Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11653 del 16/06/2020

Cassazione civile sez. I, 16/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 16/06/2020), n.11653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4557/2015 proposto da:

Comune di Monreale, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via dei Gracchi n. 197, presso lo studio

dell’avvocato Giovanni Magnano Di San Lio, rappresentato e difeso

dall’avvocato Girolamo Rizzuto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.T.I. Rubbino – Acquaro – Zuccarelio, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Mecenate n. 27, presso lo studio dell’avvocato Andreina Di Torrice,

rappresentata e difesa dall’avvocato Pietro Bisconti, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2010/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 10/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/01/2020 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In esito a gara informale indetta dal Comune di Monreale a trattativa privata, A.t.i. Rubbettino-Acquaro-Zuccarello, d’ora in poi per brevità solo A.t.i., risultava aggiudicataria del servizio di raccolta e trasporto a discarica dei rifiuti solidi urbani per un periodo di due mesi e con importo a base d’asta di Euro 99.914,00.

L’aggiudicazione ed il verbale di consegna venivano redatti sotto riserva di legge, stabilendosi tra le parti che il pagamento sarebbe avvenuto dopo la stipula del contratto e la sua registrazione.

Reso il servizio, il contratto non veniva stipulato perchè si rivelavano false le autodichiarazioni rese dai rappresentanti delle ditte costituite in A.t.i. quanto alla insussistenza, a loro carico, di situazioni di incapacità a contrarre con la p.A., di condanne penali passate in giudicato per reati incidenti sulla moralità professionale e di gravi errori nella esecuzione di servizi similari.

2. Sull’indicato ante fatto, il Tribunale di Monreale, con sentenza n. 177/2008, rigettava, per quanto in questa sede è d’interesse, la domanda dell’A.t.i. di condanna del Comune di Monreale nonchè dei funzionari e dipendenti, che avevano consentito l’espletamento del servizio, a titolo di ingiustificato arricchimento. Quanto ai secondi veniva esclusa l’esistenza di un impegno di spesa irregolarmente assunto, con conseguente responsabilità D.L. n. 66 del 1989, ex art. 23, poi confluito nel D.Lgs. n. 267 del 2000 e rispetto all’ente il riconoscimento dell’utilitas.

3. Su impugnativa dell’A.t.i. e, in via incidentale, del Comune di Monreale, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava l’ente territoriale al pagamento in favore dell’appellante A.t.i. della somma di Euro 98.420,27 a titolo a titolo di indennizzo ex art. 2041 c.c., nell’apprezzata sussistenza dell’utilitas.

La natura del servizio e l’imprescindibilità, nella sua erogazione, della collaborazione dell’Amministrazione avrebbe sostenuto la fondatezza della pretesa alla cui liquidazione la Corte di merito giungeva nei limiti della diminuzione patrimoniale sofferta dall’esecutore della prestazione per un importo equitativamente determinato.

4. Ricorre per la cassazione della sentenza di appello il Comune di Monreale con tre motivi ai quali resiste l’A.t.i. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

5. Con ordinanza interlocutoria n. 10161/2018 la Terza Sezione Civile rimetteva il giudizio a questa Prima Sezione Civile per competenza tabellare.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Comune di Monreale deduce la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè artt. 333,345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”; la Corte di merito non aveva valutato la deduzione, riformulata in via di eccezione o di appello incidentale dal Comune vittorioso dinanzi al tribunale, di improponibilità della domanda per difetto del requisito della sussidiarietà, spettando al terzo prestatore del servizio l’azione contrattuale tipica nei confronti dei dipendenti che avevano commesso o consentito la prestazione D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 191, comma 4, lett. e), pur in mancanza di copertura di spesa.

2. Con il secondo motivo, il Comune ricorrente fa valere la “violazione o falsa applicazione degli artt. 112-345 c.p.c. ed artt. 2041-2042 c.c., ed ancora art. 1350 c.c. e L.S. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 17 R.D. ed infine del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 191, comma 4, lett. e), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La Corte di appello, prima di ogni valutazione sul requisito del riconoscimento della utilità della prestazione, avrebbe dovuto pronunciare, anche d’ufficio, l’inammissibilità o improponibilità della domanda per difetto di sussidiarietà.

L’affidamento del servizio in carenza di contratto sarebbe in ogni caso ipotesi scissa dal rapporto di immedesimazione organica e quindi non riconducibile all’ente, ma ai funzionari che hanno consentito all’esecuzione della prestazione.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1226-2056 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

In caso di azione di indebito arricchimento dovrebbe escludersi il ricorso alla valutazione equitativa del danno non potendo l’azione restitutoria tradursi in un meccanismo rivolto ad assicurare il corrispettivo dell’incarico dei lavori eseguiti e quindi a garantire gli effetti sostanziali dell’azione contrattuale; il detrimento patrimoniale relativo alle spese vive, ed in genere quello collegato al danno emergente, è parametro per definizione soggetto a prova e la sentenza impugnata non avrebbe indicato la difficoltà di quantificare altrimenti l’indennizzo.

4. Preliminare all’esame dei motivi di ricorso è la valutazione della deduzione, formulata dalla controricorrente, che la parte destinataria di un’azione di arricchimento ingiustificato, e vincitrice in primo grado, ove voglia far valere in appello il difetto di sussidiarietà dell’azione di arricchimento ingiustificato ex art. 2041 c.c., debba proporre impugnazione incidentale per scongiurare la formazione, sul punto, di un giudicato interno non potendo, a tal fine, limitarsi a richiederne il riesame in appello.

La prospettazione è infondata.

Risponde a consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte di legittimità quello per il quale, “la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione “le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado”, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perchè assorbite o anche quelle esplicitamente respinte qualora l’eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.” (Cass. 26/11/2010 n. 24021; in termini: Cass. 28/08/2013 n. 19828; Cass. 28/11/2016 n. 24124).

Poichè il tema della sussidiarietà dell’azione per arricchimento ingiustificato deve essere necessariamente scrutinato dal giudice del merito che, investito della domanda di arricchimento ingiustificato, in ragione della residualità del rimedio, è chiamato a verificare l’insussistenza in astratto di ogni azione tipica, sulla indicata premessa di principio si ha che il preteso arricchito, vittorioso in primo grado in esito al rigetto della domanda ex art. 2041 c.c., nel giudizio di appello può limitarsi a contestare l’indicato presupposto senza proporre a tal fine appello incidentale.

Il tema della sussidiarietà dell’azione di arricchimento ingiustificato restava per l’effetto devoluto al giudice di appello senza che sul punto fosse onere della parte appellata proporre appello incidentale.

5. Il tema introdotto dal primo motivo di ricorso che può essere in continuità scrutinato con il successivo, determina il Collegio all’accoglimento del ricorso in applicazione dei principi di seguito precisati che hanno già trovato espressione nelle pronunce di questa Corte di legittimità attraverso, prima tra le altre, la sentenza a sezioni unite n. 26657 del 2014.

6. Il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, al comma 4, stabilisce che: “Nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3 – e quindi l’impegno contabile o il riconoscimento della spesa con l’attestazione della copertura finanziaria – il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni”.

La corretta esegesi dell’indicata disposizione vale a fondare l’impegno dei funzionari o amministratori, là dove costoro abbiano reso possibile la prestazione, alla mancanza dell’impegno in sede contabile senza che rilevino le sorti del contratto concluso dal terzo creditore con la P.A. che potrebbe essere finanche valido per forma e contenuto.

Ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, comma 4, la mancata osservanza dei controlli contabili (registrazione dell’impegno contabile e attestazione della copertura finanziaria o, nel caso di lavori di somma urgenza, regolarizzazione contabile nel termine di trenta giorni) per la parte di debito non riconoscibile. a posteriori e la condotta che ha reso possibile la prestazione sono infatti gli estremi di definizione della autonoma fattispecie a cui consegue la responsabilità della persona fisica, amministratore e funzionario dell’ente locale.

Segnatamente, il funzionario che abbia attivato un impegno di spesa per l’ente locale senza l’osservanza dei relativi controlli contabili e quindi al di fuori dello schema procedimentale previsto dalle norme cd. di evidenza pubblica, risponde – ai sensi dell’art. 191, comma 4, in cui è stato trasfuso del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, comma 4, conv., con modif., dalla L. n. 144 del 1989 – degli effetti di tale attività di spesa verso il terzo contraente il quale è, pertanto, tenuto ad agire direttamente e personalmente nei suoi confronti e non già in danno dell’ente, essendo preclusa anche l’azione di ingiustificato arricchimento per carenza del necessario requisito della sussidiarietà, che non ricorre quando sia esperibile altra azione non solo contro l’arricchito, ma anche verso persona diversa.

Con l’ulteriore puntualizzazione, come ancora chiarito da questa Corte di cassazione (SU 26657 cit. p. 14) che resta altresì preclusa una responsabilità dell’ente ai sensi dell’art. 28 Cost.; tale norma presuppone, per vero, che l’attività del funzionario sia comunque riferibile all’ente medesimo là dove invece la violazione delle regole contabili determina una “frattura” ope legis del rapporto di immedesimazione organica con la P.A., escludendo la riferibilità a quest’ultima delle iniziative adottate al di fuori delle schema procedimentale previsto.

Tanto è destinato a valere allo scopo di garantire il rispetto dei principi di legalità, correttezza e trasparenza della gestione dell’ente territoriale e di assicurare che la volontà contrattuale venga espressa dagli organi istituzionalmente competenti nella finalità di contenere la spesa pubblica e prevenire il formarsi del disavanzo finanziario degli enti, correlando ogni obbligazione assunta con l’impegno contabile sul competente capitolo di bilancio (Cass. SU 26657/2014; in termini sul principio: Cass. 21/09/2015 n. 18567; Cass. 04/01/2017 n. 80; Cass. 11/06/2018 n. 15145).

L’azione proposta ai sensi dell’art. 191, comma 4, in cui è stato trasfuso il D.L. n. 66 del 1989, art. 23, comma 4, conv., con modif., dalla L. n. 144 del 1989, configura una obbligazione ex lege, diversa e specifica quanto a causa petendi rispetto a quella ex contractu o ex delictu, che esclude l’azione sussidiaria di cui all’art. 2041 c.c..

L’indicata fattispecie è integrata dalla sola inosservanza delle norme contabili sull’impegno di spesa degli enti locali senza che assumano rilievo le autonome vicende del sotteso contratto.

7. Accolti i primi due motivi di ricorso, nel senso sopra indicato, ed assorbito il terzo, va cassata la sentenza impugnata ed il giudizio rinviato alla Corte di appello di Palermo, altra sezione, perchè si attenga agli indicati principi provvedendo a scrutinare, nel merito, il presupposto della sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa, ex artt. 2041 e 2042 c.c., ed a liquidare le spese per la fase di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, nei senso di cui in motivazione, ed assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla Corte di appello di Palermo, altra sezione, anche per la liquidazione delle spese della fase di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2020

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