Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11662 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/05/2017, (ud. 09/03/2017, dep.11/05/2017),  n. 11662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4910-2012 proposto da:

R.G., VILLA GIULIA ONLUS in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIALE

DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DE ROSA, che

li rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO LATINA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1093/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

LATINA, depositata il 27/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato ANDREA DE ROSA, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.G., in proprio e nella qualità di legale rappresentante p.t. dell’associazione “Villa Giulia” Onlus, proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina avverso un avviso di accertamento relativo ad IRPEF, anno di imposta 2002, per ritenute non operate e non versate, conseguenti a rapporti di lavoro subordinato. La CTP rigettava il ricorso, sostenendo che nel caso in esame vi era la prova documentale (copia libro matricola e copia denuncia rapporto di lavoro presentata all’INAIL) che i dipendenti risultavano regolarmente iscritti al libro matricola della ONLUS e che trattavasi di rapporto di lavoro domestico, subordinato e retribuito. Le parti contribuenti proponevano appello, che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la quale respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione, in quanto inammissibile ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, e rilevava nel merito la legittimità dell’operato dell’Ufficio. Propone ricorso per la cassazione della sentenza l’associazione “Villa Giulia” ONLUS e R.G., svolgendo otto motivi. La parte intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in merito all’eccezione del difetto di giurisdizione, ex art. 360 c.p.c., n. 3”, avendo il giudice di appello errato nel dichiarare inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in ragione della sentenza della Corte costituzionale n. 130 del 2008 intervenuta successivamente alla conclusione del giudizio di primo grado ed applicabile al caso di specie.

3. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, e conseguentemente difetto di giurisdizione della commissione tributaria regionale adita ex art. 360 c.p.c., n. 3, n. 1”, atteso che la decisione gravata dovrebbe essere riformata alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 130 del 2008 e, contrariamente a quanto affermato dal giudice di secondo grado, il difetto di giurisdizione poteva essere rilevato solo in appello.

4. I primi due motivi di ricorso per connessione logica, vanno trattati congiuntamente.

Le censure sono infondate.

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 130 del 2008 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 (come sostituito della L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2) nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative a tutte le sanzioni amministrative irrogate per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie, anche quando conseguano a disposizioni non aventi natura fiscale, le quali, pertanto, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass. S.U. n. 15846 del 2008).

Nella specie, i contribuenti hanno impugnato l’avviso di accertamento per imposta IRPEF, relativa all’anno 2002, emesso a seguito di omessa dichiarazione e versamento di ritenute fiscali sui compensi corrisposti a dipendenti regolarmente iscritti sul libro matricola della ONLUS.

Per quanto precisato, è di palese evidenza come il richiamo alla pronuncia n. 130 del 2008 della Consulta da parte dei ricorrenti sia improprio, non potendo certamente incidere sulla controversia in esame, trattandosi di una vicenda processuale differente rispetto a quella esaminata dalla sentenza n. 130 del 2008 ed inerente a fattispecie giuridica non sovrapponibile a quella illustrata in ricorso. Questa Corte, inoltre, ha precisato che: “Spetta alla giurisdizione tributaria il giudizio che concerne un avviso di accertamento emesso per mancata effettuazione di ritenute alla fonte da parte del datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, con irrogazione della conseguenti sanzioni amministrative” (Cass. Sez. 5, Ord. n. 7662 del 2011). La legittimità delle ritenute non integra una mera questione pregiudiziale, suscettibile di essere delibata incidentalmente, ma comporta una causa di natura tributaria avente natura pregiudiziale, la quale deve essere definita, con effetti di giudicato sostanziale, dal giudice cui la relativa cognizione spetta per ragioni di materia, in litisconsorzio necessario con l’Amministrazione finanziaria (Cass. Sez. Un. n. 4223 del 1996).

Ne consegue il rigetto di entrambi i motivi.

5. Con il terzo motivo, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Carenza di motivazione della sentenza e violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ex art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3 e nullità della stessa ex art. 360 c.p.c., n. 4”, atteso che il giudice di appello avrebbe omesso di esporre adeguatamente le ragioni di diritto della decisione e di fornire una ragionata valutazione delle censure prospettate in sede di gravame, limitandosi ad operare un rinvio per relationem alle ragioni poste a fondamento della sentenza di primo grado.

6. Il motivo è inammissibile ed infondato.

Il motivo è inammissibile per mescolanza non scindibile di vizio motivazionale, violazione di legge ed “error in procedendo”, in quanto la sua formulazione non permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentire, se necessario, l’esame separato delle censure (Sez. Unite n. 9100 del 2015, Cass. sent. n. 9793 del 2013). I ricorrenti, inoltre, si limitano nello sviluppo assertivo delle contestazioni a denunciare una totale mancanza di motivazione della sentenza impugnata, senza argomentare in alcun modo sulle violazioni di legge denunciate in rubrica.

Il motivo è, altresì, infondato, atteso che nella specie non ricorre il denunciato vizio di omessa motivazione della sentenza, avendo il giudice del merito indicato, seppure sinteticamente, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, consentendo il controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, ritenendo fondato il percorso motivazionale sviluppato dal giudice di primo grado.

7. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata denunciando in rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1403 ex art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il giudice di appello avrebbe erroneamente considerato i nominativi indicati nell’avviso di accertamento come non componenti della comunità religiosa, ma addetti al servizio dell’Associazione On-lus, e quindi soggetti alle varie forme di previdenza e assistenza sociale e, quale reddito di lavoro dipendente, soggette alla ritenute alla fonte.

8. Con il quinto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione delle norme relative allo Statuto del contribuente approvato con L. 27 luglio 2000, n. 212 e del D.Lgs. 26 giugno 2001, n. 32 e conseguente nullità ed illegittimità dell’atto di irrogazione per difetto di motivazione e per mancata allegazione degli atti in essa richiamati ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, atteso che l’avviso di accertamento impugnato sarebbe un atto illegittimo, per assoluta carenza di motivazione, non risultando allegato l’atto a cui fa riferimento, ossia il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza.

9. Con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata denunciando in rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990 e del diritto di difesa e del contraddittorio ex art. 360 c.p.c., n. 3”, atteso che nessuna delle contestazioni mosse nell’avviso di accertamento e nel provvedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative troverebbe fondamento, con la conseguenza che chi ha redatto il verbale di constatazione ha erroneamente presupposto l’esistenza delle stesse, non avendole accertate.

10. Con il settimo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e dell’art. 3 e 24 Cost., ex art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto le norme del rito tributario non consentono l’ingresso all’assunzione di alcuni mezzi di prova quali la testimonianza, ed in questo modo sottraggono alla parte privata, soprattutto con riferimento alle controversie in tema di esistenza e durata dei rapporti di lavoro, un efficace strumento processuale di difesa, in violazione dei principi di “buon andamento ed imparzialità dell’Amministrazione” (art. 97 cost.) e del “diritto di difesa nei procedimenti giurisdizionali” (art. 24 cost.). Le parti ricorrenti denunciano, quindi, l’incostituzionalità della norma per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

11. Con l’ottavo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata denunciando in rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione del CCNL dei P.E. ex art. 360 c.p.c., n. 3”, atteso che l’avviso di accertamento non contiene nè l’enunciazione del CCNL di riferimento, P.E., nè tantomeno il livello di inquadramento attribuito ai “presunti lavoratori”; da ciò discenderebbe inevitabilmente l’erroneità, arbitrarietà, inammissibilità, genericità, illegittimità ed infondatezza dell’accertamento e della conseguente sanzione.

12. Il quarto, il quinto, il sesto e l’ottavo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili per totale carenza di autosufficienza.

Nel caso di specie, con riferimento a tutte le doglianze espresse, le parti ricorrenti hanno mancato di ottemperare all’onere di autosufficienza gravante ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, posto che non si sono date cura di allegare in quale fase del giudizio di merito, e con quale atto difensivo, si sono eccepite le varie deduzioni indicate in ricorso.

Il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, permettere la valutazione della fondatezza delle ragioni del ricorrente, senza necessità di fare rinvio a fonti esterne allo stesso ricorso e quindi ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito; ne consegue che il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al momento processuale in cui è avvenuta la deduzione difensiva, anche il contenuto dei documenti su cui il ricorso è fondato (Cass., Sez. 5, n. 14784 del 2015; Cass. Sez. 5 n. 19410 del 2015; Cass. sez. 5, n. 23575 del 2015; Cass. Sez. 1, n. 195 del 2016), onde dare modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità dell’asserzione, la tempestività e la decisività, prima di esaminare la controversia (Cass. Sez. 2, n. 8206 del 2016).

Il quinto, il sesto e l’ottavo motivo di ricorso sono, altresì, inammissibili, in quanto non censurano la motivazione della sentenza impugnata, ma l’atto impositivo. Il motivo di ricorso per cassazione si deve necessariamente articolare in una critica alla motivazione della sentenza impugnata e, dunque, all’iter argomentativo della sentenza stessa, necessario per apprezzarne l’idoneità al raggiungimento dello scopo, con la precisa individuazione della parte di motivazione cui si correla la critica (in termini, si veda Cass. n. 2707 del 2004, seguita da numerose conformi). Nella specie, nell’intero assunto argomentativo che espone le doglianze nei predetti motivi non è fatto alcun riferimento alla motivazione della sentenza, mentre si illustrano contestazioni riguardanti l’avviso di accertamento impugnato.

13. Con il settimo motivo di ricorso, i contribuenti denunciano l’incostituzionalità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 nella parte in cui esclude l’ammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost..

La questione è manifestamente infondata, come dichiarato dalla Consulta con sentenza n. 18 del 2000, che ha escluso che il divieto di prova testimoniale possa collidere con il principio di “parità delle armi” – che rappresenta espressione, in campo processuale del principio di eguaglianza – in quanto esso è formulato in termini generali ed astratti. Inoltre, sempre con riferimento all’art. 3 Cost. – e sotto il diverso profilo della comparazione con altri sistemi processuali, evocato in base alla considerazione che, mentre in altri procedimenti giurisdizionali (civile, penale) la parte può normalmente ricorrere a prove testimoniali – non esiste affatto un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo, sicchè i diversi ordinamenti ben possono differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e delle situazioni sostanziali dedotte in giudizio. Ne consegue che il divieto di prova testimoniale nel processo tributario trova giustificazione nella specificità dello stesso rispetto a quello civile ed amministrativo e nella stessa natura della pretesa fatta valere dall’amministrazione finanziaria, attraverso un procedimento di accertamento dell’obbligo del contribuente che male si concilia con la prova testimoniale. L’asserita violazione dell’art. 24 Cost. deve ritenersi, a sua volta, insussistente perchè l’esclusione della prova testimoniale nel processo tributario non costituisce violazione del diritto di difesa, potendo questo essere diversamente regolato dal legislatore, nella sua discrezionalità, in funzione delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti. Inoltre, l’impossibilità della parte di fornire “aliunde” la prova di una specifica circostanza di fatto, pur esistente, non può di per sè ascriversi a vizio di legittimità costituzionale della norma, essendo conseguenza necessitata della scelta, discrezionale, del legislatore riguardo all’ammissibilità dei singoli mezzi istruttori.

14. Sulla base dei rilievi espressi, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese perchè la parte intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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