Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11638 del 07/06/2016

Cassazione civile sez. I, 07/06/2016, (ud. 11/03/2016, dep. 07/06/2016), n.11638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8805/2011 proposto da:

P.S., (C.F. (OMISSIS)), C.M.

(C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CONCA D’ORO 206, presso l’avvocato MONICA AGOSTINO, rappresentati

e difesi dall’avvocato ALBERTO SEGGIO, giusta procura speciale per

Notaio MARIA ORLANDO di AGRIGENTO – Rep. n. 2649 del 1.03.2016;

– ricorrenti –

contro

CALLIOPE S.R.L., (c.f./p.i. (OMISSIS)), e per essa la PRELIOS

CREDIT SERVICING S.P.A., nuova denominazione sociale di PIRELLI RE

CREDIT SERVICING S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA ADRIANA 15, presso l’avvocato ALBERIGO PANINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO VOLANTE, giusta procura

in calce al controricorso;

UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), già

denominata UGC BANCA S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268/A, presso l’avvocato MARCO FILESI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO CONTRINO, giusta procura in calce al

controricorso;

ISLAND REFINANCING S.R.L., e per essa la PRELIOS CREDIT SERVICING

S.P.A., nuova denominazione sociale di PIRELLI RE CREDIT SERVICING

S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15,

presso l’avvocato ALBERIGO PANINI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIO VOLANTE, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

contro

BANCO DI SICILIA S.P.A., MPS GESTIONE BANCA S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 783/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 11/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/03/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato CAMPANELLI GIUSEPPE, con delega

avv. SEGGIO, che si riporta;

udito, per le controricorrenti CALLIOPE Srl + 1, l’Avvocato

VOLANTE MARIO che si riporta per entrambi i controricorsi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Palermo, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione all’esecuzione proposta da P.S. e C.M., sul rilievo di non aver mai ricevuto la somma di L. 180.000.000 concessa dal Banco di Sicilia a titolo di mutuo, in quanto tale importo era stato impiegato per il pagamento di esposizioni debitorie relative, al proprio figlio P.F.. Ritenevano pertanto gli opponenti che il mutuo fosse simulato e celasse un patto commissorio.

Il contratto di mutuo era stato risolto dall’istituto bancario. Era seguito il precetto ed il pignoramento non solo dell’immobile ipotecato a garanzia del mutuo sopradescritto ma anche di altri 10 immobili, ben oltre l’ammontare del debito.

Gli opponenti chiedevano pertanto che fosse accertata la nullità del mutuo perchè celava un patto commissorio; per contrasto con norme imperative, per usurarietà e per impossibilità sopravvenuta. Si chiedeva anche la riduzione delle ipoteche e la restrizione delle ipoteche, oltre al risarcimento dei danni.

Venivano evocati nel giudizio oppositivo anche i creditori intervenuti BNL (Banca nazionale del Lavoro) e il Monte Paschi di Siena. Secondo gli opponenti, il credito BNL era inesistente perchè dovuto all’incapacità di gestione e recupero di garanzia assicurativa e l’altro doveva essere rideterminato perchè assistito dalla garanzia del fondo Interbancario.

La Corte territoriale a sostegno del rigetto ha affermato:

In ordine all’esclusione della legittimazione passiva della BNL e del Monte dei Paschi, stabilita dal Tribunale, la statuizione era condivisibile. Per quanto riguarda BNL non erano state indicate dall’interveniente le ragioni a sostegno del motivo di gravame.

Inoltre nel giudizio di opposizione all’esecuzione sono legittimati soltanto il soggetto che ha proceduto al pignoramento e i creditori intervenuti che non solo siano muniti di titolo esecutivo ma abbiano anche compiuto atti del procedimento. Tale caratteristica non si poteva rinvenire in BNL. Quanto al Monte Paschi di Siena la censura doveva ritenersi inammissibile, non essendo stato addotto alcun argomento a sostegno della dedotta legittimazione passiva.

In ordine alla dedotta simulazione del contratto di mutuo fondiario, viene rilevato che la somma erogata a mutuo era stata accreditata sul conto corrente di P.S. che ne aveva rilasciato quietanza mentre la riconduzione del medesimo ad un finanziamento ordinario garantito da ipoteca con importo impiegato esclusivamente per le esposizioni debitorie del figlio,era rimasta sfornita di prova. La richiesta di consulenza tecnica d’ufficio aveva carattere del tutto esplorativo. Peraltro la giurisprudenza di legittimità ha escluso che il mutuo fondiario abbia natura di mutuo di scopo non essendo necessario indicare la destinazione del credito. Neanche la mancata utilizzazione per il miglioramento fondiario determina in sè la nullità del contratto.

In ordine alla violazione del divieto di patto commissorio non sussiste prova dell’accordo illecito (coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito). Peraltro i mutuatari non erano impossidenti ma proprietari di svariati immobili.

In ordine all’impossibilità sopravvenuta non risulta provato che la somma data a mutuo non sia stata messa nella disponibilità dei mutuatari così impedendone la restituzione.

La risoluzione era stata determinata in ossequio alle prescrizioni contrattuali per il mancato pagamento e non solo per il ritardo di due ratei.

Non si era provveduto ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39, perchè oltre all’estinzione della quinta parte del debito è necessario, per la riduzione proporzionale della somma iscritta e la parziale liberazione dei beni ipotecati, che i rimanenti beni siano sufficienti alla garanzia.

La censura relativa all’usurarietà dei tassi d’interesse è stata ritenuta generica in quanto non vengono esposte le ragioni in base alle quali il giudice di primo grado avrebbe errato. Peraltro, l’applicabilità della L. n. 108 del 1996, doveva limitarsi alla parte di mutuo in esecuzione dopo la sua entrata in vigore (il mutuo è stato risolto nell’agosto 2000).

In ordine agli interessi anatocistici, la nullità riguarda solo i mutui ordinari.

La partecipazione dei successori a titolo particolare Calliope e Island Financing è avvenuta regolarmente con procura valida ed efficace, tenuto conto che le due intervenienti si sono limitate a richiedere il rigetto del gravame. Infine devono ritenersi validi gli atti compiuti dal procuratore del Banco di Sicilia in quanto titolare del credito formante oggetto della procedura esecutiva in contestazione.

Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione P.S. e C.M.. Hanno resistito con autonomi controricorsi Unicredit Credit Managment Bank S.P.A.;

Island Refinancing s.r.l. e Calliope S.R.L. Sono state depositate memorie dai ricorrenti e da Di do Bank (già Unicredit Managment Bank s.p.a.).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 1283 c.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 161, nonchè il vizio di motivazione per avere la Corte d’Appello ritenuto che l’applicabilità degli interessi anatocistici fosse consentita per legge nel contratto di muto fondiario senza considerare che il contratto in questione è assoggettato alla disciplina normativa introdotta dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 161, con il quale è stato abrogato il precedente T.U. n. 646 del 1905. Alla luce del nuovo regime giuridico i contratti di mutuo fondiario sono interamente assoggettati al T.U.B..

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 101 e 102 c.p.c., in ordine al confermato difetto di legittimazione passiva dei creditori intervenuti, trascurando di considerare che requisito sufficiente è l’essere muniti di titolo esecutivo.

Nel terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 61 e 116 c.p.c., e art. 2697 c.c., nonchè il vizio di motivazione nel non aver ritenuto, il giudice d’appello, la sussistenza del patto commissorio e dell’impossibilità sopravvenuta, anche in ordine all’omesso accoglimento dell’istanza di consulenza tecnica d’ufficio, sull’effettiva finalità del mutuo.

Nel quarto motivo viene dedotta la violazione del d.lgs. n. 385 del 1993 nonchè della normativa antiusura ed infine il vizio di motivazione per non essere stato considerato che le perizie svolte in sede esecutiva avevano assegnato ai beni valori di Euro 70.000 e 84.000 a fronte di crediti per Lire 176.145.390 e Lire 62.480.95 quando sui beni era stata trascritta ipoteca per Lire 540.000.000 e Lire 349.000.000.

Sotto altro profilo la sentenza è illegittima anche perchè non ha accolto il motivo relativo alla riduzione proporzionale dell’ipoteca, ritenendo plausibile che il valore dei beni immobili in 15 anni si sia dimezzato invece di aumentare, al fine di applicare l’art. 39 T.U.B. e ritenere erroneamente che il valore residuale non fosse neanche sufficiente a coprire il debito.

Nel quinto motivo viene dedotta la violazione dell’art. 111 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione per essere stata erroneamente riconosciuta la legittimazione attiva del Banco di Sicilia nonostante non avesse più la titolarità del diritto di credito azionato fina dal 31/12/2001.

Deve essere preliminarmente affrontata l’eccezione d’inammissibilità del controricorso notificato dalla Unicredit Managment Bank S.P.A. in data 4/5/2011 in luogo del diverso titolare del credito nelle precedenti fasi del giudizio Banco di Sicilia, dovendosi applicare il principio secondo il quale il successore a titolo particolare può impugnare la sentenza di merito ma non intervenire nel giudizio di legittimità, in mancanza di un’espressa previsione normativa che consenta al terzo la partecipazione al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie.

L’eccezione può essere disattesa. Gli orientamenti segnalati dalla parte ricorrente ed i successivi che ad essi si ispirano (tra i più recenti 11375 del 2010; 12179 del 2014) hanno ad oggetto successori a titolo particolare effettivamente intervenuti nel procedimento di legittimità ove risultava costituito il resistente dante causa.

Anche il contrasto determinatosi all’interno di questa sezione in ordine alla partecipazione dell’assuntore del concordato oltre al curatore (Cass. 18697 del 2013, che ritiene ammissibile l’intervento dell’assuntore perchè successore a titolo particolare e 3336 del 2015, di avviso diverso) ha ad oggetto una fattispecie nella quale è costituito il dante causa. In tali ipotesi è astrattamente giustificabile l’incompatibilità con il procedimento di legittimità dell’intervento del terzo ancorchè successore a titolo particolare, dal momento che la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio trova comunque un riconoscimento ed una tutela processuale mediante la partecipazione del dante causa. Nella fattispecie dedotta nel presente giudizio, invece, il dante causa Banco di Sicilia non si è costituito nel procedimento davanti la Corte di Cassazione. La situazione è del tutto equiparabile, di conseguenza, a quella del successore a titolo particolare che propone ricorso per esercitare il diritto di azione che gli deriva dall’acquistata titolarità del diritto controverso. Escludere la sua partecipazione al presente giudizio, solo perchè non ricorrente determinerebbe una lesione del diritto di difesa non giustificata dalla natura del procedimento di legittimità, mancando la partecipazione in giudizio del dante causa.

In ordine ai motivi del ricorso principale deve rilevarsi la fondatezza del primo, applicandosi, ratione temporis, alla fattispecie dedotta in giudizio il T.U.B. anche ai contratti di mutuo fondiario, così come affermato da Cass. n. 11400 del 2014 così massimata:

“Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, (cosiddetto t.u.b.), secondo il quale qualsiasi ente bancario può esercitare operazioni di credito fondiario la cui provvista non è più fornita attraverso il sistema delle cartelle fondiarie, la struttura di tale forma di finanziamento ha perso quelle peculiarità nelle quali risiedevano le ragioni della sottrazione al divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c., rinvenibili nel carattere pubblicistico dell’attività svolta dai soggetti finanziatori (essenzialmente istituti di diritto pubblico) e nella stretta connessione tra operazioni di impiego e operazioni di provvista, atteso che gli interessi corrisposti dai terzi mutuatari non costituivano il godimento di un capitale fornito dalla banca, ma il mezzo per consentire alla stessa di far fronte all’eguale importo di interessi passivi dovuto ai portatori delle cartelle fondiarie (i quali, acquistandole, andavano a costituire la provvista per l’erogazione dei mutui). Ne consegue che l’avvenuta trasformazione del credito fondiario in un contratto di finanziamento a medio e lungo termine garantito da ipoteca di primo grado su immobili, comporta l’applicazione delle limitazioni di cui al citato art. 1283 c.c., e che il mancato pagamento di una rata di mutuo non determina più l’obbligo (prima normativamente previsto) di corrispondere gli interessi di mora sull’intera rata, inclusa la parte rappresentata dagli interessi corrispettivi, dovendosi altresì escludere la vigenza di un uso normativo contrario”.

Ha precisato al riguardo la Corte in motivazione: “Nel sistema legislativo previgente la capitalizzazione del credito per interessi corrispettivi era espressamente prevista dalla normativa di settore che ha, nel tempo, disciplinato i contratti di mutuo fondiario stipulati in data anteriore all’entrata in vigore del t.u.b. (R.D. n. 646 del 2005, art. 38, D.P.R. n. 7 del 1976, art. 14, L. n. 175 del 1991, art. 16). Non si è mai dubitato, pertanto, che, il mancato pagamento di una rata di mutuo fondiario comportasse l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull’intero suo ammontare, inclusa la parte che rappresentava gli interessi di ammortamento (cfr., da ultimo, fra molte, Cass. nn. 21885/013, 3656/013, 9695/011). Le leggi speciali sono state tuttavia abrogate dall’art. 161, comma 1, del t.u.b, e continuano a regolare, ai sensi del comma 6, del medesimo articolo, i soli contratti già conclusi nel loro vigore. Il t.u.b. fornisce ora, all’art. 38 (incluso nella sezione I del capo 6^ della legge, rubricata Norme relative a particolari operazioni di credito) la nozione di credito fondiario, ma non detta alcuna disposizione che preveda, come per il passato, che le somme dovute a titolo di rimborso delle rate di ammortamento dei mutui fondiari, comprensive di capitali e interessi, producono, di pieno di diritto, interessi dal giorno della scadenza.

Il regime privilegiato di cui in origine godeva il credito fondiario rinveniva infatti la sua giustificazione nel carattere pubblicistico dell’attività svolta dai soggetti finanziatori, previamente individuati dalla legge fra istituti di diritto pubblico, nella stretta connessione tra operazioni di impiego ed operazioni di provvista e nella necessità di assicurare ai risparmiatori, che fornivano quest’ultima acquistando le cartelle fondiarie, sicurezza e tempestività nei rimborsi attraverso la sicurezza e la tempestività della restituzione delle somme mutuate. Deve dunque concludersi che, con l’entrata in vigore del t.u.b., la struttura del credito fondiario ha perso quelle peculiarità nelle quali risiedevano le ragioni della sua sottrazione al divieto di cui all’art. 1283 c.c.”.

Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile perchè non risulta censurata una delle rationes decidendi poste a base dell’accertato difetto di legittimazione passiva dei creditore intervenuti nel procedimento di esecuzione forzato. In ordine ad entrambi è stato, infatti, sottolineato che la giustificazione della affermata legittimazione passiva era del tutto generica anche con riferimento alle ragioni del rigetto contenute nella sentenza di primo grado.

Il terzo e il quarto motivo devono essere ritenuti del pari inammissibili perchè si limitano, nonostante la prospettazione anche del vizio di violazione di legge, a richiedere un esame ed una valutazione dei fatti alternativa a quella incensurabilmente svolta dal giudice del merito anche in ordine alle istanze istruttorie disattese ed, in particolare, alla richiesta di consulenza tecnica d’ufficio. Per quest’ultima si richiama ai fini della consolidata giurisprudenza in ordine all’inammissibilità della censura volta al riesame del rigetto, discrezionalmente stabilito dal giudice di merito con motivazione adeguata, nella specie dovuto alla natura esplorativa dell’istanza, (Cass.12930 del 2007; 17399 del 2015).

L’inammissibilità deve estendersi anche all’articolazione della censura contenuta nel quarto motivo, riguardante la violazione della normativa antiusura. La parte ricorrente non coglie la ratio del rigetto che è la genericità della prospettazione del motivo e reitera tale vizio anche in sede di ricorso.

Il quinto motivo infine deve ritenersi infondato dal momento che il Banco di Sicilia non era stato mai estromesso dal giudizio di merito con conseguente piena legittimazione a parteciparvi ex art. 111 c.p.c..

In conclusione deve accogliersi il primo motivo, con rigetto dei restanti, cassazione della pronuncia impugnata e rinvio alla corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, perchè si attenga al principio di diritto enunciato nella massima citata ad illustrazione del medesimo.

PQM

La Corte, accoglie il primo motivo e rigetta il secondo, terzo, quarto e quinto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione perchè provveda anche alle spese processuali del presente procedimento di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2016

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