Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11656 del 11/05/2017
Cassazione civile, sez. trib., 11/05/2017, (ud. 15/02/2017, dep.11/05/2017), n. 11656
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24729/2012 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso
la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
ARTEMIDE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Liguria, n. 24/11/2012, depositata in data 22 maggio 2012;
Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 15 febbraio 2017
dal Cons. Lucio Luciotti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale FUZIO Riccardo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso per quanto di ragione.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 24 del 22 maggio 2012 la Commissione Tributaria Regionale della Liguria respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento con cui l’amministrazione finanziaria, sul presupposto della non reale effettuazione di un acquisto immobiliare da parte della società contribuente e, comunque, la non inerenza dell’operazione commerciale, recuperava il credito IVA riportato nella dichiarazione relativa all’anno di imposta 2003 applicando le relative sanzioni.
1.1. I giudici di appello, pur rilevando la non effettività dell’operazione commerciale, concretante un abuso del diritto, ritenevano che la circostanza che la società contribuente non avesse portato in compensazione un credito IVA che comunque non le spettava, rendevano illegittimo l’atto impositivo laddove richiedeva il rimborso di una somma che la società non aveva nè chiesto a rimborso nè utilizzato in compensazione e di cui non avrebbe più potuto usufruire stante la dichiarazione giudiziale di non spettanza. Escludevano, inoltre, le sanzioni inflitte per l’illegittima detrazione del credito e per irregolare tenuta della contabilità sostenendo che “non può essere fatto processo alle intenzioni”, e confermando la sola sanzione per infedele dichiarazione, ma per un importo pari a quello indebitamente portato in detrazione.
2. Avverso detta statuizione l’Agenzia propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui non replica l’intimata.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censura la sentenza impugnata per avere la CTR, in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 54 e dei principi generali in materia di IVA, negato la legittimità del recupero di un credito IVA disconosciuto dall’amministrazione finanziaria ed illegittimamente indicato in dichiarazione dalla società contribuente, sul presupposto che la stessa non l’aveva utilizzato in compensazione, nè chiesto a rimborso, e non avrebbe potuto farlo successivamente in quanto credito dichiarato inesistente, e comunque non inerente, con statuizione giudiziale divenuta definitiva.
2. Il primo motivo è fondato.
2.1. Va preliminarmente rilevato che è pacifico che la società contribuente aveva riportato nella dichiarazione relativa all’anno di imposta 2003 un’eccedenza di imposta di Euro 218.112,00 relativa ad operazione commerciale dichiarata inesistente, e comunque non inerente, con statuizione giudiziale divenuta sul punto definitiva per mancata impugnazione da parte della contribuente. E’ altresì pacifico che la società contribuente nel corso dell’anno 2004 aveva rinunciato all’istanza di rimborso del credito IVA che aveva presentato.
2.2. Ciò precisato, osserva il Collegio che a mente del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 è sufficiente che il contribuente abbia indicato nella dichiarazione “una eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante” – come nel caso di specie – per legittimare il potere dell’amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica della dichiarazione ed al conseguente recupero dell’eccedenza, essendo a tal fine del tutto irrilevante l’utilizzazione o meno, in concreto, dell’eccedenza di credito da parte del contribuente, perchè non potuto compensare con un pari importo a debito anche negli anni successivi a quello di maturazione ovvero per non averlo richiesto a rimborso (con le modalità e nei termini consentiti), trattandosi di vicende successive che non incidono sul diritto dell’amministrazione finanziaria a recuperare il credito di cui il contribuente indebitamente fruisce al momento in cui lo riporta nella relativa dichiarazione. L’affermazione della CTR è, quindi, errata in diritto e la conclusione cui si è pervenuti è assorbente del secondo motivo con cui la ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio motivazionale, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul fatto decisivo e controverso dell’utilizzo in compensazione di una eccedenza di credito IVA non spettante, che nella specie la CTR ha escluso nonostante fosse riportata nella dichiarazione relativa all’anno di imposta 2003, costituente manifestazione di volontà di utilizzazione di quel credito negli anni di imposta successivi, senza aver indicato gli elementi probatori fondanti tale convincimento ed accertato se la società contribuente avesse fornito prova di non averlo effettivamente utilizzato.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., sostenendo che la CTR aveva annullato le sanzioni amministrative pecuniarie inflitte alla società contribuente per l’illegittima detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, per l’infedele dichiarazione e per l’irregolare tenuta della contabilità nonostante l’appellante società si fosse limitata nel ricorso in appello a richiamare genericamente i motivi di opposizione proposti in primo grado, fra cui quelli relativi alle sanzioni.
3.1. E’ principio giurisprudenziale condiviso dal Collegio quello secondo cui la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 1200 del 2016). Tale principio è esattamente speculare a quello che questa Corte ha più volte riaffermato nell’ipotesi in cui sia l’amministrazione finanziaria a limitarsi in appello a ribadire e riproporre le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato (in tal senso Cass. n. 3064 del 29/02/2012; v. anche Cass. n. 14031 del 16/06/2006; n. 4784 del 28/02/2011).
3.2. Orbene, che nella specie di causa sia così avvenuto lo si ricava dalla stessa pronuncia impugnata nella quale la CTR evidenzia che la società appellante, oltre ad aver addotto specifici motivi, nell’atto di gravame ha richiamato integralmente le eccezioni, difese e motivi proposti in primo grado, facendo specifico riferimento alle consequenziali determinazioni in tema di sanzioni, chiedendo di annullare in toto l’avviso di accertamento. Ed è evidente che la questione dell’applicabilità delle sanzioni fosse consequenziale alla decisione di merito sulla pretesa tributaria, la domanda sul punto non necessitando di ulteriori specificazioni.
3.4. Il motivo, pertanto, va rigettato perchè infondato.
4. Con il quarto e quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6, comma 6, e art. 9, commi 1 e 3, per avere la CTR escluso l’applicabilità della sanzione per l’illegittima detrazione di un inesistente credito IVA (quarto motivo) e per l’irregolare tenuta delle scritture contabili (quinto motivo), sul rilievo che l’applicazione di dette sanzioni nel caso di specie, in cui non vi era stato utilizzo dell’eccedenza di credito, andasse a sanzionare le mere intenzioni della società contribuente.
4.1. I predetti motivi, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi, ponendo la questione dell’applicabilità delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 6, e art. 9, commi 1 e 3, nell’ipotesi di non utilizzo di una eccedenza di credito non spettante, comunque riportata in dichiarazione, sono fondati in quanto la statuizione impugnata si pone in contrasto con le norme censurate e con le disposizioni generali in materia di sanzioni pecuniarie dettate dal D.Lgs. n. 472 del 1997. Invero, l’ipotesi di non utilizzo del credito indebitamente riportato in dichiarazione, non è prevista nè come condizione di inapplicabilità delle sanzioni in esame, nè come causa di non punibilità D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 6 e addirittura non è idoneo a giustificare una riduzione delle stesse per ravvedimento ex art. 13 D.Lgs. citato.
5. Con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 4 (rectius: 5, comma 4) per avere la CTR erroneamente ritenuto che la sanzione per l’infedele dichiarazione è pari all’imposta indebitamente portata in detrazione.
5.1. Anche questo motivo è fondato. Prevede il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, che se dalla dichiarazione presentata risulta un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della differenza, per cui è errata in diritto la statuizione di merito di riduzione della sanzione alla misura corrispondente all’entità dell’imposta eccedentaria.
6. Conclusivamente, quindi, vanno accolti il primo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, assorbito il secondo e rigettato il terzo, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio in quanto la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2, non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere, rigettandosi il ricorso originariamente proposto dalla società contribuente, che va altresì condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, tenuto conto dei criteri di cui al D.M. Giustizia n. 55 del 2014 e della mancata partecipazione della ricorrente all’udienza di discussione, mentre sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali dei giudizi di merito.
PQM
accoglie il primo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, assorbito il secondo, dichiara infondato il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originariamente proposto dalla società contribuente, che condanna al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito, compensando tra le parti le spese processuali dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017