Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11646 del 16/06/2020

Cassazione civile sez. I, 16/06/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 16/06/2020), n.11646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3610/2015 proposto da:

S.G., in proprio, elettivamente domiciliato in Roma,

via Panama, n. 58, presso lo studio dell’avvocato Molino Claudia,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Russo Roberto,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Latina, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, piazza dell’Orologio, n. 7, presso lo studio

dell’avvocato Pontecorvi Paolo, rappresentato e difeso dall’avvocato

Di Leginio Francesco, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7136/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/12/2019 dal Cons. Dott. DE MARZO GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 20 novembre 2014 la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, che aveva rigettato nel merito la domanda, ha dichiarato inammissibile l’azione di arricchimento ingiustificato proposta da S.G. nei confronti del Comune di Latina, in relazione ad attività di consulenza legale rese in mancanza di contratto scritto con l’ente.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tutte le ipotesi in cui manchi una valida ed impegnativa obbligazione dell’ente locale, il rapporto sorge direttamente con il funzionario che abbia consentito la prestazione, ai sensi del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, conv. con L. n. 144 del 1989, con la conseguenza che viene a mancare il requisito della sussidiarietà dell’azione di arricchimento; b) che, d’altra parte, alla stregua delle indicazioni di Corte Cost. 446 del 1995, l’impoverito, oltre ad esercitare l’azione contrattuale nei confronti del funzionario, avrebbe potuto, anche contestualmente a quest’ultima, agire in surrogatoria, ai sensi dell’art. 2900 c.c., per far valere l’azione di arricchimento spettante a quest’ultimo nei confronti della p.a., per il caso di condanna a favore del terzo contraente; c) che, nella specie, tuttavia, l’azione di arricchimento ingiustificato non era stata proposta ai sensi dell’art. 2900 c.c..

3. Avverso tale sentenza lo S. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato motivo, al quale il Comune di Latina ha resistito con controricorso. Nell’interesse del ricorrente è stata depositata memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1, c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, erronea applicazione del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, comma 4, conv. con L. 24 aprile 1989, n. 144, anche in relazione al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 19, comma 4; nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

Rileva il ricorrente: a) che il D.L. n. 66 del 1989, art. 23, era finalizzato a penalizzare le ipotesi nelle quali fossero state effettuate spese in assenza della Delibera autorizzativa, assunta nelle forme previste dalla legge, e dell’impegno contabile, laddove, nel caso di specie, secondo quanto accertato dai Tribunale, le delibere autorizzative esistevano; b) che il giudice di primo grado aveva piuttosto ritenuto insussistente il riconoscimento della utilitas; c) che, nel caso di specie, a fronte delle delibere autorizzative della giunta municipale e dalla utilizzazione dei pareri resi da parte del consiglio comunale, il ricorrente non avrebbe potuto agire nei confronti del componenti dei due organi collegiali, la cui condotta era stata rispettosa del quadro normativo; d) che, in ogni caso, per effetto dell’introduzione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 194, l’azione diretta nei confronti del funzionario discende solo dall’insussistenza dei presupposti per la riconoscibilità del debito, per mancanza dei presupposti indicati dal legislatore; e) che la nuova disciplina, ove ritenuta non applicabile retroattivamente, assumerebbe comunque significato, ai fini dell’interpretazione della normativa del 1989.

La doglianza è fondata.

All’epoca dei fatti era già entrato in vigore il D.L. 2 marzo 1989, n. 66, convertito in legge, con modificazioni, con la L. 24 aprile 1989, n. 144, che ha introdotto, con l’art. 23, una rigorosa procedura, diretta a regolare l’impegno di spesa e il pagamento dei servizi da parte delle amministrazioni provinciali, dei comuni e delle comunità montane, con la previsione di una responsabilità personale e diretta del funzionario o dell’amministratore verso il privato fornitore per gli impegni assunti al di fuori o in violazione della procedura stessa.

In particolare, dell’art. 23, comma 3, dispone(va) che “a tutte le amministrazioni provinciali, ai comuni ed alle comunità montane l’effettuazione di qualsiasi spesa è consentita esclusivamente se sussistano la deliberazione autorizzata nelle forme previste dalla legge e divenuta o dichiarata esecutiva, nonchè l’impegno contabile registrato dai ragioniere o dal segretario, ove non esista il ragioniere, sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati (…)”.

Il successivo comma 4, istituendo una puntuale correlazione con il comma precedente, prevede(va) che, “nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura. Detto effetto si estende per le esecuzioni reiterate o continuative a tutti coloro che abbiano reso possibili le singole prestazioni”.

In tale contesto, la conclusione della Corte territoriale, quanto alla esperibilità dell’azione diretta nei confronti di chi avesse consentito l’utilizzazione della prestazione del ricorrente, avrebbe dovuto essere preceduta dall’esame del presupposto, al quale il citato comma 4 correla tale conseguenza, ossia la violazione dell’obbligo di cui al precedente comma 3.

Tale verifica, tenuto conto che il giudice di primo grado aveva positivamente valutato l’esistenza della Delibera con l’impegno di spesa, avrebbe richiesto un confronto con tale profilo che, invece, è completamente assente.

Sebbene il ricorrente al riguardo lamenti nella rubrica l’omesso esame di un fatto decisivo, con riguardo a tale profilo, può senz’altro la Corte, sul punto, prendere atto della sostanziale assenza della motivazione. Infatti, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare l a pronuncia (v., ad es., Cass. 6 ottobre 2017, n. 23381).

Ciò posto, in tema di valutazione delle prove ed in particolare di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass. 20 maggio 2019, n. 14762).

2. La sentenza impugnata va, in conseguenza, cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2020

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