Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11658 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 04/05/2021), n.11658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23415-2019 proposto da:

RAAP TRADING SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore,

A.C., R.P., A.F., elettivamente

domiciliati presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA

CAVOUR, ROMA, rappresentati e difesi dall’Avvocato TUFANO SABATO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5483/24/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 21/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

ANTONIO FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza in data 21 giugno 2019 la Commissione tributaria regionale della Campania dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla RAAP TRADING s.a.s. e dai soci A.F., A.C. e R.P. contro l’avviso di accertamento relativo ad IVA per l’anno d’imposta 2011. Rilevava la CTR che l’appello risultava tardivo in quanto il dispositivo della sentenza di primo grado era stato regolarmente comunicato al difensore della società ed era decorso il termine di cui all’art. 327 c.p.c.. Nel merito aderiva alle argomentazioni svolte dal primo giudice.

Avverso la suddetta sentenza la società contribuente e i soci hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, per non avere la CTR considerato che era stata fornita prova documentale del cattivo funzionamento della casella pec del difensore costituito in giudizio, il quale non aveva avuto conoscenza della comunicazione del dispositivo della sentenza di primo grado, circostanza che giustificava la rimessione in termini richiesta con l’atto di appello.

La censura è infondata.

Secondo l’orientamento espresso da questa Corte, la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto; tale errore sussiste, in particolare, allorchè la parte decaduta dall’impugnazione per l’avvenuto decorso del termine di cui all’art. 327 c.p.c. si dolga della non tempestiva comunicazione della sentenza da parte della cancelleria, posto che il termine di cui all’art. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, e non dall’omessa comunicazione da parte del cancelliere (Cass. n. 17704 del 2010; conf. Cass. n. 5946 del 2017).

Consegue che, indipendentemente dalla regolare comunicazione del dispositivo della sentenza di primo grado al difensore costituito, il decorso del termine lungo semestrale di impugnazione comporta l’inammissibilità per tardività dell’appello.

Stante l’inammissibilità dell’appello resta assorbito il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce che la motivazione della sentenza impugnata si pone al di sotto del “minimo costituzionale” e si censura, altresì, il merito della decisione.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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