Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11645 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/05/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 04/05/2021), n.11645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28882/2015 proposto da:

U.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO

PRESTINARI n. 13, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PALLINI,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BUSTO ARSIZIO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 18,

presso lo studio dell’avvocato MAURO MONTINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FRANCO CARINCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 404/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/06/2015 R.G.N. 70/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2020 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Dott. SANLORENZO Rita,

ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte d’Appello di Milano, adita da U.G., ha riformato solo in minima parte la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio che aveva rigettato il ricorso, proposto dall’appellante e da altri litisconsorti, volto ad ottenere, in via principale, l’accertamento del diritto a trattenere le somme che il Comune di Busto Arsizio aveva liquidato a titolo di retribuzione di posizione e di risultato negli anni compresi fra il 1996 ed il 2004, somme delle quali l’ente locale pretendeva la restituzione sull’assunto che le stesse fossero state corrisposte in violazione di quanto previsto dalla contrattazione collettiva di comparto;

1.1. in via subordinata i ricorrenti, oltre ad eccepire la prescrizione dell’azione di recupero, avevano proposto domanda di risarcimento del danno, addebitando all’amministrazione comunale di non avere adempiuto gli obblighi previsti dai contratti collettivi, ed avevano quantificato il pregiudizio subito in misura pari agli importi del trattamento accessorio ricevuto nel periodo sopra indicato, chiedendo anche la compensazione del risarcimento con le somme che, a detta del Comune, dovevano essere restituite perchè indebitamente percepite;

1.2. in ulteriore subordine era stato chiesto l’indennizzo ex art. 2041 c.c., sul rilievo che l’ente locale si era avvalso delle prestazioni rese dai dirigenti pretendendo, poi, di non corrispondere la retribuzione di posizione e di risultato;

2. la Corte territoriale, nel riassumere i termini della controversia, ha evidenziato che, all’esito delle violazioni riscontrate nel novembre 2004 dall’Ispettorato Generale di Finanza della Ragioneria dello Stato, il Comune con la Delib. n. 599 del 2008, aveva annullato le precedenti determinazioni relative alla quantificazione dei trattamenti economici spettanti ai dirigenti comunali a titolo di retribuzione di posizione e di risultato, erogati in assenza della corretta costituzione del fondo, della contrattazione integrativa decentrata, del principio di onnicomprensività e della necessaria positiva valutazione da parte del Nucleo di valutazione;

3. il giudice d’appello, anche attraverso il richiamo a precedenti decisioni rese in casi analoghi, ha evidenziato che le violazioni della disciplina, legale e contrattuale, nelle quali il Comune era incorso, non potevano essere ritenute, come sostenuto dall’appellante, solo procedurali e non sostanziali, perchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 24,40 e 45, nella parte in cui individuano nella contrattazione collettiva decentrata l’unica fonte legittimata a definire i trattamenti economici secondo le procedure indicate dal contratto collettivo rispondono a fondamentali esigenze di controllo della spesa, di tenuta finanziaria degli enti e di equità retributiva fra lavoratori;

4. ha ribadito che il trattamento accessorio era stato erogato in assenza delle condizioni richieste dalla contrattazione collettiva nazionale in quanto l’ente locale non aveva istituito il Fondo nè aveva attivato le procedure di valutazione dei dirigenti;

5. all’ U., inoltre, era stata attribuita una retribuzione di posizione che superava il tetto massimo previsto dall’art. 27, comma 2, del CCNL del 1999 e che non poteva essere giustificata dall’asserita assegnazione ad una struttura organizzativa complessa, composta da due distinti settori di grande rilevanza perchè, come accertato già in altro giudizio intercorso fra le stesse parti, nell’organizzazione del Comune non poteva essere ravvisata alcuna struttura del genere;

6. la Corte territoriale ha escluso anche la fondatezza dell’azione risarcitoria perchè l’appellante non poteva pretendere la retribuzione di posizione e risultato facendo leva su delibere comunali illegittime, succedutesi nel periodo 1996/2004, e, pertanto, non poteva essere ravvisato un danno ingiusto, tanto più che l’inadempimento non riguardava il rapporto di lavoro del dipendente, al quale era stato corrisposto più del dovuto;

7. in via conclusiva la Corte ha limitato la riforma al solo capo della sentenza relativo alla quantificazione delle somme da restituire, in quanto la ripetizione poteva essere pretesa non per l’intero importo bensì al netto degli oneri fiscali e previdenziali;

8. per la cassazione della sentenza U.G. ha proposto ricorso affidato a sette motivi, illustrati da memoria, ai quali il Comune di Busto Arsizio ha opposto difese con tempestivo controricorso;

9. il Pubblico Ministero con atto depositato il 27 novembre 2020 ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, nonchè omesso esame di un fatto decisivo della controversia e sostiene che il mancato rispetto della disciplina dettata dal contratto collettivo integra una causa di nullità delle pattuizioni individuali solo nell’ipotesi in cui si risolva nel contrasto con norma imperativa di legge, contrasto che, quanto ai trattamenti retributivi del personale, è ravvisabile solo qualora gli stessi non siano rispettosi dei parametri di quantificazione previsti dalla contrattazione nazionale o comportino impegni di spesa complessivi non in linea con i vincoli di bilancio e di finanziamento;

1.1. ne trae quale conseguenza che solo le violazioni di carattere sostanziale rendono indebita l’erogazione, non quelle formali e procedurali, sicchè nella fattispecie nessuna rilevanza poteva essere attribuita alla mancata costituzione del fondo per il trattamento accessorio, la cui funzione è stata sostanzialmente assolta dalle delibere con le quali la Giunta Comunale ha approvato le retribuzioni di posizione e di risultato dei dirigenti, accertandone anche la capienza rispetto alle fonti di finanziamento individuate dal c.c.n.l.;

1.2. sostiene che l’errore commesso dai giudici di merito nell’interpretazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, ha determinato, quale conseguenza, l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini di causa, ravvisato nell’asserita compatibilità degli importi riconosciuti con i vincoli di spesa fissati dal c.c.n.l. di comparto;

2. la seconda censura addebita alla sentenza gravata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1421 c.c., perchè dal mancato rispetto delle disposizioni di legge e di contratto poteva, al più, derivare una nullità non assoluta bensì relativa, non opponibile da parte dell’unico soggetto tenuto a rispettare i requisiti procedimentali;

3. la terza critica denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1219 e 1453 c.c., degli artt. 38 e 39 del CCNL del 10 aprile 1996 e dell’art. 31 del CCNL del 23 dicembre 1999 della dirigenza del comparto regioni-enti locali” e censura il capo della sentenza che ha rigettato la domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno cagionato al dirigente dal mancato rispetto, addebitabile al Comune, degli obblighi procedimentali imposti dalla contrattazione collettiva;

3.1. il ricorrente sostiene, in sintesi, che l’asserita nullità è dipesa da un inadempimento del quale si è reso responsabile l’ente territoriale, unico soggetto legittimato a costituire il fondo e ad attivare il nucleo di valutazione, sicchè le somme attribuite dovevano essere riconosciute quanto meno a titolo risarcitorio;

3.2. evidenzia che in virtù dell’art. 31 del CCNL del 1999 il Comune era obbligato, quantomeno a partire dal 23 maggio 2000, ad erogare la retribuzione di posizione e di risultato ed infatti il c.c.n.l. in parola non conteneva più la clausola “sussidiaria” dettata dall’art. 39 del CCNL 1996, che rinviava ai criteri di cui al D.P.R. n. 333 del 1990, art. 38;

3.3. precisa che il dirigente, che abbia operato con l’aspettativa di vedersi attribuita la retribuzione accessoria in caso di raggiungimento degli obiettivi assegnati, non può essere penalizzato dall’inerzia del Comune che ometta di avviare la contrattazione decentrata integrativa e di istituire i servizi di controllo interno;

4. con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del CCNL 10 aprile 1996 per la dirigenza del comparto regioni ed enti locali, del D.Lgs. n. 286 del 1999, art. 5, R.D. n. 262 del 1942, art. 11, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia e si sostiene che i servizi di controllo interno o i nuclei di valutazione, ai quali rinvia il c.c.n.l. del 1996 non possono essere quelli disciplinati dal D.Lgs. n. 286 del 1999 e, pertanto, il requisito poteva essere soddisfatto da un qualsivoglia sistema di controllo annuale della prestazione, sistema realizzato attraverso l’attribuzione al Direttore generale del Comune delle funzioni di organo di controllo interno disposta con la Delib. Sindacale n. 412 del 1998;

4.1. il ricorrente aggiunge che successivamente la valutazione è stata effettuata dal Nucleo che ha valutato la congruità degli obiettivi e il raggiungimento degli stessi;

5. la violazione dell’art. 37 del CCNL 10 aprile 1996 per la dirigenza del comparto regioni-enti locali è denunciata con la quinta censura, con la quale si sostiene che la costituzione del fondo non costituisce una condizione imprescindibile per la corresponsione del trattamento accessorio, che può essere erogato a condizione che non venga superato il tetto di spesa previsto dalla contrattazione nazionale;

6. il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del CCNL 23 dicembre 1999 per la dirigenza del comparto regioni e autonomie locali, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e 45 e degli artt. 1418 e 1421 c.c.;

6.1. sostiene il ricorrente che la contrattazione decentrata è richiesta nei casi in cui l’ente voglia incrementare le risorse economiche da destinare al finanziamento della retribuzione di posizione di risultato, non già qualora l’incremento venga attribuito al singolo dirigente senza superare la copertura economica complessiva;

6.2. aggiunge: che il contratto decentrato è una fonte di disciplina solo eventuale; che la contrattazione era stata svolta direttamente dal Sindaco e dall’Assessore del personale con tutti i dirigenti; che l’errata composizione delle delegazioni non può dare luogo a nullità assoluta e costituisce, semmai, una nullità relativa o un inadempimento contrattuale;

7. infine con il settimo motivo è denunciata la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 27 del CCNL 23 dicembre 1999 perchè la Corte d’appello non poteva limitarsi a richiamare, quanto alla legittimità della Delib. n. 660 del 2003, la sentenza della stessa Corte n. 320/2010, non passata in giudicato;

7.1. la questione inerente la complessità della struttura organizzativa affidata all’ U. andava, pertanto, esaminata e risolta in termini favorevoli per l’appellante al quale erano stati affidati due settori di grande rilevanza nella gestione dei servizi del Comune;

8. il ricorso è inammissibile quanto alle censure che si incentrano sul contenuto di atti deliberativi, rispetto ai quali non è assolto l’onere di specifica indicazione, nei termini precisati da Cass. S.U. n. 34469/2019;

8.1. parimenti sono inammissibili le denunce del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il giudizio di appello è stato introdotto con ricorso depositato l’11 gennaio 2013 e, quindi, in ragione dell’applicabilità alla fattispecie del divieto di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente per evitare l’inammissibilità della censura avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. fra le tante Cass. 20994/2019; Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5528/2014);

9. per il resto, salve le ragioni di inammissibilità del sesto e del settimo motivo di cui si dirà in prosieguo, i motivi sono infondati;

nell’impiego pubblico contrattualizzato, ove difettino specifiche disposizioni derogatorie della regola generale, deve essere escluso in radice il potere unilaterale del datore di lavoro di discostarsi, nella disciplina del singolo rapporto di impiego, dall’assetto definito in sede di contrattazione collettiva, perchè il superamento dello statuto pubblicistico è stato realizzato dal legislatore ordinario attraverso un “equilibrato dosaggio di fonti regolatrici” (Corte Cost. n. 313/1996 e Corte Cost. n. 309/1997) che si incentra sul ruolo centrale della contrattazione collettiva, a sua volta oggetto di una specifica disciplina finalizzata a garantire l’attuazione dei principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost., di modo che “l’osservanza, da parte delle amministrazioni, degli obblighi assunti con i contratti collettivi rappresenta il conseguente e non irragionevole esito dell’intera procedura di contrattazione, la quale prende le mosse dalla determinazione dei comparti e si conclude con l’autorizzazione governativa alla sottoscrizione delle ipotesi di accordo, che interessa a sua volta molteplici profili, non solo di controllo ma anche di verifica della compatibilità finanziaria” (Corte Cost. n. 309/1997);

9.1. il ruolo centrale della contrattazione collettiva è stato da tempo valorizzato dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali sullo stesso hanno fondato il principio secondo cui l’atto di deroga, anche in melius, alle disposizioni del contratto collettivo è “affetto da nullità, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perchè viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21-septies (l’ordinamento esclude che l’amministrazione possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva)” (Cass. S.U. n. 21744/2009);

9.2. si è quindi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui l’adozione da parte della P.A. di un atto negoziale di diritto privato di gestione del rapporto, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico, non è sufficiente, di per sè, a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, giacchè la misura economica deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l’atto sia conforme alla volontà delle parti collettive (cfr. fra le tante Cass. n. 17226/2020; Cass. n. 21166/2019; Cass. n. 15902/2018; Cass. n. 25018/2017; Cass. 16088/2016 e la giurisprudenza ivi richiamata);

9.3. si è anche evidenziato che il datore di lavoro pubblico, a differenza di quello privato, è tenuto a ripetere le somme corrisposte sine titulo e che, per la particolare natura del rapporto nell’impiego pubblico fra contratto collettivo ed individuale, la restituzione non è subordinata alla previa dimostrazione di un errore riconoscibile non imputabile al datore medesimo;

9.4. quest’ultimo, pur non potendo esercitare poteri autoritativi, è tenuto ad assicurare il rispetto della legge, e quindi del contratto collettivo che dalla stessa mutua la sua particolare efficacia generalizzata, sicchè non può dare esecuzione ad atti nulli e deve sottrarsi, anche unilateralmente, all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell’atto illegittimo;

9.5. si tratta di principi che valgono anche per il rapporto dirigenziale in quanto già del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 24, poi trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24, stabiliva che “la retribuzione del personale con qualifica di dirigente è determinata dai contratti collettivi per le aree dirigenziali, prevedendo che il trattamento economico accessorio sia correlato alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità” ed escludeva, pertanto, che il trattamento accessorio potesse essere liberamente quantificato al momento della sottoscrizione del contratto individuale;

10. la sentenza impugnata non si è discostata dai principi di diritto sopra riassunti e, correttamente, dopo avere accertato, attraverso il richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado, alla relazione ispettiva ed alla deliberazione della Giunta Comunale, l’avvenuta erogazione del trattamento accessorio in palese violazione della disciplina dettata dal contratto collettivo (mancata costituzione del fondo; omessa attivazione del Nucleo di Valutazione; violazione delle competenze attribuite alla contrattazione integrativa, mai stipulata per l’assenza di rappresentanza sindacale del personale con qualifica dirigenziale; superamento dei limiti massimi previsti dal CCNL) ha ritenuto legittima l’azione di recupero avviata dall’ente locale;

11. i primi due motivi di ricorso, con i quali si censura il capo della sentenza impugnata che ha ravvisato la nullità degli atti di gestione adottati in violazione della disciplina dettata dal CCNL, sono entrambi infondati, perchè del tutto priva di fondamento è la tesi secondo cui la nullità potrebbe essere dichiarata solo in caso di indisponibilità delle risorse, da escludere nella fattispecie in quanto le stesse erano state previste in bilancio e stanziate nel rispetto dei limiti fissati dalla contrattazione nazionale;

11.1. per respingere le censure formulate dal ricorrente è sufficiente richiamare il principio affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui nell’impiego pubblico contrattualizzato, anche all’esito del diverso equilibrio fra le fonti disegnato dal D.Lgs. n. 150 del 2009, che ha ristretto gli spazi di intervento della contrattazione collettiva, quest’ultima “coinvolge una complessa trama di valori costituzionali” e non è solo strumento per realizzare una razionale distribuzione delle risorse, garantendo il contenimento della spesa pubblica, giacchè al contratto collettivo è assegnata la funzione di contemperare in maniera efficace e trasparente gli interessi contrapposti delle parti e di concorrere a dare concreta attuazione al principio di proporzionalità della retribuzione, “ponendosi, per un verso, come strumento di garanzia della parità di trattamento dei lavoratori (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2) e, per altro verso, come fattore propulsivo della produttività e del merito (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 3)” (Corte Cost. n. 178/2015);

11.2. non è, pertanto, predicabile la tesi secondo cui l’atto dispositivo sarebbe affetto da nullità solo se in contrasto con i vincoli finanziari, perchè, al contrario, la contrattazione collettiva è strumento per il perseguimento di una pluralità di obiettivi, tutti di rilievo costituzionale (efficienza, trasparenza, imparzialità degli enti, proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione, parità di trattamento e valorizzazione del merito), alla cui realizzazione concorre l’intera disciplina dettata dalle disposizioni contrattuali, rispetto alle quali la violazione rileva, ed è causa di nullità, sia se inerente i requisiti per così dire sostanziali richiesti ai fini del riconoscimento del trattamento retributivo, sia se riferibile alle procedure ritenute necessarie dalle parti collettive per l’accertamento dei requisiti in questione;

11.3. dalle considerazioni sopra esposte deriva altresì l’infondatezza del secondo motivo, giacchè la nullità della quale qui si discute discende dalla necessità di tutelare interessi di carattere generale e di rilievo costituzionale, e, pertanto, la legittimazione a far valere il vizio non può essere limitata ad una parte del rapporto contrattuale, tanto più che non è nell’interesse del solo dipendente pubblico che la nullità stessa è comminata;

12. parimenti infondati sono il terzo ed il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione logico-giuridica;

occorre premettere che il CCNL per il quadriennio 1994/1997, sottoscritto il 10.4.1996, dopo aver disciplinato, all’art. 37 le modalità di costituzione del fondo della retribuzione di posizione e di risultato, all’art. 38, comma 3, prevedeva che le risorse potessero essere incrementate dagli enti non dissestati e non strutturalmente deficitari che avessero: attuato i principi di razionalizzazione di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993; ridefinito le strutture organizzative e le funzioni dirigenziali; rilevato i carichi di lavoro e rideterminato le piante organiche; istituito e attivato i servizi di controllo interno o i nuclei di valutazione;

12.1. il successivo art. 39 precisava, al comma 4, che la disciplina inerente la graduazione delle funzioni, finalizzata ad attribuire il trattamento accessorio in ragione della complessità della struttura e delle responsabilità assunte, si applicava solo agli enti che avessero realizzato le condizioni previste dal richiamato art. 38, comma 3, in difetto delle quali la retribuzione di posizione sarebbe stata pari all’importo dell’indennità di funzione di cui al D.P.R. n. 333 del 1990, art. 38, incrementato del 3%;

12.2. l’art. 43 dello stesso contratto stabiliva, poi, i criteri per l’attribuzione della retribuzione di risultato e richiamava espressamente, quanto alla valutazione degli obiettivi e dei livelli di prestazione, l’art. 23 del contratto secondo cui “le amministrazioni definiscono sistemi e meccanismi di valutazione dei risultati gestiti attraverso i nuclei di valutazione o organi di controllo interno da istituire ai sensi del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 20”;

12.3. a sua volta quest’ultima disposizione, nel testo vigente alla data di sottoscrizione del CCNL, prevedeva l’attivazione di servizi di controllo interno o nuclei di valutazione, da istituire con regolamento nelle amministrazioni diverse dallo Stato (comma 7), dotati di autonomia e di proprio personale (comma 3), ed a cui attribuire il compito di “verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità ed il buon andamento dell’azione amministrativa” (comma 2), sulla base di parametri di riferimento del controllo da determinare annualmente;

12.4. il CCNL 23.12.1999 per il quadriennio 1998/2001 ha modificato il richiamato art. 23, anche in ragione dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 286 del 1999, ed ha stabilito che “Gli enti, con gli atti previsti dai rispettivi ordinamenti autonomamente assunti in relazione anche a quanto previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1999, art. 1, commi 2 e 3, definiscono meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dai dirigenti, in relazione ai programmi e obiettivi da perseguire correlati alle risorse umane, finanziarie e strumentali effettivamente rese disponibili”;

12.5. a detta disposizione contrattuale si correla l’art. 29, comma 2, che espressamente subordina l’erogazione della retribuzione di risultato alla preventiva definizione degli obiettivi annuali nonchè alla “positiva verifica e certificazione dei risultati di gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le risultanze dei sistemi di valutazione di cui all’art. 23 del CCNL del 10.4.1996 come sostituito dall’art. 14”;

12.6. quanto alla retribuzione di posizione l’art. 31 ribadisce ai primi due commi, mediante il rinvio, all’art. 39, comma 5, del CCNL 10.4.1996 ed all’art. 4, comma 5, del CCNL 27.2.1997, che in assenza delle condizioni richiamate al punto 12, l’importo spettante è solo quello originariamente previsto dal D.P.R. n. 333 del 1990, ulteriormente incrementato in misura pari al 3,3% del relativo valore;

13. alla luce di detto quadro contrattuale, pertanto, non si può dubitare della fondatezza dell’azione di ripetizione avviata dal Comune di Busto Arsizio perchè, in difetto delle condizioni previste dalla contrattazione collettiva per la graduazione delle funzioni dirigenziali e per la valutazione dei risultati ottenuti dai dirigenti, a questi ultimi non potevano essere riconosciute le relative voci del trattamento accessorio, che andava limitato a quello previsto dall’art. 39, comma 5, del CCNL 10.4.1996, con gli incrementi stabiliti dai successivi CCNL 27.2.1997 e 23.12.1999;

13.1. il quarto motivo di ricorso è inammissibile nella parte in cui fa leva su documenti non trascritti in ricorso per sostenere che la valutazione dei dirigenti sarebbe stata validamente effettuata dal Direttore Generale, ed è infondato quanto ai presupposti giuridici della censura proposta, perchè in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 286 del 1999, l’istituzione del nucleo di valutazione era già imposta dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 20, al quale rinviava l’art. 23 del CCNL 1994/1997;

13.2. parimenti infondata è la terza critica con la quale si sostiene che la retribuzione di posizione doveva essere riconosciuta, in misura pari a quella di fatto attribuita, quanto meno dal 23 maggio 2000, perchè le parti collettive avevano previsto detta data quale termine finale per l’applicazione del regime transitorio;

13.3. si è già detto che dell’art. 31, commi 1 e 2 del CCNL 23.12.1999 stabiliscono un ulteriore incremento dell’indennità di funzione di cui al D.P.R. n. 333 del 1990, art. 38, richiamata dall’art. 39, comma 5, del CCNL 1994/1997 e, quindi, conferiscono ultrattività al regime transitorio, non smentita, bensì confermata, dello stesso art. 31, comma 3, secondo cui “Gli enti di cui ai commi 1 e 2, si impegnano ad assumere, secondo i rispettivi ordinamenti, tutte le iniziative necessarie perchè le condizioni indicate nell’art. 38, comma 3, del CCNL del 10.4.1996 siano realizzate integralmente entro il termine di sei mesi dalla data di stipulazione del presente CCNL”;

13.4. la disposizione in parola non fissa un termine per il necessario passaggio dall’uno all’altro sistema di quantificazione della retribuzione di posizione e pone a carico dell’ente, non l’obbligo di assicurare senz’altro la realizzazione entro il 23 maggio 2000 delle condizioni di cui all’art. 38, comma 3, del CCNL 1994/1997 (va rammentato che fra queste rientrava anche quella di essere ente non dissestato e non strutturalmente deficitario), ma solo quello di “assumere le iniziative necessarie”, sicchè sullo spirare del termine non si può fare leva per pretendere la conservazione della retribuzione di posizione nella misura illegittimamente liquidata, tanto più che, come accertato dai giudici di merito, nella fattispecie l’illegittimità discende non dalla sola insussistenza dei presupposti richiesti dal richiamato art. 38, bensì da una pluralità di violazioni della disciplina contrattuale, ignorata nella sua interezza;

13.5. non va dimenticato, infatti, che la Corte territoriale, all’esito dell’accertamento di fatto non censurabile in questa sede, ha evidenziato che l’ente, oltre a non avere istituito il Nucleo di Valutazione, non aveva neppure costituito il Fondo per la retribuzione di posizione e di risultato, che, come si desume già dall’incipit dell’art. 39 del CCNL 1994/1997, nonchè dall’analitica disciplina dettata dagli artt. 37 e 38 dello stesso CCNL, è condizione imprescindibile per l’erogazione del trattamento accessorio del personale dirigenziale;

14. il terzo motivo è infondato anche nella parte in cui sostiene che doveva essere accolta la domanda risarcitoria e, poichè il danno andava quantificato in misura pari alle somme erogate in difetto delle condizioni richieste dalla contrattazione collettiva, non poteva il Comune pretendere in restituzione alcunchè;

14.1. la censura non può essere accolta, sia perchè si fonda su un presupposto assolutamente indimostrato, ossia che in caso di rispetto delle procedure e delle condizioni richieste dai CCNL succedutisi nel tempo la retribuzione di posizione e di risultato sarebbe stata corrisposta negli importi illegittimamente attribuiti, sia perchè nella specie si è in presenza di accordi individuali stipulati con i dirigenti (pag. 40 del ricorso e pag. 27 del controricorso) sicchè si applicano le disposizioni generali dettate per le nullità negoziali dagli artt. 1338 e 1339 c.c., in forza delle quali, nei casi in cui la disciplina del rapporto venga ricondotta a quella prevista da norme inderogabili fissate dalla legge o dal contratto collettivo, una pretesa risarcitoria può essere fatta valere solo dalla parte che, senza colpa, abbia confidato sulla validità del negozio o della clausola;

14.2. l’art. 1338 c.c., applicabile a tutte le ipotesi di invalidità, anche parziale, e di inefficacia (Cass. n. 16149/2010), fissa i limiti entro i quali va tutelato il legittimo affidamento del contraente che non abbia dato causa alla nullità della pattuizione e questa Corte ha ritenuto, con orientamento ormai consolidato, che nessuna pretesa risarcitoria può essere avanzata qualora l’invalidità sia determinata dalla violazione di una norma imperativa o proibitiva di legge che, per presunzione assoluta, debba essere conosciuta dalla generalità dei cittadini (Cass. n. 10156/2016), a condizione che le circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità fossero conosciute o conoscibili dal soggetto “mediamente avveduto” (Cass. n. 9636/2015);

14.3. nella specie, pertanto, è sufficiente il richiamo a detto principio di diritto per escludere che la determinazione del trattamento accessorio in palese violazione delle disposizioni di legge e di contratto possa avere ingenerato un affidamento incolpevole del dirigente nella validità dell’accordo individualmente concluso;

15. il quinto motivo è parimenti infondato per le ragioni indicate al punto 13.5. sicchè, una volta rigettate le prime cinque censure, diviene inammissibile il sesto motivo inerente gli spazi di intervento della contrattazione decentrata, posto che i profili di illegittimità sin qui evidenziati sono sufficienti per escludere la fondatezza delle originarie domande proposte dal ricorrente e rigettate dai giudici di merito;

15.1. ciò in forza del principio secondo cui, qualora la sentenza impugnata si fondi su una pluralità di argomenti, ciascuno sufficiente a sorreggere la pronuncia di rigetto o di accoglimento della domanda, la ritenuta infondatezza delle censure mosse anche solo ad una delle ragioni impugnate fa venir meno l’interesse alla pronuncia sugli ulteriori motivi, la cui eventuale fondatezza non potrebbe in nessun caso determinare la cassazione della sentenza impugnata (cfr. fra le tante Cass. n. 15399/2018; Cass. n. 11493/2018);

16. infine inammissibile è il settimo motivo, formulato avverso il capo della decisione con il quale è stato escluso che il superamento del tetto massimo previsto dall’art. 27 del CCNL 23.12.1999 potesse essere giustificato dalla direzione di una struttura organizzativa complessa, composta da due settori di grande rilevanza;

16.1. la censura non coglie la ratio decidendi perchè il giudice d’appello, nel richiamare altro precedente della stessa Corte pronunciato fra le medesime parti, non ha affermato che si era formato giudicato esterno sulla natura dell’incarico attribuito all’appellante, sicchè il richiamo va inteso come mero rinvio per relationem alla motivazione del precedente, consentito ex art. 118 disp. att. c.p.c. (Cass. n. 17640/2016 e Cass. n. 2861/2019);

16.2. si aggiunga che questa Corte con ordinanza n. 24359/2017 ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza citata nella decisione qui impugnata ed ha ritenuto infondato anche il motivo con il quale era stata prospettata la violazione dell’art. 27 del CCNL 23.12.1999 in ragione della complessità della struttura diretta;

16.3. l’esistenza del giudicato esterno è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un elemento che può essere assimilato agli elementi normativi astratti, in quanto destinato a fissare la regola del caso concreto; il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (Cass. n. 16847/2018);

16.4. è stato, inoltre, precisato che qualora il giudicato si formi in pendenza del giudizio di legittimità ed in conseguenza della pronuncia della sentenza della stessa Corte di cassazione ” la cognizione del giudice di legittimità può avvenire anche mediante quell’attività di ricerca (relazioni, massime ufficiali e consultazione del CED) che costituisce corredo del collegio giudicante nell’adempimento della funzione nomofilattica di cui all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario e del dovere di prevenire contrasti tra giudicati” (Cass. n. 24740/2015 e negli stessi termini Cass. n. 18634/2017);

17. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo;

18. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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