luglio 2009, non essendo possibile configurare una duplicità di termini di impugnazione avverso una medesima sentenza ad opera della stessa parte, dovevano ritenersi attratti alla nuova disciplina ex L. n. 69 del 2009, anche gli altri cinque ricorsi proposti in primo grado anteriormente alla data del 4 luglio 2009, con conseguente necessaria applicazione del termine breve di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza per la proposizione del relativo ricorso per cassazione. Ciò in considerazione della ratio accelleratoria che avrebbe ispirato il legislatore del 2009 e dell’applicazione della prevalenza del rito ordinario (da intendersi quello nuovo ex L. n. 69 del 2009) su quello speciale (il precedente) in materia di connessione ex art. 40 c.p.c., comma 3.

1.1. L’eccezione è infondata.

Posto che come già chiarito da questa Corte “Nel contenzioso tributario, la riunione formale di più cause connesse, lasciando immutata la posizione delle parti in ciascuna di esse senza che le statuizioni riferite ad un processo si ripercuotano sull’altro, non altera l’autonomia delle relative domande e, quindi, delle relative decisioni, sicchè ciascuna di esse è soggetta al rispettivo regime riguardo alle forme ed ai termini di impugnazione. Detto principio di autonomia dei giudizi è suscettibile di temperamento solo al fine di evitare un inutile aggravio degli oneri processuali e purchè non ne risulti vulnerato il diritto di difesa” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 25083 del 08/10/2019; Sez. 5, Ordinanza n. 17236 del 27/06/2019), e, quindi, potendo valere, in ogni caso, il termine breve di sei mesi per proporre il ricorso per cassazione soltanto con riferimento al giudizio (instaurato successivamente al 4 luglio 2009) avverso la cartella relativa al ruolo straordinario emessa a seguito della sentenza n. 91/07/08, nella specie, l’eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata, in quanto, avuto riguardo al contenuto della sentenza impugnata n. 49/02/11 – che ha riunito sei processi in primo grado sfociati nelle sentenze di primo grado n. 91/07/08 e n. 77/09/2010 – è stato accolto (parzialmente) l’appello incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza n. 91/07/08, con determinazione del credito erariale in complessivi Euro 1.665.564,07 e assorbimento (in parte) dell’appello principale della società avverso la sentenza n. 91/07/08 nonchè di quelli contrapposti (RG. n. 602/11 e RG n. 660/11) avverso la sentenza n. 77/09/2010; il che ha implicato un sostanziale annullamento della cartella relativa al ruolo straordinario, con la conseguenza che il ricorso per cassazione deve intendersi proposto dalla contribuente per quanto di interesse e, dunque, soltanto avverso la statuizione relativa alla sostanziale inefficacia delle istanze di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9- bis della e alla determinazione in Euro 1.665.564,07 del credito erariale di cui alle originarie tre cartelle emesse ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, per cui con riferimento a tali giudizi in primo grado (concernenti i dinieghi di condono e le conseguenti tre cartelle, instaurati anteriormente al 4 luglio 2009), il termine di impugnativa con ricorso per cassazione era quello annuale.

2. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9-bis, e successive integrazioni e modifiche (L. n. 350 del 2003, art. 1, comma 45) per avere la CTR ritenuto che l’omesso versamento delle rate dovute nei termini indicati determinasse l’inefficacia delle presentate istanze di definizione agevolata ex art. 9-bis cit.; ciò, in base ad un orientamento della giurisprudenza di legittimità che, ad avviso della contribuente, era da ritenersi suscettibile di mutamento, nel senso del perfezionamento del condono ex art. 9-bis, con la presentazione della dichiarazione (nella specie la seconda dichiarazione integrativa che aveva sostituito la prima ricomprendendola) e il versamento della prima rata.

2.1. Il motivo è manifestamente infondato.

In punto di fatto dalla sentenza impugnata emerge che la società contribuente aveva chiesto una prima volta il condono delle imposte dovute ex L. n. 289 del 2002, presentando apposita dichiarazione integrativa e provvedendo al pagamento solo della prima rata. Successivamente, la medesima società aveva usufruito della riapertura dei termini di sanatoria per i mancati o ritardati pagamenti disposta dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 45, presentando una nuova dichiarazione integrativa e versando solo la prima rata.

La CTR nell’accogliere (in parte) l’appello incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza n. 91/07/08 ha ritenuto inefficaci le richieste di condono stante l’omesso versamento nei termini indicati delle rate dovute. Ciò conformemente all’orientamento costante di questa Corte secondo cui questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui: “il condono previsto dalla L n. 289 del 2002, art. 9-bis, relativo alla possibilità di definire gli omessi e tardivi versamenti delle imposte e delle ritenute emergenti dalle dichiarazioni presentate, mediante il solo pagamento dell’imposta e degli interessi o, in caso di mero ritardo, dei soli interessi, senza aggravi e sanzioni, costituisce una forma di condono clemenziale e non premiale come, invece, deve ritenersi per le fattispecie regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 7,8,9,15 e 16, le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario, con la conseguenza che, nell’ipotesi di cui all’art. 9-bis, non essendo necessaria alcuna attività di liquidazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, in ordine alla determinazione del “quantum”, esattamente indicato nell’importo specificato nella dichiarazione integrativa presentata ai sensi del comma 3, con gli interessi di cui all’art. 4, il condono è condizionato dall’integrale pagamento di quanto dovuto ed il pagamento rateale determina la definizione della lite pendente solo quando tale condizione venga rispettata, e si provveda al pagamento delle imposte, nei termini e nei modi di cui alla medesima disposizione, con la conseguenza che, nel caso di omesso o non integrale pagamento, l’istanza di definizione diviene inefficace e si verifica la perdita della possibilità di avvalersi della definizione anticipata” (cfr. ex multis Cass. nn. 19546 del 2011, 21346 del 2012, 10650 del 2013, 25238 del 2013; 19895 del 2016; 14293 del 2016). Peraltro, rilevandosi che nel caso di specie la definizione agevolata è stata chiesta anche per l’Iva, deve disapplicarsi la disciplina agevolativa relativamente a tale imposta secondo il consolidato principio secondo cui “In tema di condono fiscale, le misure con le quali lo Stato membro rinuncia ad una corretta applicazione e/o riscossione dell’IVA devono ritenersi incompatibili, anche rispetto alle sanzioni, con la disciplina comunitaria per contrasto con la VI direttiva n. 77/388/CEE, come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, trattandosi di misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal diritto Europeo: ne deriva che deve essere disapplicata la L. n. 289 del 2002, art. 9-bis, che consente la definizione dei rapporti fiscali escludendo le sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’IVA (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27822 del 31/10/2018; cfr. Cass., sent. 19546/2011; sent. 8110/2012; sent. 20435/2014; vedi anche, in merito ad altri interventi di condono, sent. 28018/2009; 25701/2009; 20068/2009).

3. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa motivazione su un punto decisivo e controverso della sentenza, nella parte (punto E. 13) in cui la CTR ha ritenuto apoditticamente infondata in quanto “generica e priva di riscontri” la censura proposta dalla società contribuente avverso la sentenza n. 91/08 sulla assunta “nullità delle cartelle di pagamento per carenza di motivazione”, ancorchè la ricorrente avesse sollevato precise e circonstanziate eccezioni circa la cripticità delle tre cartelle di pagamento e dei criteri di liquidazione applicati dall’Agenzia (non essendo comprensibile da quali poste e in che misura fossero state detratte le somme versate sulla base delle due dichiarazioni integrative citato ex art. 9-bis, se fossero state considerate le somme versate dalla contribuente avvalendosi del ravvedimento operoso, quali ritenute iscritte a ruolo fossero state omesse e quali invece versate dalla contribuente).

4. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per avere la CTR – affermando (nel punto E 13) “la genericità e la mancanza di riscontri” in ordine alla eccezione della contribuente circa la carenza della motivazione delle cartelle di pagamento impugnate – rilevato erroneamente la violazione del citato art. 53.

5. I motivi secondo e terzo – da trattare congiuntamente per connessione – sono inammissibili in quanto non attinenti al decisum.

In particolare, il secondo motivo – che aggredisce per vizio di motivazione la sentenza nella parte in cui ha dichiarato “generica e non supportata da riscontri” la censura della ricorrente circa la carenza di motivazione delle cartelle – non coglie la ratio della decisione che, lungi dall’essere basata solo sulla rilevata “genericità e assenza di riscontri” della censura in questione, rigetta nel merito la medesima ritenendo sussistente la motivazione delle cartelle essendo le poste contabili riportate nel “dettaglio degli addebiti” – per quanto numerose-dettagliate e dotate di riscontri, con l’indicazione delle ragioni giustificative delle varie poste.

Ugualmente il terzo motivo non coglie il decisum, non avendo la CTR nel rilevare la “genericità e mancanza di riscontri” a sostegno dell’eccezione della contribuente di carenza di motivazione delle cartelle – dichiarato inammissibile la censura per violazione del citato art. 53, in quanto priva dei requisiti di specificità, ma, invero, rigettato nel merito la doglianza stante la riscontrata sufficienza motivazionale delle cartelle in questione.

6. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 3; L. n. 241 del 1990, art. 3, e dei principi in tema di motivazione degli atti amministrativi, per avere la CTR (al punto E.13) ritenuto che le cartelle fossero sufficientemente motivate in quanto “le poste contabili riportate nel dettaglio degli addebiti” risultavano “dettagliate e dotate di riscontri con l’indicazione delle ragioni giustificative delle varie poste” per cui la verifica dei dati, pur se “oggettivamente difficoltosa” risultava possibile alla contribuente in quanto società di capitali con “un giro di affari rilevante”; con ciò violando le norme richiamate in quanto l’adeguatezza del requisito motivazionale di ciascun atto tributario andrebbe valutata in relazione alla funzione propria della motivazione stessa che, nella specie, era quella di consentire al contribuente di comprendere in concreto i criteri adoperati nella liquidazione erariale al fine dell’esercizio del diritto di difesa, non già in relazione al rispetto meramente formalistico di specifici requisiti minimi.

Peraltro, ad avviso della ricorrente, la statuizione della CTR sulla congruità della motivazione delle cartelle avrebbe violato le norme richiamate in rubrica in quanto la liquidazione delle imposte dovute esternata nelle cartelle era criptica, senza che la contribuente potesse evincere in che misura fossero state detratte le somme versate sulla base delle due dichiarazioni integrative e quelle versate avvalendosi del ravvedimento operoso.

7. Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, essendo, ad avviso della contribuente, il capo della motivazione (E.13) di cui al precedente motivo di ricorso censurabile anche sotto il profilo motivazionale.

8. I motivi quarto e quinto – da trattare congiuntamente per connessione – sono in parte inammissibili e in parte infondati.

In particolare, il quarto motivo, nella parte in cui censura la sentenza per avere la CTR sostenuto che la verifica dei dati riportati in cartella sebbene “oggettivamente difficoltosa” fosse operabile da parte della contribuente in quanto società di capitali con “un giro di affari rilevante”, è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi avendo il giudice di appello rigettato nel merito la censura ritenendo la sufficienza motivazionale delle cartelle, dato che le poste contabili riportate nel “dettaglio degli addebiti” erano- sebbene numerose-dettagliate e dotate di riscontri con l’indicazione delle ragioni giustificative delle varie poste. Invero, la considerazione che la verifica dei dati potesse “essere laboriosa e oggettivamente difficoltosa” costituisce un’argomentazione aggiuntiva, svolta ad abundantiam, che non incide sul fondamento della decisione sul punto.

In ordine, invece, alla denuncia di erroneità e, al contempo, di vizio motivazionale della sentenza quanto alla asserita sufficienza motivazionale delle cartelle in oggetto, premesso che “In tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicchè, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perchè, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 21804 del 20/09/2017), nella specie, la CTR, si è attenuta al suddetto principio nel ritenere, con una motivazione congrua ed esente da vizi logici-giuridici, sufficiente la motivazione delle cartelle emesse ai sensi del citato art. 36-bis, specificando che le poste contabili ivi riportate nel “dettaglio degli addebiti” risultavano dettagliate e sorrette dalla indicazione delle relative ragioni giustificative. Ogni altra argomentazione, sia sotto il profilo del vizio di violazione di legge che sotto quello motivazionale, tende ad una inammissibile rivisitazione di valutazioni di merito operate dal giudice di appello.

9. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR, nel punto E.14, sancito l’assorbimento di tutti i motivi di appello proposti dalla società avverso la sentenza n. 77/09/2010, omettendo di pronunciare espressamente l’annullamento della cartella “sostitutiva” delle precedenti.

9.1. Il motivo è infondato.

In punto di fatto, dalla sentenza impugnata si evince che la CTR ha accolto parzialmente l’appello incidentale proposto dall’Ufficio avverso la sentenza n. 91/08 riducendo l’importo del credito dell’Amministrazione a Euro 1.665.564,07, assorbendo (in parte) l’appello principale della società avverso la sentenza n. 91/07/08 e quelli contrapposti (Rg 602/11 e 660/11) avverso la sentenza n. 77/09/2010. Invero – come già osservato al punto 1.1.) nel rigettare l’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso per cassazione il giudice di appello, assorbendo gli appelli contrapposti avverso la sentenza n. 77/09/10 concernente la cartella relativa al ruolo straordinario emessa a seguito della sentenza n. 91/07/08, ha implicitamente annullato quest’ultima cartella; ciò in applicazione del principio di diritto di questa Corte secondo cui “La figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa” (Sez. 1 -, Ordinanza n. 28995 del 12/11/2018; Sez. 3 -, Ordinanza n. 33764 del 19/12/2019; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2334 del 03/02/2020).

10. Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’erronea e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo e controverso quanto alla prima parte del capo E.12 della sentenza impugnata, avendo la CTR dichiarato infondata, con riguardo all’anno 1999, la censura relativa all’avvenuto inserimento nelle tre cartelle di pagamento di poste non contestate, ancorchè fosse del tutto pacifico che tali cartelle non contenessero alcun rilievo relativo a tale anno riferendosi soltanto ai periodi 2001-2003. Ad avviso della società contribuente – per quanto “la sentenza impugnata abbia conclusivamente stabilito che il debito della società verso l’erario fosse quello contenuto nelle tre cartelle originarie e quindi abbia, di fatto e contraddittoriamente escluso gli addebiti relativi al 1999” (pag. 110 del ricorso) – sussisterebbe l’interesse alla riforma di tale capo di sentenza in quanto, nell’ipotesi di accoglimento del primo motivo di ricorso, con annullamento delle tre cartelle originarie e riviviscenza della cartella “sostitutiva”, gli addebiti relativi al 1999 andrebbero espunti da quest’ultima.

10.1. Il motivo è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse stante il rigetto del primo motivo di ricorso.

11. Con l’ottavo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulla censura di ultrapetizione – eccepita in appello dalla contribuente – operata dalla CTP con la sentenza n. 91/2008 nella riliquidazione del debito, la quale, rinviando alla seconda dichiarazione integrativa aveva ricompreso nel dovuto, oltre agli addebiti relativi al 1999 anche quelli relativi al 2000-2001, non contenuti nelle cartelle impugnate.

11.1. Il motivo è infondato. Invero, la CTR, nell’accogliere parzialmente l’appello incidentale proposto dall’Ufficio avverso la sentenza n. 91/08 determinando l’importo del credito dell’Amministrazione in Euro 1.665.564,07, e assorbendo gli appelli contrapposti (Rg 602/11 e 660/11) proposti dall’Ufficio e dalla società contribuente avverso la sentenza n. 77/2010, ha implicitamente rigettato la censura proposta dalla contribuente in grado di appello di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la CTP nella sentenza n. 91/08. Con ciò senza incorrere in un vizio di omessa pronuncia, in applicazione del principio sopra richiamato in tema di assorbimento improprio.

12. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.

13. Le spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra il ricorrente e l’Agenzia seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo; nulla sulle spese nei confronti della concessionaria Equitalia Centro s.p.a. essendo rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, in complessive Euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2021

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