Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11662 del 16/06/2020

Cassazione civile sez. I, 16/06/2020, (ud. 04/07/2019, dep. 16/06/2020), n.11662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25647/2018 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, presso Corte

Cassazione e difeso dall’avvocato PRATICO’ A.;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 221/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 01/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/07/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Torino rigettò il ricorso proposto da S.B., originario del (OMISSIS), avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego delle sue domande di riconoscimento dell’asilo politico e della protezione sussidiaria ed umanitaria. Il ricorrente aveva dichiarato di essere orfano in quanto il padre era stato ucciso nel 2002 da un colpo di arma da fuoco nel corso di un conflitto all’interno di (OMISSIS), un villaggio della Guinea. Nel (OMISSIS), nel corso di una rapina all’interno del negozio di famiglia, un fratello del ricorrente era stato ucciso dai ribelli, ed un altro fratello e lo stesso ricorrente erano stati feriti. Il ricorrente poi era stato rapito e, dopo essere guarito dalla ferita riportata, era stato arruolato dai ribelli ed inviato ad attaccare un villaggio, con il compito di portare nella foresta i beni saccheggiati. In tale occasione era riuscito a fuggire, trattenendosi per qualche mese a lavorare nel villaggio di (OMISSIS), e successivamente si era trasferito in Libia e poi in Italia. Aveva quindi dichiarato di temere, in caso di rimpatrio, di poter essere ucciso dai ribelli, ed inoltre di avere problemi di natura economica, avendo l’esigenza di mantenere l’anziana madre ed un fratello invalido.

Il Tribunale giudicò inattendibile il racconto per inverosimiglianza ed incoerenza, e, per altro verso, rilevò che non erano stati acquisiti elementi oggettivi sulla base dei quali ritenere che, in caso di rimpatrio, il ricorrente avrebbe potuto subire un danno grave, non risultando sottoposto ad un procedimento penale, e quindi non potendo subire una condanna a morte o a forme di tortura, e non avendo peraltro attivato la protezione degli organi statali, nè dedotto che tale protezione sarebbe stata inidonea a salvaguardarlo da possibili persecuzioni.

Il giudice di primo grado escluse altresì la esistenza in Senegal di una forma di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, in quanto il conflitto in atto nell’area geografica di provenienza del ricorrente (Casamance) tra ribelli e forze governative non era qualificabile come tale, come emergeva dalla relazione sulla situazione dei diritti umani in Senegal, stilata dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America nel 2016.

Il Tribunale ritenne insussistenti anche i presupposti della protezione umanitaria, non essendo state allegate particolari situazioni afferenti a beni primari della persona, nè particolari legami affettivi o un effettivo inserimento sociale e lavorativo in Italia.

2.- Su gravame del S., la Corte d’appello di Torino confermò il rigetto delle domande, condividendo il giudizio del Tribunale sulla inattendibilità del racconto del richiedente e sulla inesistenza in Senegal di una situazione di violenza indiscriminata e generalizzata, quanto alla istanza di protezione sussidiaria, e sulla non configurabilità di una situazione di vulnerabilità soggettiva od oggettiva dello stesso richiedente, quanto alla istanza di protezione umanitaria.

3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre S.B. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, commi 1, 3 e 5, lett. a), c), e), in tema di onere della prova e valutazione di credibilità del richiedente; carenza ed illogicità manifeste assolute di motivazione, omesso esame di fatti decisivi. Il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente sarebbe stato formulato in violazione dei parametri normativi, in quanto il lamentato deficit di specificità e precisione di dette dichiarazioni sarebbe stato originato dall’assenza di specifiche contestazioni di controparte e di puntuali domande del giudice. Nè la Corte di merito avrebbe spiegato le ragioni della inverosimiglianza della narrazione.

2.- La doglianza è priva di fondamento.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, prevede che, qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile.

Nella specie, la Corte di merito si è anzitutto richiamata alle argomentazioni del Tribunale, che si era soffermato in modo molto articolato – come riferito in narrativa – sulle ragioni di incoerenza ed implausibilità delle dichiarazioni del richiedente, con particolare riferimento alla circostanza dell’arruolamento da parte dei ribelli di una persona ferita ad un piede, che, pertanto, non avrebbe potuto essere impiegata nelle attività del gruppo per un significativo lasso di tempo; al tempo trascorso dall’episodio riferito, risalente al 2007, con conseguente non attualità del rischio; al mancato esercizio da parte dei ribelli, recatisi a cercare il richiedente presso i suoi familiari, di alcuna forma di violenza nei confronti degli stessi; alla mancata attivazione da parte del richiedente della protezione degli organi statuali.

A tali argomentazioni la Corte di merito ha aggiunto il rilievo relativo alla inverosimiglianza della circostanza della incapacità del richiedente di descrivere il trattamento ricevuto durante la prigionia nè di riferire i nomi dei ribelli che avevano causato la morte del padre, nè delle armi in possesso degli stessi; ed ha corroborato tale considerazione riportando in sentenza il testo delle dichiarazioni al riguardo rese dal richiedente alla Commissione Territoriale competente.

Resta, per tali ragioni, del tutto smentito l’assunto del ricorrente.

3.- Con il secondo mezzo si denuncia la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), con motivazione palesemente contraddittoria e illogica, e con istruttoria basata su informazioni non attuali, con omesso esame di fatti decisivi allegati dal ricorrente, ha negato l’esistenza di una situazione di violenza nella regione di Casamance del Senegal rilevate ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ovvero del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”. La istruttoria svolta dalla Corte di merito e la motivazione della sentenza impugnata sarebbero carenti e lacunose anche perchè basate su informazioni datate. Inoltre non sarebbero indicati, neppure in estrema sintesi, gli specifici documenti utilizzati per le indagini.

4.- La censura è inammissibile.

Nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente(v., ex multis, Cass., ord. n. 13897 del 2019).

Nella specie, la Corte di merito ancora una volta si è richiamata alle argomentazioni – suffragate da fonti ufficiali puntualmente citate- poste dal Tribunale a fondamento della propria decisione, nella quale si dà conto della inesistenza di un conflitto armato in Casamance, area geografica di provenienza del richiedente, tale non potendosi considerare gli sporadici attriti tra ribelli e forze governative, resistendo il cessate il fuoco ormai da tre anni.

La Corte di merito ha ribadito che dai siti specializzati – che ha a sua volta citato – non si rinviene una situazione di violenza indiscriminata e generalizzata in Senegal, tale da giustificare il riconoscimento della protezione internazionale, ma solo saltuari scontri tra ribelli e forze governative fuori dei centri abitati.

A fronte del corretto adempimento, da parte del giudice di secondo grado, dei propri oneri di indagine, la contrapposizione da parte del ricorrente di diverse notizie provenienti da altre fonti si risolve in un improprio tentativo di ottenere un riesame nel merito della decisione, inibito nel giudizio di legittimità.

5.- Con il terzo motivo si deduce “violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e vizio motivazionale per assoluta carenza di motivazione (solo apparente), e per omesso esame di fatti decisivi prospettati dalla parte, per avere rigettato la domanda (subordinata) relativa al permesso di soggiorno per motivi umanitari, omettendo di esaminare la condizione di violenza e insicurezza generalizzata e diffusa in Casamance, con violazioni dei diritti fondamentali delle persone, a danno dei civili; e omettendo altresì di esaminare la specifica situazione personale e familiare allegata dal ricorrente a sostegno della domanda”. La Corte di merito non avrebbe considerato, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la situazione di violenza diffusa in Casamance, che, se non era stata ritenuta tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria, avrebbe dovuto essere comunque esaminata sotto il profilo della sussistenza delle condizioni legittimanti il permesso di soggiorno per motivi umanitari; la particolare condizione personale e familiare del ricorrente, ed in particolare la esigenza di provvedere al mantenimento della anziana madre e di un fratello invalido; il grado di integrazione maturato in Italia dal ricorrente attraverso l’acquisizione di competenze lavorative.

6.- La censura è inammissibile.

In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass., SS.UU., sent. n. 29459 del 2019; Cass., sent. n. 4455 del 2018).

Non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (Cass., ord. n. 3681 del 2019).

Nella specie, la Corte territoriale non ha ravvisato ragioni di carattere umanitario che giustifichino il riconoscimento della protezione umanitaria, in mancanza, per un verso, di una esigenza qualificabile come umanitaria, tenuto anche conto dell’assenza di prove del racconto dell’interessato; per l’altro, di violazione di diritti costituzionalmente tutelati nella regione di provenienza del richiedente.

7.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In ossequio al criterio della soccombenza, le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2020

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