Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11666 del 07/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/06/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 07/06/2016), n.11666

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato PARATORE ENRICO, giusta procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5409/27/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA del 23/05/2014, depositata il 17/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/05/2016 dal Consigliere Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

IN FATTO

A.S.C. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 5409/27/2014, depositata in data 17/10/2014, con la quale – in controversia concernente le riunite impugnazioni di tre avvisi di accertamento emessi, per maggiore IRPEF dovuta in relazione agli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008, a seguito di rideterminazione in via sintetica del reddito imponibile, – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva accolto i ricorsi riuniti del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, respinte le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità e di violazione del divieto del novum, sollevate dall’appellato, hanno sostenuto che il contribuente non aveva offerto una “rigorosa prova certa e contraria” (nella specie, secondo la tesi difensiva del contribuente, “la consumazione di risorse già presenti nel patrimonio familiare in parte maturate per la pregressa attività ed in parte messe a disposizione dalla di lui moglie”).

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in Camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Diritto

IN DIRITTO

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, la violazione di legge, nonchè l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia e la “nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4”, deducendo che la pronuncia impugnata non contiene l’esposizione delle ragioni di fatto della decisione, non essendo svolta, in essa, alcuna argomentazione a fondamento del mancato apprezzamento della circostanza, dedotta dal contribuente, in ordine alla disponibilità di somme derivanti da disinvestimenti patrimoniali superiori al reddito accertato sinteticamente dall’Ufficio per le singole annualità.

2. Il motivo, quanto al vizio motivazionale, ex art. 360 c.p.c., n. 5, è fondato, mentre, quanto al vizio di omessa motivazione o motivazione apparente, è infondato.

Invero, premessa la piena operatività nel giudizio di cassazione in materia tributaria del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nella specie, la decisione impugnata è stata pubblicata nell’ottobre 2014), le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 8053-8054/2014) hanno affermato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (cfr. ord. 21257/2014).

Ne consegue che, mentre l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, il vizio motivazionale previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5) presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla “totale pretermissione” di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza della motivazione”. Ora, in ordine alla fondatezza della pretesa impositiva ed alla inidoneità della prova contraria offerta dal contribuente, la C.T.R. ha motivato nel senso sopra riportato.

Tuttavia, è fondato il rilievo, mosso dal ricorrente in ordine all’omesso esame del fatto storico rappresentato dai disinvestimenti patrimoniali effettuati negli anni in contestazione, elementi questi dedotti dal contribuente al fine di dimostrare la disponibilità di somme necessarie per mantenere il possesso dei beni. La C.T.R. nulla dice al riguardo.

Non ricorre invece il vizio di motivazione, del tutto, apparente o mancante, ex art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione alla violazione dell’art. 132 c.p.c., essendo esplicitate, sia pure sinteticamente, le ragioni fondanti la decisione, in particolare, la mancata dimostrazione, da parte del contribuente – valutata la prova offerta “in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati” – circa l’appartenenza “in tutto o in parte a redditi del genere indicato dal legislatore (redditi esenti o soggetti già a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta) e/o comunque a redditi di tal natura dichiarati dai componenti il proprio nucleo familiare”.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta sia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, sia l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla declaratoria di ammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, pur in difetto di indicazione specifica dei motivi di censura della sentenza impugnata.

4. Il motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile in quanto non involgente l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio.

Il motivo, con riguardo alla violazione di norma processuale, è poi infondato, risultando, dall’esame degli atti e dalla stessa decisione impugnata, che l’appellante Agenzia delle Entrate avesse mosso specifiche doglianze alle statuizioni della C.T.R..

Invero, come ribadito anche di recente da questa Corte (Cass. ord. 14908/2014), nel processo tributario, anche “la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, ben potendo il dissenso della parie soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza”.

5. Il terzo motivo, (con il quale il ricorrente deduce poi un ulteriore vizio di violazione di norma processuale, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, avendo i giudici della C.T.R. ritenuto legittimo il mutamento dei presupposti della pretesa impositiva operato dall’Ufficio in appello, con riguardo all’attribuzione al contribuente della mera disponibilità dell’immobile di proprietà del coniuge (laddove, in sede di primo grado, l’Agenzia delle Entrate aveva attribuito al contribuente “la proprietà al 50% dell’abitazione” suddetta), è infondato.

Invero, premesso che, come accertato nella decisione impugnata, nell’atto impositivo, era stata valutata correttamente l’incidenza del possesso, in capo al contribuente, per il 50%, dell’immobile di proprietà del coniuge, solo in termini di spese di “mantenimento del bene e non di incrementi patrimoniali”, la C.T.R. ha ritenuto che non vi fosse stato alcun ampliamento del thema decidendum in sede di appello, avendo l’Ufficio provveduto solo a correggere l’errore di battitura compiuto in alcune parti delle controdeduzioni in primo grado, laddove aveva usato il termine “proprietà” in luogo di “possesso”.

Nel processo tributario di appello, la novità della domanda deve, tuttavia, essere verificata in stretto riferimento “alla pretesa effettivamente avanzata nell’atto impositivo impugnato e, quindi, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, poichè il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato, sia per quanto riguarda il “petitum” sia per quanto riguarda la “causa petendi” (Cass. 10806/2012; Cass. 9810/2014).

6. In ultimo, il quarto motivo – con il quale il ricorrente lamenta sia la violazione di legge, sia l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla contestata rettifica del reddito per gli anni 2006 e 2008, non avendo la C.T.R. considerato che lo stesso Ufficio aveva, per detti anni, riconosciuto che i disinvestimenti patrimoniali effettuati sarebbero stati sufficienti a giustificare il reddito accertato sinteticamente – è assorbito, stante l’accoglimento, sul punto, del primo motivo.

8. Per tutto quanto sopra esposto, accolto il vizio motivazionale dedotto con il primo motivo, respinti la seconda parte del primo motivo, il secondo ed il terzo motivo, assorbito il quarto, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. della Lombardia in diversa composizione.

PQM

Accoglie il vizio motivazionale dedotto con il primo motivo, respinti la seconda parte del primo motivo, il secondo ed il terzo motivo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2016

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