Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11639 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/05/2017, (ud. 30/03/2017, dep.11/05/2017),  n. 11639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Liana M. T. – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19709-2013 proposto da:

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato CESARE PERSICHELLI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE

CAPOMACCHIA;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE UDINE, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso, AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7/2013 della COMM. TRIB. REG. di TRIESTE,

depositata il 30/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/03/2017 dal Consigliere Dott. ZOSO LIANA MARIA TERESA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LUISA DE RENZIS;

udito l’Avvocato.

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. C.F. proponeva distinti ricorsi avverso l’avviso di liquidazione con cui l’agenzia delle entrate aveva recuperato le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale in relazione all’atto di acquisto di un immobile per il quale il contribuente aveva richiesto di fruire dell’agevolazione connessa all’acquisto della “prima casa” ed avverso l’avviso di liquidazione con cui era stata accertata una maggiore imposta sostitutiva relativamente al mutuo acceso per l’acquisto dell’immobile. La commissione tributaria provinciale di Udine rigettava il ricorso con sentenza che era confermata dal CTR del Friuli Venezia Giulia.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il contribuente affidato a due motivi. Si è costituita in giudizio con controricorso l’agenzia delle entrate.

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1, parte prima, nota II bis punto 4 del D.P.R. n. 131 del 1986. Sostiene che la CTR ha errato nel ritenere fossero dovute le sanzioni derivanti dal mendacio perpetrato dal contribuente in relazione alla sussistenza delle caratteristiche non “di lusso” dell’immobile. Ciò in quanto si tratta di condizioni oggettive con riguardo alle quali non è ipotizzabile la condizione psicologica del mendacio.

4. Con il secondo motivo deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 20, comma 4, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 1, e L. n. 212 del 2000, art. 3. Sostiene che la norma di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 20, comma 4, secondo cui l’agenzia delle entrate provvede a recuperare nei confronti del mutuatario la differenza dell’imposta sostituiva dovuta per il caso di decadenza, per dichiarazione mendace, dai benefici connessi all’acquisto di “prima casa”, non è di natura interpretativa e, dunque, non si applica al contratto per cui è causa.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Osserva la Corte che la statuizione non è conforme alla legge, ancorchè per ragioni diverse da quelle prospettate dal ricorrente. Va osservato che, secondo la giurisprudenza costante della Corte di legittimità, la disposizione dettata nel comma 4 della nota II bis all’art. 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 (in caso di dichiarazione mendace sono dovute le imposte di registro ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonchè una soprattassa pari al 30% delle stesse imposte) regola tutte le ipotesi di accertata non spettanza del beneficio fiscale perchè per “dichiarazione mendace” deve intendersi ogni e qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni, soggettive ed oggettive, previste dalla Legge. In particolare va evidenziato che l’applicazione dell’aliquota ridotta non costituisce affatto un obbligo del venditore (nè, tanto meno, dell’Ufficio) ma (solo) un diritto soggettivo dell’acquirente, la cui fruizione è subordinata soltanto alla manifestazione (espressa nell’atto di acquisto) della sua volontà di fruire di quella riduzione: tale richiesta, pertanto, suppone necessariamente la “dichiarazione” dell’acquirente (contribuente) della sussistenza di tutte le condizioni contemplate dalle specifiche norme per godere dell’agevolazione”.

(sentenze 26259/10, 10807/12). La richiesta di fruizione del beneficio, in altri termini, costituisce essa stessa implicita dichiarazione della sussistenza, nella specie, delle condizioni a cui la legge ricollega il diritto al beneficio fiscale; cosicchè, ove tali condizioni in effetti non sussistano, la stessa richiesta di fruizione deve considerarsi dichiarazione mendace, sanzionabile ai sensi del comma 4 della nota II bis all’art. 1 della Parte Prima della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 (Cass. n. 21908 del 27/10/2015;Cass. n. 15959 del 17/04/2013; Cass. n. 10807 del 28/06/2012).

Ciò premesso, va considerato che i presupposti della revoca dell’agevolazione permangono integri anche alla luce dello jus superveniens di cui al D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a), il quale, nel sostituire il secondo comma dell’art. 1 della Parte Prima Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, ha sancito il superamento del criterio di individuazione dell’immobile di lusso – non ammesso, in quanto tale, al beneficio “prima casa” – sulla base dei parametri di cui al D.M. LL.PP. 2 agosto 1969. In forza della disposizione sopravvenuta, infatti, l’esclusione dalla agevolazione non dipende più dalla concreta tipologia del bene e dalle sue intrinseche caratteristiche qualitative e di superficie (individuate sulla base del suddetto D.M.), bensì dalla circostanza che la casa di abitazione oggetto di trasferimento sia iscritta in categoria catastale Al, A8 ovvero A9 (rispettivamente: abitazioni di tipo signorile; abitazioni in ville; castelli e palazzi con pregi artistici o storici). Al fine di allineare allo stesso criterio dell’imposta di registro anche l’agevolazione “prima casa” attribuita con aliquota Iva ridotta, il legislatore è poi intervenuto con il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 33 che, nel modificare il n. 21 della Tab. A, Parte II, all. al D.P.R. n. 633 del 1972, ha espressamente richiamato il “criterio catastale”; con il risultato che anche l’agevolazione Iva è esclusa (indipendentemente dalla sussistenza di tutti gli altri requisiti) per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie. Sennonchè, il nuovo regime trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente alla modificazione legislativa; e, in particolare, successivamente al 1 gennaio 2014, come espressamente disposto dal D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 5, cit.. Il trasferimento dedotto nel presente giudizio, antecedente a questo discrimine temporale, continua pertanto ad essere disciplinato in base alla previgente disciplina; come detto incentrata sui requisiti del citato D.M.. Fermo, dunque, restando il pregresso regime impositivo sostanziale, si ritiene – dando con ciò continuità a quanto stabilito, in identica fattispecie, da Cass. ord. 13235/16 – che una diversa soluzione si imponga invece per quanto concerne le sanzioni applicate con l’atto qui impugnato. In proposito, si ravvisano i presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 2, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie: “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato”. La ricorrenza del principio di legalità e di favor rei in materia tributaria – già ampiamente valorizzato, in presenza di sanzioni amministrative di sostanziale valenza penale, anche ex artt. 49 della Carta dei diritti fondamentali UE, e 7 CEDU – si impone, nella specie, sotto il profilo che tali sanzioni vennero inflitte per avere il contribuente dichiarato che l’immobile acquistato possedeva, contrariamente al vero, qualità intrinseche “non di lusso” (sempre secondo i suddetti parametri ministeriali); vale a dire, per aver reso una dichiarazione che, per effetto della modifica normativa, oggi non ha più alcuna rilevanza per l’ordinamento. In altri termini, il mendacio contestato – costituente l’espresso fondamento della sanzione, così come stabilito dal comma 4, dell’art. 1, Parte Prima, Tariffa D.P.R. n. 131 del 1986 cit. – non potrebbe più realizzarsi, in quanto caduto su un elemento (caratteristiche non di lusso dell’immobile) espunto dalla fattispecie agevolativa. E’ vero che la modifica normativa non ha abolito nè l’imposizione (nella specie individuabile nel recupero a piena tassazione dell’agevolazione indebitamente fruita), nè le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla falsa dichiarazione; e, tuttavia, è proprio l’oggetto di quest’ultima, costituente elemento normativo della fattispecie, ad essere stato cancellato dall’ordinamento. Tanto che, in base al regime sopravvenuto, l’agevolazione ben potrebbe sussistere (in assenza di iscrizione nelle categorie catastali ostative) anche in capo ad immobili abitativi in ipotesi connotati dalle caratteristiche la cui mancata o falsa dichiarazione ha costituito il motivo della sanzione. Il che rende del tutto peculiare la presente fattispecie rispetto a quelle con riguardo alle quali è stato affermato che – in difetto di “aboliti criminis” – permane a carico del contribuente tanto l’obbligo del versamento dell’imposta dovuta prima della modificazione normativa, quanto quello sanzionatorio (Cass. 25754/14; Cass. 25053/06). Va poi considerato come ci si trovi qui di fronte ad una situazione di favore per il contribuente ancor più radicale ed evidente di quella (prevista nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3) del sopravvenire di un regime sanzionatorio semplicemente più mite. Perchè qui non di questo si tratta, ma proprio di riformulazione ex novo della fattispecie legale di non spettanza dell’agevolazione; fondata su un parametro (quello catastale) del tutto differente da quello, precedentemente rinvenibile, fatto oggetto di mendacio. In maniera tale che l’amministrazione finanziaria mantiene, come detto, la potestà di revocare l’agevolazione in questione per il solo fatto del carattere di lusso rivestito – al momento del trasferimento, e sulla base della disciplina all’epoca applicabile dall’immobile trasferito; senza però avere titolo per applicare delle sanzioni conseguenti a comportamenti che, dopo la riforma legislativa, non sono più rilevanti; non certo in quanto tali (false dichiarazioni), ma in quanto riferiti a parametri normativi non più vigenti. In definitiva, l’applicazione dello jus superveniens induce all’accoglimento del ricorso. Conclusione, quest’ultima, che deriva da una scelta interpretativa di favore suscettibile di essere attuata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio; e quindi anche in sede di legittimità (tra le altre: Cass. 1856/13; Cass. 4616/16; Cass. 16679/16 e Cass. ord. 13235/16 cit.).

2. In secondo motivo è parzialmente fondato. Mette conto considerare che il D.P.R. n. 601 del 1973, art. 20, comma 4, secondo cui l’agenzia delle entrate provvede a recuperare nei confronti del mutuatario la differenza dell’imposta sostituiva dovuta per il caso di decadenza, per dichiarazione mendace, dai benefici connessi all’acquisto di “prima casa” e ad applicare la sanzione del 30% sulla differenza di imposta dovuta, si applica ai soli contratti stipulati dopo il 1 gennaio 2008. Prima dell’entrata in vigore di tale norma l’allora comma 4 dell’art. 20 citato, ora comma 5, prevedeva: “Per la rettifica dell’imponibile, per l’accertamento d’ufficio dei cespiti omessi, per le sanzioni relative all’omissione o infedeltà della dichiarazione, per la riscossione, per il contenzioso e per quanto altro riguarda l’applicazione dell’imposta sostitutiva valgono le norme sull’imposta di registro”. E l’art. 57, comma 4, del testo unico dell’imposta di registro prevede che l’imposta complementare dovuta per un fatto imputabile soltanto ad una delle parti contraenti è a carico esclusivamente di questa. Da ciò si deduce che, prima dell’entrata in vigore della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 160, lett. b, che ha modificato il D.P.R. n. 601 del 1973, art. 20, comma 4, l’Ufficio era comunque legittimato a richiedere al mutuatario il versamento della differenza di imposta sostitutiva dovuta a norma del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 18, comma 3, (aliquota del 2%). Tuttavia non erano dovute le sanzioni nella misura del 30% della differenza di imposta dovuta in quanto tale sanzione è stata prevista unicamente dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 160, lett. b, per i contratti di finanziamento stipulati dopo il 1 gennaio 2008.

Il ricorso va, dunque, accolto per quanto di ragione e l’impugnata sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e il ricorso originario del contribuente va accolto limitatamente alla non debenza delle sanzioni. Le spese dell’intero giudizio si compensano in considerazione della parziale reciproca soccombenza e dello ius superveniens.

PQM

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, accoglie parzialmente il ricorso originario del contribuente dichiarando non dovute le sanzioni. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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