Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11661 del 16/06/2020

Cassazione civile sez. I, 16/06/2020, (ud. 04/07/2019, dep. 16/06/2020), n.11661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24633/2018 proposto da:

K.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso CORTE

CASSAZIONE e difende dall’Avvocato BERETTI FRANCO;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 600/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 30/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/07/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

udito l’Avvocato;

udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso con il quale K.A., cittadino (OMISSIS), aveva impugnato il provvedimento, emesso dalla competente Commissione territoriale, di rigetto della domanda di riconoscimento sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il ricorrente aveva dichiarato di aver lasciato il suo Paese di origine per sfuggire alla vendetta dei familiari di un collega che lo avrebbero ritenuto responsabile di un incidente sul lavoro da cui sarebbe derivata la morte di quest’ultimo, rivolgendogli minacce ed aggressioni, tanto da costringerlo a nascondersi senza poter lavorare nè prendersi cura della propria famiglia; ed aveva chiesto il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e, in subordine, il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale adito ha rilevato la sostanziale inverosimiglianza della narrazione e la non credibilità del ricorrente, ed, in ogni caso, la natura privatistica della vicenda, sicchè questi, in caso di rientro nel suo Paese di origine, non subirebbe alcun danno. Nè – ha osservato il giudice di primo grado – nella regione di provenienza del ricorrente risultano scenari di conflitto armato interno od internazionale. Il Tribunale ha altresì escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo state allegate particolari situazioni afferenti a beni primari della persona, nè essendo stati documentati specifici elementi sulla cui base riconoscere il diritto alla forma di protezione richiesta, tenuto conto che l’inserimento lavorativo, peraltro dedotto solo in udienza, e la frequentazione di un corso di lingua italiana non sono elementi idonei di per sè a ritenere raggiunto un significativo grado di integrazione.

2.- Su gravame del ricorrente la Corte d’appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado, condividendo le valutazioni del Tribunale in ordine alla scarsa credibilità del racconto – nel quale ha ravvisato anche alcune contraddizioni fra le dichiarazioni rese innanzi alla Commissione e quelle fornite al Tribunale – e comunque sulla natura squisitamente privatistica della vicenda narrata, tale da non rilevare in alcun modo ai fini del riconoscimento della protezione internazionale. La Corte di merito ha poi ritenuto, sulla base dell’esame di siti ufficiali internazionali, la insussistenza di elementi per ritenere che la situazione del Punjab, regione del Pakistan dove si trova la cittadina di Topa Usman, da cui proviene il ricorrente, sia priva del controllo statale a causa della presenza dei talebani, o comunque soggetta a violenza generalizzata. Quanto alla domanda di protezione umanitaria, il giudice di secondo grado ha rilevato che l’appellante non ha dedotto una situazione di vulnerabilità tutelabile.

3.- Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il cittadino straniero sulla base di tre motivi. Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10,13 e 27, anche in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si contesta la valutazione di non attendibilità del racconto del ricorrente operata dalla Corte d’appello, che non avrebbe assolto il proprio onere di accertamento della situazione – come in precedenza neanche avrebbe fatto l’autorità amministrativa – tenuto conto delle difficoltà del richiedente di riassumere vicende complesse e drammatiche innanzi a persone dal differente bagaglio educativo e culturale non conosciute e con la mediazione di un interprete.

2.- La censura è inammissibile.

Essa non tiene conto della ratio decidendi della pronuncia impugnata, la quale – al di là di della valutazione di non credibilità, peraltro suffragata dalla rilevata contraddittorietà della versione resa all’Autorità Giudiziaria rispetto a quella offerta alla Commissione Territoriale competente, della narrazione che della sua vicenda personale aveva fornito il ricorrente – trova fondamento nella ritenuta insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, alla stregua dell’inquadramento della vicenda come rappresentata dallo stesso ricorrente. La Corte territoriale ha, infatti, rilevato che essa, in quanto vicenda di natura privatistica, alla base della quale non è ravvisabile alcun genere di persecuzione per ragioni politiche, religiose, di razza o di appartenenza ad un gruppo sociale, e per la quale lo stesso richiedente ha ammesso di non aver chiesto protezione all’Autorità locale, non presenta i caratteri richiesti dalla legge per il riconoscimento del diritto di asilo nè della protezione sussidiaria.

3.- Con il secondo mezzo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), per la mancata considerazione, ai fini della valutazione della sussistenza del rischio cui il richiedente sarebbe esposto in caso di rientro nel suo Paese, della reale situazione del Paese, in cui, come risulta dal rapporto EASO 2015 sul Pakistan, le controversie private in quello Stato sono molto frequenti ed i Tribunali che se ne occupano non hanno adeguata formazione e sono soggetti a corruzione, come il sistema delle forze di sicurezza. Il ricorrente segnala, inoltre, la permanente instabilità del Paese ed i numerosi scontri ed attacchi terroristici, risultanti dai reports aggiornati (COI EASO di agosto 2017 e UNCHR di maggio 2017), pur nel miglioramento generale della situazione.

4.- La doglianza è infondata.

In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (v., ex plurimis, Cass., ord. n. 11312 del 2019).

Nella specie, la Corte di merito si è fatta carico degli oneri informativi ad essa incombenti, e vi ha correttamente adempiuto, citando le fonti ufficiali internazionali dalle quali ha desunto che la situazione del Punjab non è soggetta a violenza generalizzata, ed è sotto il controllo delle autorità governative, al punto che l’Alto Commissariato per rifugiati dà atto che, a fronte della possibilità per i rifugiati afgani presenti in Pakistan di ritornare nel Paese di origine, molti di essi scelgono di rimanere in Pakistan per le opportunità educative ed economiche che tale Paese offre.

In presenza di tali argomentate conclusioni, la contrapposizione, operata dal ricorrente, di altre fonti informative – in disparte la mancata menzione nel ricorso della fase processuale e dell’atto in cui le stesse sarebbero state dedotte – risulta volta sostanzialmente a conseguire un riesame delle valutazioni del giudice del merito, non consentito nella presente sede di legittimità.

5.- Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Il giudice di secondo grado avrebbe completamente omesso, ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, l’approfondimento delle circostanze del livello di infiltrazione in Pakistan del fondamentalismo religioso, della frequenza degli attacchi terroristici e della incapacità delle forze statali e locali di assicurare ai cittadini il rispetto delle norme procedurali giudiziali a causa della corruzione denunciata dagli organismi internazionali. Tali considerazioni darebbero conto della vulnerabilità del ricorrente, che, ove rientrasse nel Paese di provenienza, non potrebbe ricevere alcuna tutela nè alcuna garanzia di un giusto processo.

6.- La censura è inammissibile.

La Corte sabauda ha rigettato l’appello nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di Torino che aveva confermato il diniego della protezione umanitaria in favore dell’attuale ricorrente rilevando che questi non aveva confutato le argomentazioni espresse dal giudice di primo grado in ordine alla mancata prova del suo radicamento in Italia, ed in particolare dello svolgimento di un’attività lavorativa, ed alla mancata deduzione di una situazione di vulnerabilità.

La natura residuale ed atipica della protezione umanitaria, se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (v., tra le altre, Cass., ord. n. 21123 del 2019).

Per contro, nel ricorso per cassazione si richiamano ancora le medesime circostanze sulle quali il K. ha chiesto la protezione sussidiaria (situazione del Pakistan con riferimento agli attacchi terroristici, alla inadeguatezza delle forze di polizia per la dilagante corruzione), già contestate dalla ricostruzione operata, sulla base di fonti ufficiali, dai giudici del merito.

7.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In ossequio al criterio della soccombenza, le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00, per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2020

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