Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11637 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/05/2017, (ud. 30/03/2017, dep.11/05/2017),  n. 11637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. ZOSO Liana M. T. – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28046-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

nonchè contro

B.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 147/2011 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 17/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/03/2017 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LUISA DE RENZIS.

udito l’Avvocato;

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. B.T. proponeva ricorso avverso l’avviso di liquidazione con cui l’agenzia delle entrate aveva recuperato le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale in relazione all’atto di acquisto di un immobile stipulato il (OMISSIS) ritenendo che l’immobile stesso non potesse beneficiare delle agevolazioni connesse all’acquisto di “prima casa ” in quanto aveva caratteristiche di lusso. La commissione tributaria provinciale di Viterbo accoglieva il ricorso. La CTR del Lazio, decidendo sull’appello proposto dall’Ufficio, lo dichiarava inammissibile in quanto mancava l’attestazione di conformità dell’atto di appello depositato a quello notificato alla contribuente, così come previsto dall’art. 22, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53; neppure era possibile accertare l’effettiva conformità tra i due atti in quanto l’appellato non si era costituito. Osservava, poi, la CTR che mancava l’autorizzazione alla proposizione dell’appello da parte della direzione generale delle entrate, così come previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato a due motivi. La contribuente non si è costituita in giudizio. Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte a norma dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

3. Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto l’inammissibilità dell’appello per la mancata attestazione di conformità dell’atto di appello depositato a quello notificato al contribuente non può essere fatta derivare dalla impossibilità di accertare l’effettiva conformità dei due atti dipendente dal fatto che l’appellata non si è costituita in giudizio perchè ciò significherebbe far dipendere l’inammissibilità dall’arbitrio della parte la quale, non costituendosi, renderebbe, di fatto, impossibile l’accertamento della conformità.

4. Con il secondo motivo deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, che prevedeva l’autorizzazione a proporre appello da parte della direzione regionale delle entrate, è stato abrogato dal D.L. n. 40 del 2010, convertito dalla L. n. 73 del 2010, con decorrenza dal 26.3.2010.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In ordine al primo motivo di ricorso, osserva la Corte che costituisce principio oramai consolidato quello secondo cui il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3 – richiamato, per il giudizio di appello, dall’art. 53, che disciplina il deposito in segreteria della commissione tributaria adita della copia del ricorso notificato mediante consegna o spedizione a mezzo del servizio postale – va interpretato nel senso che costituisce causa di inammissibilità non la mancata attestazione, da parte del ricorrente, della conformità tra il documento depositato ed il documento notificato, ma solo la loro effettiva difformità, accertata d’ufficio dal giudice in caso di detta mancanza (così Cass. n. 11760 del 26/05/2014; Cass. n. 5370/2010; Cass. n. 6780 del 20/03/2009: Cass. n. 4615 del 22/02/2008 che richiama, a sua volta, Cass. n. 17180/2004).

Ora, la questione che pone la ricorrente concerne la rilevanza che assume la contumacia del convenuto nel procedimento officioso volto all’accertamento in concreto della conformità del documento depositato e del documento notificato.

In via generale e preliminare si devono richiamare i principi interpretativi affermati dalla Corte Costituzionale (Sent. 18 marzo 2004, n. 98, e Sent. 6 dicembre 2002, n. 520) circa la costituzionalità delle norme processuali sulle cause di inammissibilità secondo cui: 1) si deve far valere l’esigenza di ridurre i profili d’inammissibilità a quelle sole cause che costituiscano una ragionevole sanzione per la parte processuale; 2) si deve mirare a contrastare la realizzazione della giustizia solo per ragioni di serie importanza; 3) i profili di forma devono essere valutati con criteri di equa razionalità; 4) si deve assicurare l’armonia sistematica del regime dell’istituto controverso con lo specifico sistema processale cui esso appartiene.

Tanto premesso, ritiene questo collegio che l’applicazione dei richiamati principi debba condurre a diverse conclusioni a seconda che via sia o meno la costituzione del resistente o dell’appellato, posto che, nel primo caso, la difformità tra i due esemplari di ricorso è suscettibile di essere contestata dalla parte costituita e, comunque, agevolmente rilevata dal giudice, attraverso il diretto raffronto del ricorso depositato con quello notificato, trattandosi di atti, entrambi, acquisiti in giudizio. Nel secondo caso, ovvero nel caso di contumacia del resistente o dell’appellato, viene a mancare per la parte la possibilità di riscontrare e denunciare la difformità e risulta, peraltro, impedita al giudice ogni effettiva possibilità di verifica ufficiosa della prescritta conformità, attraverso la diretta comparazione dell’esemplare depositato a quello notificato, dato che la contumacia del resistente o dell’appellato preclude l’acquisizione del secondo esemplare agli atti del giudizio. E mette conto considerare che, qualora si ritenesse non necessaria l’attestazione di conformità pur nella contumacia dell’appellato, la prescritta formalità risulterebbe priva di qualsiasi reale funzione. Ed allora si deve ritenere che, in ipotesi di contumacia del resistente (o dell’appellato), la mancata attestazione della conformità del ricorso depositato in commissione a quello notificato a mezzo posta alla controparte costituisce di per sè, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3, causa d’inammissibilità del ricorso (in senso conforme si veda Cass. n. 13398 del 28/4/2016; Cass. n. 4615 del 22/02/2008).

Questo collegio intende, dunque, discostarsi dal principio opposto affermato dalla Corte di legittimità con la sentenza n. 6780 del 20/03/2009, secondo cui si presume la conformità sia quando l’appellato si costituisca e non sollevi alcuna eccezione al riguardo, sia quando non si costituisca, così rinunciando a sollevare l’eccezione di cui si tratta. Ciò in quanto la valutazione che compie l’appellato circa l’opportunità o meno di costituirsi avviene sulla base dell’atto che gli è stato notificato e non si può ragionevolmente ritenere che sia suo onere accedere alla segreteria della commissione per verificare l’eventuale difformità tra l’atto a lui notificato e quello depositato, trattandosi di attività difensiva che presuppone, comunque, sia già sorto un interesse concreto a contraddire sulla base dell’atto notificato. Ne consegue che non può attribuirsi alla mancata costituzione in giudizio il significato della non contestazione di una circostanza – la mancata corrispondenza tra l’atto notificato e l’atto depositato – che è formalmente ignota all’appellato non costituito. L’inammissibilità conseguente alla mancata attestazione di conformità del documento depositato e del documento notificato costituisce, dunque, alla luce dei ricordati principi espressi dalla Corte Costituzionale, una ragionevole sanzione per la parte appellante la quale ben può prevedere che, nel caso in cui l’appellato non si costituisca, il giudice si trovi nell’impossibilità di effettuare la verifica officiosa. Trattasi, poi, di inammissibilità dettata da una ragione di seria importanza e di equa razionalità, considerato che l’appellato potrebbe ignorare il contenuto effettivo dell’atto che ha originato il processo qualora si ritenesse che la sua mancata costituzione implicasse la non contestazione di un atto a lui sconosciuto.

2. Il secondo motivo rimane assorbito.

3. Il ricorso va, dunque, rigettato. L’esistenza di un orientamento giurisprudenziale non univoco giustifica la compensazione delle spese.

PQM

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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