Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11682 del 06/05/2011

Cassazione civile sez. III, 26/05/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.S. (OMISSIS) S.C.

(OMISSIS) in proprio ed in qualità di legali

rappresentanti della minore F.D., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ULPIANO 29 presso lo studio dell’avvocato

CESARE MANCINI, rappresentati e difesi dall’avvocato BARELLI giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PLASMON DIETETICI ALIMENTARI SRL ((OMISSIS)) in persona del

Presidente, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELL’UNITA’ 13,

presso lo studio dell’avvocato RANUCCI LUISA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FERRATI PAOLO, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

verso la sentenza n. 2859/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

7.10.08, depositata il 24/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/04/2 011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ANTONIETTA

CARESTIA.

La Corte Letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 1 dicembre 2009 S.C. e F.S., quale legali rappresentanti della figlia minore F.D., hanno chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 24 ottobre 2008 dalla Corte d’Appello di Milano, confermativa della sentenza del Tribunale, che aveva respinto, per mancanza di prova idonea, la domanda di risarcimento danni in relazione all’ingerimento da parte della minore di alcuni pezzi di vetro mentre mangiava la pappa preparata con il contenuto di un vasetto di omogeneizzato Plasmon. La Plasmon Dietetici Alimentari S.r.l. ha resistito con controricorso.

2 – I tre motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. La censura, che non è auto sufficiente, riguarda l’interpretazione della domanda svolta in primo grado, attività riservata al giudice di merito che può, semmai, essere sindacata sotto il profilo del vizio di motivazione, nella specie non eccepito. Il quesito finale non postula l’enunciazione di un principio di diritto ma chiede una verifica della correttezza della sentenza impugnata.

D secondo motivo lamenta vizi attinenti alla contraddittoria motivazione. La censura implica attività non consentite in sede di legittimità, quali sono l’esame delle risultanze processuali (nei cui confronti, peraltro, non è stato rispettato integralmente il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) e i conseguenti apprezzamenti di fatto. Le argomentazioni a sostegno non dimostrano alcuna contraddizione all’interno del tessuto motivazionale della sentenza impugnata, ma postulano una diversa lettura e interpretazione delle risultanze processuali. Il momento di sintesi finale non specifica le ragioni dell’addotta contraddittorietà.

Il terzo motivo ipotizza vizi relativi alla contraddittoria motivazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c.. Le argomentazioni a sostegno implicano lettura e valutazione della C.T.U. nei cui confronti non è stato rispettato il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità.

In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

I quesiti finali non postulano l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulla norma indicata nè costituiscono il momento di sintesi strutturato secondo il modello sopra enunciato.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie nè alcuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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