Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11653 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/05/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 04/05/2021), n.11653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24615-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

PARMALAT SPA, in persona del Presidente e Amministratore Delegato pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAROCCO N. 18,

presso lo STUDIO TRIVOLI & ASSOCIATI, rappresentata e difesa

dagli avvocati TRIVOLI ALESSANDRO, PASQUALI MARCO;

– controricorrente –

contro

PARMALAT FINANZIARIA SPA IN AS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 937/1/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELL’EMILIA ROMAGNA, depositata il 14/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

FATTO e DIRITTO

Considerato che:

Agenzia delle Entrate ricorre, sulla base di un motivo, per la cassazione della sentenza n. 935/2019 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva accolto il ricorso proposto da Parmalat Finanziaria s.p.a. per l’annullamento dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro applicata ad una sentenza del nr 1968/2005 del Tribunale di Parma con cui era stato ammesso il credito di Euro 2.401.716,02 allo stato passivo della Parmalat Finanziaria s.p.a..

L’intimata si è costituita con controricorso.

Con l’unico motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè degli artt. 3 e 53 Cost..

Si osserva che l’atto giudiziario in questione riguarda una sentenza di cui la contribuente è stata parte sicchè la mancata allegazione della sentenza integrerebbe un mero vizio formale improduttivo di effetti invalidanti in quanto non avrebbe comportato alcuna lesione del diritto di difesa.

Il motivo non è fondato.

La Commissione tributaria regionale, partendo dalla premessa in fatto non censurata e nemmeno censurabile in sede di legittimità che l’avviso di liquidazione impugnato indicava soltanto la data ed il numero della sentenza civile oggetto di registrazione, senza ovviamente allegarla, ha ritenuto illegittimo l’atto in quanto non adeguatamente motivato, non esplicitando esso in maniera completa le ragioni della pretesa fiscale.

L’Agenzia delle Entrate, nel criticare questa decisione, sostiene in contrario che nel caso concreto la sentenza, quale atto richiamato dall’avviso, era conosciuta comunque conoscibile dal contribuente, atteso che egli era stato parte del giudizio nel quale essa era stata emanata.

L’argomentazione svolta dall’Ufficio ricorrente non è persuasiva.

Giova al riguardo precisare che il punto controverso concerne in questo caso il tema della conoscibilità dell’atto, rimanendo escluso che nella fattispecie possa invocarsi la conoscenza effettiva, non avendo l’Agenzia delle Entrate mai dedotto di avere fornito la prova che la sentenza in questione era stata notificata alla parte o quanto meno che, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, alla stessa era stata data comunicazione del suo dispositivo, fatti che, se ed in quanto invocati dell’attuale ricorrente, avrebbero dovuti essere dalla stessa dimostrati.

Residua pertanto l’assunto fondato sulla conoscibilità dell’atto, desunto dalla mera circostanza che il contribuente era stato parte del giudizio civile conclusosi con la sentenza oggetto di registrazione.

Sul punto va però osservato che la questione sollevata dal ricorso,che peraltro implica anche valutazioni di merito se, vale a dire, dal mero fatto di essere parte di un processo possa inferirsi con certezza la conoscenza o la conoscibilità della sentenza in esso pronunciata, appare mal posta.

La lettura della sentenza impugnata spinge infatti a correggere tale impostazione, atteso che il tema dedotto in giudizio ed affrontato dal giudice di merito appare spostato sul quesito se il mero riferimento nell’avviso al numero ed alla data di una sentenza su cui esso si basa, senza nessun’altra precisazione, sia o meno sufficiente a ritenere l’atto richiamato conosciuto o comunque conoscibile dall’interessato, per il solo fatto che egli era stato parte nel relativo processo.

Partendo dalla considerazione, invero non contestata dal ricorso e comunque di immediata evidenza, che una così scarna indicazione dell’atto cui si riferiva l’avviso imponeva al suo destinatario un’attività di ricerca del documento medesimo, la Commissione regionale ha risposto negativamente a tale questione, affermando che gli elementi sopraindicati sono insufficienti a rendere legittimo l’atto impugnato, in quanto comprimono il diritto del contribuente ad esercitare le azioni di tutela, obbligandolo a spendere tempo e denaro per l’acquisizione dell’atto di riferimento (la sentenza civile).

Questa valutazione si inserisce nel solco di un indirizzo giurisprudenziale seguito da questa Corte, secondo cui, in tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione emesso D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 54, comma 5, che indichi soltanto la data e il numero della sentenza civile oggetto della registrazione, senza allegarla, è illegittimo, per difetto di motivazione, in quanto l’obbligo di allegazione, previsto dalla L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 7, comma 1, mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove, in mancanza, egli sarebbe costretto ad una attività di ricerca, che comprimerebbe illegittimamente il termine a sua disposizione per impugnare (così: Cass., Sez. 5, 10 agosto 2010, n. 18532; Cass., Sez. 6-5, 17 giugno 2015, n. 12468; Cass., Sez. 6-5, 7 dicembre 2017, n. 29402; Cass., Sez. 6-5, 16 novembre 2018, n. 29491; Cass., Sez. 6-5, 9 dicembre 2020, n. 28095; Cass., Sez. 6-5, 16 dicembre 2020, nn. 28800, 28801, 28802, 28803, 28804).

Sulla stessa tematica però si registra un altro orientamento che, con riguardo alla questione dell’allegazione, si è espresso nel senso che l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento, o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notifica (così: Cass., Sez. 5, 25 luglio 2012, n. 13110; Cass., Sez. 5, 4 luglio 2014, n. 15327; Cass., Sez. 5, 20 febbraio 2019, n. 4176; Cass., Sez. 5, 19 novembre 2019, n. 29968).

In particolare, si è precisato che la L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 7, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisca esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, al fine di consentirgli il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove in mancanza egli sarebbe costretto ad un’attività di ricerca che comprimerebbe illegittimamente il suo diritto di difesa (così: Cass., Sez. 5, 4 luglio 2014, n.

15327; Cass., Sez. 5, 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., Sez. 11 maggio

2017, n. 11623; Cass., Sez. 5, 24 novembre 2017, n. 28060; Cass., Sez. 5, 19 novembre 2019, n. 29968; Cass., Sez. 5, 10 luglio 2020, n. 14723; nr 21713 e nr 13402 /2020).

Quest’ultima posizione è stata puntualmente ribadita anche in relazione al tema specifico dell’onere di allegazione della sentenza civile all’avviso di liquidazione per l’imposta di registro. Invero, si è detto che, trattandosi di atto da presumere conosciuto o comunque certamente conoscibile dal contribuente, il riferimento che ad essa è fatto nell’avviso di accertamento soddisfa certamente l’onere motivazionale, senza alcun ulteriore obbligo di allegazione all’atto impositivo.

Si è altresì aggiunto che l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di comunicare, in allegato all’avviso di liquidazione, un atto già noto al contribuente integrerebbe un adempimento superfluo ed ultroneo, che, da un lato, determinerebbe un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all’esercizio della potestà impositiva e, dall’altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria e che, per quanto possa apparire paradossale, la mera allegazione della sentenza civile può essere talora insufficiente ad integrare il contenuto dell’avviso di liquidazione, come nel caso in cui l’elevato grado di complessità delle statuizioni giudiziali non assicuri un’agevole comprensione in ordine alle modalità di individuazione della base imponibile ed ai criteri di calcolo dell’imposta (così: Cass., Sez. 5, 8 ottobre 2020, n. 21713).

Da qui gli ulteriori corollari che, in ossequio ai canoni generali della collaborazione e della buona fede, l’amministrazione finanziaria deve considerarsi esonerata dall’obbligo di allegazione L. 27 luglio 2000, n. 212 ,ex art. 7, comma 1, con riguardo agli atti presupposti (negoziali, amministrativi o giudiziali) di cui il contribuente abbia avuto conoscenza, sia stato destinatario ovvero sia stato parte (anche a mezzo di rappresentante legale o volontario), trattandosi di incombenza ridondante rispetto alla finalità di garantire un’informazione adeguata e commisurata ad un efficace esercizio del diritto di difesa in ordine all’incidenza degli atti impositivi, e che l’omissione o l’assolvimento dell’allegazione, rispettivamente, nulla toglie e nulla aggiunge alle cognizioni del contribuente sui presupposti fattuali e sulle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione finanziaria (così: Cass., Sez. 5, 8 ottobre 2020, n. 21713; 239/2021.).

In tale direzione, si è anche affermato che tale interpretazione è in sintonia con il testo del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 2-bis, seconda parte, (quale introdotto dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 4, comma 1), secondo il quale, in relazione al contenuto dell’avviso di rettifica e di liquidazione per l’imposta di registro su atti aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale” (così: Cass., Sez. 5, 8 ottobre 2020, n. 21713).

Più recentemente questa Corte, con ordinanza n. 4165 del 2021, pur ritenendo che il mero riferimento al numero ed alla data della sentenza civile nell’avviso di liquidazione rappresentano indicazioni sufficienti, per assicurare al contribuente l’agevole intelligibilità dei valori imponibili, delle aliquote applicate e dell’imposta liquidata, ha comunque ritenuto opportuno far richiamo nel corpo della motivazione all’indirizzo espresso nelle decisioni 2020 nr 21713 e 2020 nr 13402 e quindi alla rilevata necessità di operare una complessiva valutazione di sufficienza circa l’indicazione degli elementi essenziali (base imponibile e aliquota), anche matematici, sui quali si fonda la liquidazione dell’imposta.

I due indirizzi, esaminati complessivamente, inducono a ritenere che l’avviso di liquidazione (sia in relazione al suo contenuto, che in relazione ai suoi allegati) deve essere autosufficiente sul piano dell’informazione fornita al contribuente circa la causa e l’oggetto della pretesa impositiva.

L’allegazione della copia all’avviso di liquidazione o la riproduzione del contenuto nell’avviso di liquidazione assumono una valenza paritaria ed equipollente rispetto alla funzione di assicurare al contribuente la conoscenza della sentenza civile, le cui enunciazioni o statuizioni siano assoggettate ad imposta di registro. La valutazione del giudice tributario deve essere rapportata al corretto assolvimento dell’onere informativo, verificando nel caso concreto che l’avviso di liquidazione, attraverso il corredo esterno di documenti allegati ovvero attraverso la riproduzione interna di documenti richiamati, garantisca in ogni caso al contribuente l’agevole intelligibilità dei valori imponibili, delle aliquote applicate e dell’imposta liquidata in relazione alla registrazione di un titolo giudiziale, senza alcuna differenza per la rilevanza fiscale delle enunciazioni (preliminari) e/o delle statuizioni (finali) e più in generale mantenga integro il diritto di opposizione del contribuente stesso da esercitarsi nel termine decadenziale di 60 giorni.

Occorre considerare infatti che le situazioni che si possono profilare nel concreto possono essere molteplici.

Può infatti accadere, a titolo meramente esemplificativo, che la parte destinataria dell’avviso di liquidazione sia subentrata in qualità di erede o abbia una pluralità di contenziosi sicchè la stessa non è sempre in grado di capire quale sia la decisione cui si riferisce l’avviso di liquidazione se in esso non è riportato nei tratti essenziali il contenuto della decisione

In questo quadro questa Corte ritiene pertanto e pienamente conforme a legge ed immune da vizi la pronunzia qui oggetto di esame, proprio in considerazione degli obbiettivi e delle finalità sottese all’avviso di liquidazione, avendo la CTR correttamente ritenuto che, esclusa la conoscenza effettiva della sentenza da sottoporre a registrazione, gli scarni dati contenuti nell’avviso di liquidazione (data e numero di registrazione della sentenza civile) non fossero sufficienti a salvaguardare quelle facoltà del contribuente cui sopra si è fatto riferimento.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri normativi vigenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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