Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11667 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/05/2017, (ud. 10/03/2017, dep.11/05/2017),  n. 11667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14044/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

KODAK SPA in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE ZEBIO 25, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO ERRANTE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE BONANNO giusta delega in calce;

CARESTREAM HEALTH ITALIA SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE BEETHOVEN 52,

presso lo studio dell’avvocato RITA IMBRIOSCIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANGELO CIAVARELLA giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 68/2012 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 27/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

e in subordine la rimessione alle SS.UU.;

udito per il ricorrente l’Avvocato GUIZZI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BONANNO che ha chiesto

l’inammissibilità;

è comparso l’Avvocato CIAVARELLA difensore del controricorrente che

ha chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata in data 27/3/2011 la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha respinto l’appello col quale l’Agenzia delle Entrate aveva censurato la sentenza di primo grado, sostenendo, ai fini della liquidazione dell’imposta di registro, la legittimità della qualificazione D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 20, come cessione di azienda, dell’operazione posta in essere da Kodak s.p.a., Carestream Health Italia s.r.l. e dalla Carestream Health Inc., distinta nel seguente modo: la prima società, in data 30/4/2007, aveva conferito nella seconda il ramo d’azienda costituito dalle attività e passività relative all’attività di imaging radiografico, così sottoscrivendo integralmente il deliberato aumento di capitale di Carestream Health Italia s.r.l. e, in pari data, aveva ceduto la partecipazione sociale, ricevuta in contropartita, alla Carestream Health Inc., società costituita secondo le leggi del Dealware, Stati Uniti d’America.

L’appello veniva respinto con la motivazione che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non ha valenza di clausola antielusiva ma fissa un criterio ermeneutico che limita il perimetro d’indagine dell’Ufficio agli effetti giuridici e non economici dell’atto presentato per la registrazione, che l’Ufficio in ogni caso avrebbe dovuto dimostrare la sussistenza dell’aggiramento di obblighi e/o divieti, il conseguimento di vantaggi tributari indebiti, per mancanza di valide ragioni economiche e, sotto l’aspetto formale, che l’atto impositivo impugnato è illegittimo per violazione delle garanzie procedimentali previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione deducendo tre motivi.

Si sono costituite entrambe le società intimate con controricorso e memorie difensive.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 53 bis, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, nonchè dell’art. 2697 c.c., giacchè il Giudice di appello non ha considerato che il citato art. 37 bis, non è applicabile all’imposta di registro, neppure attraverso il richiamo contenuto nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 53 bis, il quale fa esplicito riferimento alle attribuzioni ed ai poteri di controllo dell’Amministrazione di cui all’art. 31 e ss., del D.P.R. citato, sicchè legittimamente era stato emesso l’avviso di liquidazione per il recupero delle maggiori imposte. Evidenzia l’Agenzia delle Entrate che erroneamente la CTR ha dato esclusiva rilevanza agli effetti giuridici dei singoli negozi, e non anche a quelli economici, riferiti alla fattispecie negoziale globalmente intesa, trascurando di considerare che una pluralità di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati per produrre un unico effetto giuridico finale, va considerata, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformità del principio costituzionale della capacità contributiva. Evidenzia, ancora, che l’analisi della operazione conduce a far ritenere direttamente imputabile alla statunitense Carestream Health Inc. la cessione del ramo d’azienda in questione, sia pure mediante l’interposizione della Carestream Health Italia s.r.l., società controllata costituita il 27/2/2007 appositamente.

Col secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, giacchè il Giudice di appello, con motivazione soltanto apparente, ha fatto riferimento alla sussistenza “di logiche e valide ragioni economiche che giustificano l’operazione di aumento di capitale” attuato mediante il conferimento del ramo d’azienda, senza indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo così impossibile il controllo della decisione adottata.

Col terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè il Giudice di appello ha affermato di condividere quanto sostenuto dalla CTP senza rendersi conto che nessuna valutazione quest’ultima aveva effettuato in merito alle summenzionate “logiche e valide ragioni economiche” dell’operazione per cui è causa, avendo posto a carico dell’Ufficio l’onere di dimostrare i presupposti del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, ritenuto applicabile alla fattispecie.

I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati e meritano accoglimento.

Secondo il Giudice di appello non sarebbe possibile qualificare come operazione elusiva, ai fini dell’imposta di registro, la cessione di una azienda attuata attraverso il conferimento dell’azienda ad una società e la successiva cessione a terzi della quota di partecipazione alla società conferitaria ricevuta in contropartita, nonostante tali atti indirettamente determinino il predetto trasferimento, ove difetti la prova, a carico dell’Ufficio, dei “tre presupposti applicativi della clausola antielusiva” di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis; Kodak s.p.a. e Carestream Health Italia s.r.l. avrebbero allegato “logiche e valide ragioni” a supporto sia della operazione di aumento del capitale sociale, mediante il conferimento del ramo d’azienda della prima società, che della successiva cessione della partecipazione sociale alla Carestream Health Inc., esposta in tal modo ad “una responsabilità anche fiscale più limitata, anche in relazione alle imposta dovute nell’anno in corso e nei precedenti”.

La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso di escludere che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, sia disposizione predisposta al recupero di imposte “eluse”, perchè l’istituto dell'”abuso del diritto” – ora disciplinato dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, disposizione ratione temporis non applicabile alla fattispecie in esame – presuppone una mancanza di “causa economica” che non è viceversa prevista per l’applicazione dell’art. 20 citato, disposizione la quale semplicemente impone, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, di qualificare l’atto, o il collegamento di più atti, in ragione della loro intrinseca portata, cioè in ragione degli effetti oggettivamente raggiunti dal negozio o dal collegamento negoziale.

La fattispecie regolata dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nemmeno ha a che fare con l’istituto della simulazione, atteso che la riqualificazione in parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel negozio o quel dato collegamento negoziale, e ciò perchè quel che conta sono gli effetti oggettivamente prodottisi (tra le tante, Cass. n. 9582/2016; n. 10211/2016; n. 9573/2016; n. 18454/2016; n. 2050/2017).

Se, dunque, la tassazione dell’imposta di registro in misura proporzionale non deriva dalla individuazione di un “abuso di diritto”, neppure ha pregio il richiamo, contenuto nell’impugnata sentenza, alle “norme anti-elusione”, quali il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, (disposizione dettata per le imposte dirette), posto che, con riferimento alle imposte indirette, assume rilievo non già l'”abuso” in relazione a determinate operazioni economiche – ragione per cui neppure è richiesta la prova dell’esistenza di valide regioni economiche dell’operazione – ma l’effetto oggettivamente raggiunto dal negozio o dal collegamento negoziale.

Nè, per sostenere la necessità del rispetto di una procedura che garantisca il contraddittorio preventivo con l’Ufficio, appare utilmente invocabile dalle società contribuenti la previsione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53 bis, in quanto ” tale norma… estende al campo delle imposte di registro, ipotecaria e catastale le “attribuzioni” ed i “poteri” riconosciuti agli Uffici dal D.P.R. n. 600 del 1973 (e, segnatamente, dai relativi artt. 31, 32 e 33) ai fini dell’accertamento delle imposte dirette e non contempla, dunque, alcun richiamo alla disposizione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, che è norma che non riguarda suddette “attribuzioni” e “poteri”, ma incide sull’oggetto dell’imposizione. D’altro canto, l’esame della previsione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53 bis, non lascia trasparire altro che la volontà del legislatore di estendere, all’ambito delle imposte d’atto, i poteri e le attribuzioni riconosciuti all’Amministrazione al fine dell’accertamento delle imposte dirette ” (Cass. n. 15319/2013).

La Corte ha, inoltre, chiarito che la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma e, quindi, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti, con la conseguenza di dover riferire l’imposizione al risultato di un comportamento nella sostanza unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali, atomisticamente considerati (Cass. n. 10216/2016; n. 1955/2015; n. 14150/2013; n. 6835/2013).

A detta interpretazione si è giunti tenendo conto dell’evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa, avente come oggetto l’atto inteso nella sua forma documentale, e come contenuto una determinata quantità di denaro da riscuotere in corrispettivo del servizio di registrazione, a quello dell’imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva correlabile a una ben dimostrata forza economica.

Inserendosi nell’ambito di una simile evoluzione, il D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 1 e 20, vanno interpretati nel senso che l’oggetto dell’imposta di registro, per quanto genericamente e formalmente individuata nel riferimento dell’art. 1 agli atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati per la registrazione, nella sostanza, è costituito dagli effetti giuridici di tali atti, ma l’imposta si collega all’atto come negozio e non all’atto come documento (Cass. n. 3481/2014).

Nè, in senso contrario, vale il riferimento alla diversità dei criteri interpretativi utilizzabili ai fini tributari, rispetto a quelli civilistici, in quanto va pur sempre attribuita preminenza, in applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, “alla causa reale dell’operazione economica rispetto alle forme negoziali adoperate dalle parti, sicchè, ai fini della individuazione del corretto trattamento fiscale, è possibile valutare, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali” (Cass. n. 6405/2014), di guisa che “gli stessi concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscono a semplici elementi della fattispecie tributaria” (Cass. n.19752/2013; n. 10660/2003; n. 14900/2001).

Priva di rilievo risulta, allora, la ricerca delle ragioni economiche giustificatrici dell’operazione in quanto, una volta riconosciuto, alla luce dei principi innanzi enunciati, che ci si trova di fronte ad un caso di cessione d’azienda (o di ramo d’azienda), non è richiesta alcuna valutazione circa l’esistenza o meno di valide ragioni economiche atte a giustificare l’operazione medesima, per come strutturata, nè tantomeno incombe sull’Amministrazione finanziaria alcun onere probatorio al riguardo.

L’indirizzo giurisprudenziale – al quale il Collegio intende dare continuità – non appare scalfito dalla recente sentenza n. 2054/2017 della Corte, che individua un limite alla attività riqualificatoria dell’Ufficio nella insuperabilità dello schema negoziale tipico in cui l’atto presentato alla registrazione risulti inquadrabile, di tal che, in mancanza di prova, a carico della Amministrazione finanziaria, del disegno elusivo, ricorrerebbe piuttosto “un’ipotesi di libera scelta di un tipo negoziale invece di un altro”.

Al di là, infatti, delle specifiche caratteristiche del caso concreto e della ritenuta sufficienza della motivazione in punto di prova di un “collegamento negoziale preordinato ad eludere la tassazione dell’imposta di registro” – sul piano processuale, l’accertamento della natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v. per tutte Cass. n. 11974/2010) – preme qui osservare che l’isolato approdo giurisprudenziale non considera che: è proprio la formulazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, a consentire il superamento dell’individuato limite all’attività di interpretazione dell’atto consentita all’Amministrazione finanziaria; l’intento elusivo non è essenziale ai fini qui esaminati; la proposta lettura della disposizione mal si concilia con il principio costituzionale della capacità contributiva ed ignora la ricordata evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria dal regime della tassa a quello dell’imposta.

Quanto al primo punto, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nel disporre che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”, fissa un chiaro criterio il quale comporta che, nell’imposizione del negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale ad alla effettiva regolamentazione degli interessi realmente perseguita dai contraenti.

Quanto al secondo punto, l’esaminata disposizione non richiede l’intento elusivo, che può esserci ma non deve necessariamente esserci, sicchè il tema d’indagine non consiste nell’accertare cosa la parti hanno scritto, ma cosa le stesse hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale, e tanto non discende dal contenuto delle peculiari dichiarazioni delle parti medesime. Quanto al terzo punto, come evidenziato da autorevole dottrina, giova ricordare che il tributo del registro può atteggiarsi come imposta, quando è rapportato, in misura proporzionale, al valore dell’atto registrato (contratto, sentenza, ecc.) a contenuto economico, assunto dal legislatore come indice di capacità contributiva, e come tassa, quando è dovuto in misura fissa, in tal caso trovando come presupposto e giustificazione la prestazione di un servizio, cioè la registrazione (e conservazione) di un atto.

Infine, la ricordata sentenza (n. 2054/2017) non considera la molteplicità delle forme in cui l’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322 c.c., può potenzialmente esprimersi, nè tantomeno dà il giusto spazio, nella individuazione della materia imponibile, alla c.d. “causa concreta” del contratto, ovvero lo scopo pratico del negozio inteso, al di là del modello astratto utilizzato, come funzione individuale della singola e specifica negoziazione, questione che non può essere sbrigativamente superata richiamando la intangibilità dello schema negoziale tipico (v. per tutte, Cass. n. 10490/2006), e neppure al fenomeno del collegamento negoziale, “meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico complesso, che viene realizzato, non attraverso un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, cosicchè le vicende che investono un contratto possono ripercuotersi sull’altro. Ciò che vuoi dire che, pur conservando una loro causa autonoma, i diversi contratti legati dal loro collegamento funzionale sono finalizzati ad un unico regolamento dei reciproci interessi” (Cass. n. 12454/2012).

Quindi, come efficacemente affermato da questa Corte, “l’incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l’incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell’effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano” (Cass. n. 3562/2017).

E’ stato pure precisato che “Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, attribuisce preminente rilievo all’intrinseca natura ed agli effetti giuridici dell’atto, rispetto al suo titolo ed alla sua forma apparente, sicchè l’Amministrazione finanziaria può riqualificare come cessione di azienda la cessione totalitaria delle quote di una società, senza essere tenuta a provare l’intento elusivo delle parti, attesa l’identità della funzione economica dei due contratti, consistente nel trasferimento del potere di godimento e disposizione dell’azienda da un gruppo di soggetti ad un altro gruppo o individuo” (Cass. n. 24594/2015).

Pertanto, in caso di conferimento di azienda con contestuale cessione, in favore di un socio della conferitaria, delle quote ottenute in contropartita dal conferente, il fenomeno ha, a tal fine, carattere unitario (in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva ed all’evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria dal regime della tassa a quello dell’imposta) ed è configurabile come cessione di azienda, e non costituisce operazione elusiva, per cui non grava sull’Amministrazione l’onere di provare i presupposti dell’abuso di diritto, atteso che i termini giuridici della questione sono già tutti desumibili dal criterio ermeneutico di cui al citato art. 20 ” (Cass. n. 3481 del 2014; n. 25487/2016).

Poichè il Giudice di appello, sull’erronea premessa di una considerazione esclusivamente monistica del programma negoziale, ha omesso di valutare l’efficacia interpretativa e probatoria di tutti gli elementi fattuali dedotti dall’Agenzia delle Entrate a fondamento della causa unitaria di cessione del ramo aziendale, così come perseguita dai negozi dedotti in giudizio, la sentenza impugnata, viziata in diritto e sotto il profilo motivazionale, va cassata, e dovendosi procedere al discernimento di una tipica quaestio facti, si impone il rinvio ad altra sezione della medesima CTR, la quale rivaluterà la fattispecie alla luce dei principi di diritto sopra riportati e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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