Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11648 del 16/06/2020

Cassazione civile sez. I, 16/06/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 16/06/2020), n.11648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27401/2018 proposto da:

I.U.T., elettivamente domiciliato in Torino, via Groscavallo

n. 3, presso lo studio dell’avv. A. Praticò, che lo rappresenta e

difende per procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), rappresentato e difeso

dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 327/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 15/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2020 da Dott. SOLAINI LUCA;

udito l’Avvocato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Torino ha respinto il gravame proposto da I.U.T., cittadino del (OMISSIS), avverso l’ordinanza del tribunale di Torino che confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito di essere stato costretto a scappare dal Bangladesh alla volta della Libia, ancora minorenne, per timore di essere perseguitato in quanto aderente al partito di opposizione (OMISSIS) e (OMISSIS). Il ricorrente ha, anche, riferito di aver lasciato il paese “anche perchè la situazione economica non era buona” e di aver paura di rientrare nel suo paese di origine perchè impossibilitato a restituire il debito contratto per espatriare. Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’Appello: (i) sotto un primo profilo, per violazione di legge, in particolare, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 3 e art. 5, lett. a), c) ed e) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, perchè la Corte d’Appello non aveva applicato correttamente le norme sull’onere della prova attenuato e sulla valutazione di credibilità del richiedente e per difetto di motivazione ed omesso esame di fatto decisivo; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 8 della Cedu, ed omesso esame di fatto decisivo, perchè erroneamente, la Corte d’Appello ha ritenuto che ai fini della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non abbia rilevanza alcuna, la giovanissima età e la raggiunta integrazione dello straniero in Italia, rispetto alla situazione del paese d’origine.

Il primo profilo di censura è inammissibile, in quanto la Corte del merito ha accertato, richiamando diffusamente e condividendo la decisione del Tribunale, che la narrazione del richiedente era priva di attendibilità, sulla base degli specifici elementi emergenti dalla narrazione, mentre il ricorrente ha proposto una doglianza basata sul vizio di violazione dei parametri normativi di “genuinità soggettiva”, nella specie, insussistente, avendo il giudice del merito rispettato il paradigma valutativo, di cui alle norme in rubrica. Inoltre, i giudici d’appello si sono comunque, avvalsi delle necessarie fonti informative, per l’analisi della situazione generale del paese (v. p. 7 della sentenza impugnata).

Inoltre, è insussistente qualunque obbligo di audizione del richiedente, in particolare, in sede di appello, come ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte: “Nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza”(Cass. n. 3003/18; v. anche 24544/11).

Il secondo motivo è infondato, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dalla Corte d’appello che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione, nè la giovane età ai momento dell’ingresso in Italia, e lo svolgimento di attività lavorativa valgono ad integrare i parametri dell’eccezionalità e della meritevolezza richiesti dalla legge, per la concessione di tale forma di protezione.

La mancata predisposizione di difese scritte da parte dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto,

da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo

unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2020

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