Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11642 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/05/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 04/05/2021), n.11642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12574/2015 proposto da:

T.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

BERTOLONI 3, presso lo studio dell’avvocato PIETRO ILARDI,

rappresentata e difesa dagli avvocati ANGELICO ANTONIO VOLPE,

GIOVANNI VITTORINI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) AVEZZANO-SULMONA-L’AQUILA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI n. 1, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO CARLEO, rappresentata e difesa dall’avvocato

CLAUDIO VERINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 927/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 06/11/2014 R.G.N. 1089/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2020 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

1. Che la Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza n. 927 del 2014, ha rigettato l’appello proposto da T.T., nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) Avezzano – Sulmona L’Aquila, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di L’Aquila il 7 marzo 2013.

2. 11 Tribunale aveva rigettato la domanda diretta ad ottenere l’accertamento della illegittimità della esclusione della ricorrente dalla procedura di mobilità attivata dalla ASL n. (OMISSIS) di Avezzano – Sulmona L’Aquila, con Delib. 12 maggio 2011, per la copertura di 5 posti di dirigente medico di 1^ livello per la disciplina oncologica e, quindi, il riconoscimento del diritto ad essere positivamente valutata per la copertura di uno dei suddetti posti di dirigente medico vacanti (avendo la Commissione, preposta alla valutazione, giudicato positivamente una sola delle tre domande presentate), con condanna della ASL all’assunzione mediante passaggio diretto nel proprio organico, disciplina di oncologia.

3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice, prospettando un motivo di ricorso.

4. Resiste l’ASL con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che occorre premettere che la Corte d’Appello ha posto a fondamento della decisione le seguenti argomentazioni.

1.1. Il giudice di secondo grado ha richiamato la disciplina della mobilità volontaria contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, illustrandone il contenuto.

1.2. Quindi, ha affermato che l’espressione “fissazione di criteri di scelta”, a cui devono provvedere le Amministrazioni, va intesa come previa indicazione di criteri oggettivi e preferibilmente meccanici che consentano una valutazione il più possibile priva di discrezionalità, vertendosi in materia di rapporti di lavoro già costituiti con le garanzie di cui all’art. 97 Cost., ossia attraverso il pregresso superamento di un concorso pubblico già espletato.

1.3. Tuttavia, ha affermato il giudice di appello, anche se le procedure di mobilità non possono dare luogo ad un nuovo concorso o ad una procedura paraconcorsuale, resta pur sempre necessario ed immanente un momento valutativo, generalmente riservato ad una Commissione tecnica.

E’ necessario, infatti, sempre valutare la storia professionale dei candidati sulla base della documentazione dagli stessi prodotta.

Peraltro, nel caso in esame, assumevano particolare rilievo gli aspetti indicati dal Regolamento aziendale disciplinante l’istituto della mobilità, di cui alla Delib. 4 aprile 2011, n. 508, richiamato nell’avviso di mobilità di cui alla Delib. Direttore generale 12 maggio 2011, n. 741, oltre che i criteri indicati nello stesso avviso, con riferimento – per quanto di interesse nella fattispecie – alla sola disciplina di oncologia, che attengono al possesso di determinate caratteristiche professionali rispondenti alle effettive esigenze dell’Azienda, ed anche alla valutazione delle domande pervenute rimesse alla Commissione.

A quest’ultima era stato richiesto di “procedere all’esame delle domande in relazione alle caratteristiche proprie del posto da coprire ed alla professionalità dei candidati con riferimento a quanto stabilito dall’art. 4 del Regolamento aziendale”, che faceva espresso riferimento “alla professionalità dei candidati, con riferimento al curriculum complessivo posseduto, tenendo in prevalente considerazione la congruità della qualificazione e della esperienza professionale con le prestazioni da svolgere e gli obiettivi da perseguire, nonchè il grado di conoscenza delle norme di settore, delle tecniche e delle competenze richieste per il posto da ricoprire…”, peraltro prevedendo anche la possibilità per la Commissione “di non procedere alla copertura del posto attraverso l’istituto della mobilità, qualora dalle domande esaminate non si rinvenga alcun candidato con professionalità coerenti con il posto da coprire”.

Tale condizione si era verificata nel caso in esame.

1.4. Infine, ha affermato la Corte d’Appello che il parere della Commissione, attenendo alle valutazioni di merito, non poteva essere sindacato in sede giudiziaria, perchè la pronuncia costitutiva non si può ammettere di fronte ad attività discrezionale dell’Amministrazione.

2. Tanto premesso può passarsi ad esaminare il motivo di impugnazione dedotto dalla ricorrente, che censura la statuizione riportata sopra al punto 1.3.

Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta l’erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30 e degli artt. 1175 e 1375 c.c..

2.1. Con un primo profilo di censura, espone la ricorrente che in ragione della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, l’istituto della mobilità deve trovare applicazione secondo criteri oggettivi finalizzati ad assicurare la trasparenza delle scelte operate.

Gli stessi sono strumentali alla gestione della eventuale presenza di più domande di trasferimento, ma in un caso come quello di specie, in cui le domande erano inferiori ai posti, l’Amministrazione avrebbe dovuto solo verificare se il candidato era in possesso dei requisiti richiesti dalla legge per fruire della mobilità, e cioè identità della qualifica posseduta dal lavoratore rispetto a quella richiesta per la copertura del posto vacante, e consenso dell’Amministrazione di appartenenza.

La valutazione, quindi, deve riguardare la verifica del possesso dei suindicati requisiti e non l’idoneità del candidato al posto da ricoprire.

Nel ritenere che l’Amministrazione è tenuta ad effettuare una valutazione dell’idoneità dei candidati, utilizzando i criteri di scelta previamente indicati, anche nel caso in cui le domande sino inferiori ai posti, la Corte d’Appello avrebbe violato o falsamente interpretato l’art. 30 cit..

La ricorrente deduce, inoltre, che la valutazione del proprio profilo professionale operato dalla Commissione, che lo aveva ritenuto non rispondente ai requisiti dell’avviso e alla Delib. Direttore Generale 12 maggio 2011, n. 741, recante il Regolamento aziendale, non costituiva fedele applicazione dei criteri di scelta.

L’art. 4 del Regolamento aziendale statuiva che la Commissione doveva valutare – la professionalità dei candidati, con riferimento al curriculum complessivo posseduto, tenendo in prevalente considerazione la congruità della qualificazione e della esperienza professionale con le prestazioni da svolgere e gli obiettivi da perseguire, nonchè il grado di conoscenza delle norme di settore, delle tecniche e delle competenze richieste per il posto da ricoprire”.

Queste valutazioni, assume la lavoratrice, si sarebbero sottratte almeno in parte a censure se l’avviso di mobilità avesse fissato parametri tesi ad attribuire rilievo, secondo modalità obiettive e verificabili, alle varie caratteristiche professionali richieste. Invece, l’avviso si era limitato a individuare titoli e requisiti di cui gli aspiranti dovevano essere indefettibilmente dotati, e ad indicare alcuni elementi sulla cui base effettuare la comparazione (quali curriculum complessivo, grado di conoscenza delle norme di settore e delle tecniche e delle competenze richieste). Non erano, dunque, ravvisabili, elementi che, con modalità obiettive e verificabili, determinassero il peso che nella valutazione avrebbero dovuto avere le singole caratteristiche professionali.

Pertanto la valutazione negativa effettuata dalla Commissione risultava arbitraria e in contrasto con le previsioni del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30.

2.2. Con un secondo profilo di censura, la lavoratrice denuncia la lesione dei principi di correttezza e buona fede, che sono immanenti anche nel procedimento di selezione del personale ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30. Nella specie, l’esclusione dalla procedura era stata comminata in ragione di un generico giudizio di non positività del profilo professionale, senza alcun elemento atto ad esternarne le ragioni.

Ed infatti, le regole che l’Amministrazione si era data ai fini della valutazione dei singoli candidati, risultavano svincolate da qualsiasi criterio di coordinamento, che conferisse peso differenziato ad ogni singolo elemento, come già contestato con l’atto di appello, così violando i principi di correttezza e buona fede, nonchè di obiettività e trasparenza delle scelte effettuate.

Infine la ricorrente contesta il richiamo effettuato dalla Corte d’Appello alla giurisprudenza amministrativa.

3. Il motivo è inammissibile.

3.1. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30, comma 1, nel disciplinare la mobilità volontaria, nel testo vigente ratione temporis (testo precedente alle modifiche apportate dal D.L. 13 agosto 2001, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011) prevedeva al comma 1, per quanto qui rileva che “Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire”.

Al comma 2, stabiliva che contratti collettivi nazionali possono definire le procedure e i criteri generali per l’attuazione di quanto previsto dal comma 1. In ogni caso sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l’applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale”.

Dunque, il datore di lavoro pubblico doveva predisporre regole che, nell’osservanza di quanto previsto dal contratto collettivo, ponessero i dipendenti in condizioni di parità e non fossero manifestamente inadeguate in relazione alla selezione da operare.

3.2. Si può, inoltre, ricordare, come a tale disciplina dava attuazione la contrattazione collettiva.

Il contratto collettivo nazionale di lavoro 20 settembre 2001, integrativo del CCNL del personale del Comparto sanità, stipulato il 7 aprile 1999 (che dedicava alla mobilità volontaria l’art. 20), a sua volta, nel regolare la mobilità del personale, disciplinava la mobilità volontaria tra aziende ed enti del Comparto.

A tale riguardo l’art. 19, al comma 1, prevedeva: “La mobilità volontaria dei dipendenti tra le aziende e tutti gli enti del comparto di cui al CCNQ del 2 giugno 1998 – anche di Regioni diverse – in presenza della relativa vacanza di organico avviene a domanda del dipendente che abbia superato il periodo di prova, con l’assenso dell’azienda di destinazione e nel rispetto della categoria, profilo professionale, disciplina ove prevista e posizione economica di appartenenza del dipendente stesso”.

Al comma 5, stabiliva che “al fine di favorire la mobilità esterna, le aziende ed enti, nell’ambito della programmazione annuale del fabbisogno del personale individuano i posti da mettere a disposizione a detto titolo nelle varie categorie e profili professionali” e che “le aziende possono ricorrere anche ad apposito bando al quale deve essere data la maggiore pubblicità possibile”.

Lo stesso art. 19 prevedeva, inoltre, al comma 6, che “in caso di più domande rispetto ai posti messi a disposizione l’azienda procede ad una valutazione positiva e comparata da effettuarsi in base al curriculum di carriera e professionale del personale interessato in rapporto al posto da ricoprire” e che “a parità di valutazione possono altresì essere prese in considerazione documentate situazioni familiari (ricongiunzione del nucleo familiare, numero dei famigliari, distanza tra le sedi etc.) o sociali”.

3.3. Tanto premesso, va rilevato che le articolate argomentazioni poste dalla ricorrente a fondamento delle censure si incentrano proprio sulle scelte operate dall’Amministrazione controricorrente, e la domanda della stessa verte sulla richiesta di un vaglio di legittimità dei criteri di scelta posti dalla ASL.

Gli stessi, come si rileva dalla sentenza e dal ricorso, venivano stabiliti ancor prima che con l’avviso di mobilità, con il Regolamento aziendale adottato con la Delib. 4 aprile 2011, n. 508.

Alcuni stralci del Regolamento sono riportati nel ricorso, così come il contenuto dell’avviso di mobilità, ma solo quest’ultimo è allegato al ricorso. Nè del Regolamento è indicato il luogo di produzione in giudizio.

Tale carenza, non consente di procedere ad una interpretazione compiuta degli atti della ASL – atteso il rilievo del Regolamento aziendale sulla mobilità, che poi nell’avviso trovava attuazione attraverso l’esame del loro complessivo contenuto, al fine di vagliarne la legittimità.

Ciò, ancor più, laddove si consideri che la espressa previsione di una valutazione comparata, in presenza di più domande rispetto ai posti, di cui alla contrattazione collettiva, non esclude una valutazione dell’aspirante quanto al possesso della professionalità in relazione al posto ricoperto o da ricoprire, come richiesto dall’art. 30 cit., valutazione legittima se mantenuta in tale ambito dalle previsioni aziendali.

3.4. Trova, dunque conferma la giurisprudenza di legittimità che ha affermato che i requisiti imposti a pena di inammissibilità dall’art. 366, comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure (Cass., S.U., n. 5698 del 2012; Cass. S.U., n. 25038 del 2013, Cass., S.U., n. 34469 del 2019).

4. La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

5. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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