Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11667 del 16/06/2020

Cassazione civile sez. I, 16/06/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 16/06/2020), n.11667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25114/2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Del Casale

Strozzi, 31, presso lo studio dell’avvocato Barberio Laura che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Tartini Francesco;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

01/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2019 da Dott. ACIERNO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Venezia ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta da M.S., cittadino della (OMISSIS).

Il ricorrente aveva dichiarato di aver lasciato il proprio paese a causa dei conflitti interni tra etnie che creavano disordini continui alla popolazione e alla stabilità della vita quotidiana. In particolare ha precisato che i suoi fratelli erano stati uccisi nel (OMISSIS) perchè appartenenti ad un partito in lotta per il potere e di non avere più legami familiari nè possibilità di lavoro perchè le coltivazioni di cacao di cui si occupava con la famiglia erano andate distrutte.

Il tribunale ha rilevato che il ricorrente non ha allegato alcun fondato timore di subire persecuzioni personali nè ha prospettato il rischio di condanna a morte od a tortura o trattamenti inumani e degradanti.

Quanto all’ipotesi di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha rilevato che in Costa d’Avorio non si ravvisa la presenza di un conflitto armato interno ma che il paese si trova in una fase di ripresa dopo il periodo di sanguinosa crisi politico-militare del 2000-2011 terminata con l’insediamento del presidente A.O.. Nel 2017 si è conclusa la missione di pace ONU che ha avviato un processo di pacificazione e stabilizzazione e secondo fonti del 2018 sono diminuiti significativamente gli incidenti di sicurezza. Il paese è avviato verso un processo di pacificazione ancora fragile attesi I disordini del 2017.

Le criticità permangono ma non sono tali per consistenza, diffusione e sistematicità tale da far ritenere esistente un conflitto armato strutturato così come richiesto dalla giurisprudenza Eurounitaria. In ogni caso il ricorrente non ha allegato che dalla situazione d’insicurezza possa derivargli un pericolo di minaccia grave ed individuale.

In relazione alla protezione umanitaria, non sono state allegate, nell’ottica di un giudizio comparativo rispetto alle attuali condizioni del ricorrente, circostanze dalle quali desumere che egli si sia allontanato da una condizione di vulnerabilità effettiva sotto il profilo della grave e sistematica violazione individualizzata dei diritti umani, nè è stato dedotto un percorso d’integrazione.

Il transito in Libia infine non appare sufficientemente circostanziato.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero. Non ha svolto difese la parte intimata.

Nel primo motivo viene dedotto l’omesso esame di fatti decisivi relativi sia alla narrazione della vicenda individuale, risultando non valutato il fatto che la famiglia del ricorrente era iscritta al (OMISSIS) dell’ex presidente G., che i fratelli sono morti nel corso della guerra civile nella quale il partito dell’ex presidente è stato sconfitto e che il ricorrente ha temuto per la sua incolumità in caso di ritorno. Inoltre non sono state oggetto di esame le allegazioni ed i documenti relativi al rischio del terrorismo islamico che fonti ufficiali quali il MAE “(OMISSIS)” ponevano in evidenza ancora alla fine del 2017. Non è stata considerata la allegata presenza di forze terroristiche straniere che minano la sicurezza del paese, essendo stata limitata l’indagine officiosa alla lotta tra le fazioni politiche per la conquista del potere interno.

Nel secondo, terzo, quarto e quinto motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatti decisivi in relazione alla domanda di protezione umanitaria. In particolare è stato evidenziato che attraverso una relazione aggiornata della Commissione Nazionale Asilo e dell’ultimo rapporto di Amnesty International erano state evidenziate le gravi e reiterate violazioni di diritti umani in Costa d’Avorio, che il Tribunale ha totalmente ignorato la situazione sociopolitica dell’area di provenienza ed ha fornito una motivazione meramente apparente priva di concrete giustificazioni relative all’assenza di una vulnerabilità effettiva. Ha inoltre del tutto omesso di valutare la certificazione medica comprovante le torture subite in Libia, ampiamente spiegate nel colloquio davanti la Commissione territoriale. Non è comprensibile come tale profilo sia stato ritenuto irrilevante perchè non circostanziato.

Preliminarmente deve rilevarsi che i sospetti d’illegittimità costituzionale sollevati dalla parte ricorrente sono stati affrontati dalla giurisprudenza di legittimità, con orientamenti che il Collegio condivide. In particolare la Corte ha affermato:

“E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.(Cass. 27700 del 2018).

Ha inoltre precisato:

E’manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.(Cass. 17717 del 2018 ed anche 28119 del 2018). Ha infine escluso l’incompatibilità con i paradigmi costituzionali in relazione al termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso; in ordine al regime giuridico relativo alla procura speciale alle liti in sede di giudizio di legittimità e per il dedotto difetto di straordinaria necessità ed urgenza del D.L. n. 13 del 2017, la cui efficacia è stata differita per esigenze organizzative di 180 giorni (Cass. 17717 del 2018).

I motivi di ricorso sono fondati nei limiti che seguono. L’esame delle fonti riprodotto nella motivazione della pronuncia impugnata è idoneo esclusivamente ad escludere la sussistenza di ragioni integranti la persecuzione individuale posta a base del rifugio politico e l’esposizione per ragioni individuali ai rischi precisati del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b). Risultano invece gravemente deficitarie sia in relazione all’ipotesi di protezione sussidiaria, consacrata nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), perchè non danno conto dell’allegato pericolo dovuto al terrorismo islamico straniero indicato come radicato e diffuso sul territorio, sia in relazione alla protezione umanitaria, perchè, al di là di una motivazione del tutto astratta, applicabile a qualsiasi rappresentazione di ragioni umanitarie, omettono di considerare e non forniscono giustificazioni coerenti alle allegazioni anche suffragate da riscontri documentali relative a sistematiche violazioni di diritti umani nel paese di origine del cittadino straniero.

Del pari meramente apparente la motivazione in relazione all’esclusione radicale dell’incidenza del transito in Libia ai fini della sussistenza di ragioni umanitarie. Il ricorrente ha allegato di essere stato sottoposto a tortura e ridotto in schiavitù documentando lo stato psicofisico con numerosa documentazione medica. Il giudizio espresso dal Tribunale in relazione al difetto di una narrazione non circostanziata è viziato dall’omesso esame dell’allegato e documentato trattamento subito.

Era necessario vagliare in concreto quanto allegato e largamente circostanziato con documentazione medica e verificarne l’incidenza sull’accertamento di una condizione di vulnerabilità dovuta ad una situazione sopravvenuta di criticità patologica fisica o psichica (disturbo post traumatico da stress) non compatibile con il rientro in un paese ove sono state allegate, senza che vi sia stata una valutazione critica alternativa, gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani.

All’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio al Tribunale in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la pronuncia impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, all’esito della riconvocazione, davanti al medesimo collegio, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2020

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