Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11636 del 26/05/2011

Cassazione civile sez. I, 26/05/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 26/05/2011), n.11636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20369/2005 proposto da:

COMUNE DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO, in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GAETA 64 – SC. A INT.

7, presso l’avvocato GENOVESE Cosimo, che lo rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A.M., G.G., G.C.;

– intimati –

sul ricorso 25149/2005 proposto da:

G.G. (c.f. (OMISSIS)), G.C. (c.f.

(OMISSIS)), in proprio e nella qualità di eredi di P.

A.M., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato SIRACUSA GIOVANNI, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

COMUNE DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO, in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GAETA 64 – SC. A INT.

7, presso l’avvocato GENOVESE COSIMO, che lo rappresenta e difende,

giusta procura a margine del controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 97/2005 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 18/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato GENOVESE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 18 febbraio 2005, la Corte d’appello di Messina, pronunciandosi sulla domanda proposta dai signori G.G. e C., e P.A.M. nei confronti del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto in relazione all’occupazione di un terreno di proprietà degli attori, premise che per la domanda di determinazione dell’indennità di espropriazione la causa era stata sospesa, in attesa della definizione del giudizio pendente davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, di accertamento dell’occupazione espropriativa del medesimo terreno, e che la decisione doveva essere circoscritta alla sola domanda di determinazione dell’indennità di occupazione legittima. A tal fine accertò che il terreno, compreso in zona F e ritenuto su questa premessa edificabile, aveva un valore venale di L. 165.000.000, e, applicando la L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, determinò la base di calcolo costituita dall’indennità di espropriazione virtuale, con anche la falcidia del 40%, in Euro 25.724,57, e l’indennità di occupazione, ragguagliata agli interessi legali per il quinquennio, in Euro 12.862,33.

Per la cassazione della sentenza, notificata il 24 maggio 2005, ricorre il comune per tre motivi, con atto notificato il 22 luglio 2005 a G. e G.C., anche nella qualità di eredi di P.A.M., deceduta nelle more del giudizio.

G. e G.C. resistono con controricorso e ricorso incidentale per un motivo.

Il comune ha notificato controricorso al ricorso incidentale e memoria in data 2 novembre 2011, e ha poi depositato una memoria ex art. 378 c.p.c., accompagnata dal deposito della sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in data 20 maggio 2010.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi, proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti.

La produzione della sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in data 20 maggio 2010, eseguita dal comune ricorrente in occasione del deposito della memoria ex art. 378 c.p.c., è inammissibile, non trattandosi di documento riguardante l’ammissibilità del ricorso (art. 372 c.p.c.).

Con il primo motivo, il comune, ricorrente principale, denuncia la violazione degli artt. 38 e 39 c.p.c., anche in relazione all’art. 112 c.p.c., lamentando che la corte d’appello non abbia dichiarato la litispendenza continenza delle cause pendenti davanti a giudici diversi, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Premesso che in materia processuale non è invocabile l’omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè l’omessa pronuncia del giudice di merito ha valore di rigetto, deve escludersi, pur sulla base degli scarni elementi desumibili dal ricorso, che sussista identità tra una causa di opposizione alla stima dell’indennità di occupazione di un terreno e altra causa di condanna al risarcimento del danno da occupazione acquisitiva dello stesso terreno. La diversità del petitum e della causa petendi delle domande esclude che si possano configurare ipotesi di litispendenza o di continenza fra le due suddette diverse cause – indennitaria e risarcitoria – eventualmente pendenti contemporaneamente fra le due parti per la diversità delle domande (Cass. 11 dicembre 1998 n. 12495).

Con il secondo motivo si denuncia cumulativamente la violazione della L. n. 1865 del 1971, della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, l’errata attribuzione di natura edificatoria al terreno occupato e vizi di motivazione. Il ricorrente deduce che nella causa davanti al Tribunale di Barcellona il consulente tecnico d’ufficio aveva accertato la natura agricola del terreno, perchè compreso in zona “E”, agricola; che tale relazione era stata acquisita agli atti del giudizio davanti alla corte d’appello, e che sul fondamento di essa erano state formulate delle critiche alla relazione del consulente tecnico nominato dalla corte, il quale aveva invece concluso per la natura edificabile del terreno. In presenza di due relazioni tecniche di contenuto contraddittorio, assunte da due organi giurisdizionali, la corte avrebbe dovuto svolgere ulteriori accertamenti.

Nella “memoria” redatta e notificata contestualmente al controricorso al ricorso incidentale, il comune torna sull’argomento, per far notare che anche in base alla qualificazione urbanistica accertata dal consulente tecnico nominato dalla corte, e accolta in sentenza, ovvero di terreno compreso in zona “F” destinata ad attrezzature ed impianti di interesse comprensoriale (attrezzature per l’istruzione superiore, sanitarie, assistenziali), l’edificabilità dell’area sarebbe stata esclusa.

Va premesso che il mezzo in esame è posto sotto una rubrica pletorica, fatta di indicazioni disparate e contraddittorie, giacchè la violazione di legge è configurabile solo in relazione ad una fattispecie accertata in tutti i suoi elementi dal giudice di merito, laddove il vizio di motivazione – inammissibile in relazione alle questioni di diritto – mette in discussione appunto la ricostruzione del fatto. Il mezzo, pertanto, può essere esaminato solo tenendo conto del suo concreto svolgimento, e trascurando l’inammissibile cumulo di mezzi d’impugnazione enunciati in rubrica. Esso si traduce in un vizio di motivazione sulla contraddittorietà tra due consulenze d’ufficio assunte in processi diversi con riferimento al medesimo terreno, e sul mancato svolgimento di ulteriori accertamenti in fatto. In questi termini, esso non può avere ingresso.

Il giudice di merito, infatti, si è basato sulla relazione di consulenza tecnica assunta in contraddittorio delle parti, le quali hanno avuto pieno modo di esaminare la relazione ed esporre le loro critiche ad essa, senza che il contrasto con una relazione di consulenza svolta in altro giudizio possa costituire in sè valido argomento critico, o ragione sufficiente per disporre nuovi accertamenti. Il giudice ha poi condiviso la conclusione alla quale il consulente era pervenuto. Per la configurabilità di un vizio di insufficiente motivazione, il ricorrente aveva l’onere di precisare i termini testuali nei quali eventuali critiche alla relazione di consulenza erano state svolte nel giudizio di merito, tra le quali peraltro in nessun caso avrebbe valore decisivo – nel senso richiesto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 – il mero contrasto con una consulenza assunta in altro giudizio avente altro oggetto, ma solo la dimostrazione dell’esattezza della critica, con l’esposizione degli elementi di fatto accertati in causa sulla base dei quali essa si fonda, e l’illustrazione delle conseguenze che ciò comporta sulla decisione. La mancanza di questi elementi rende il motivo inammissibile.

Peraltro, con la memoria da ultimo citata il comune introduce una censura del tutto diversa a quella svolta nel ricorso, e appena esaminata, osservando che la stessa qualificazione urbanistica accertata dal consulente, e recepita dal giudice di merito, escludeva l’edificabilità legale dell’area. Evidentemente questa è una questione totalmente diversa, vertente sulla violazione di una norma di diritto ravvisabile nella fattispecie così come ricostruita in causa, e doveva costituire oggetto di apposito motivo di ricorso. E’ invece inammissibile il tentativo di introdurla nel dibattito processuale attraverso una memoria. Nel giudizio di legittimità, infatti, detta memoria è esclusivamente destinata ad illustrare e a chiarire i motivi dell’impugnazione ovvero a confutare le tesi avversarie, ma non può essere utilizzata per dedurre questioni che sono ormai precluse perchè non introdotte, secondo quanto prescritto, con il ricorso introduttivo e che, per effetto di detta preclusione, non sono suscettibili di rilievo d’ufficio (cfr. Cass. 20 luglio 1983 n. 4990; 1 dicembre 1998 n. 12168; 8 febbraio 2001 n. 1805; 26 agosto 2002 n. 12477; 11 giugno 2003 n. 9387; 17 giugno 2004 n. 11357; 23 febbraio 2006 n. 4020; 17 novembre 2006 n. 24486).

Il terzo motivo del ricorso principale, sul regolamento delle spese del giudizio, è generico ed inammissibile.

Con il ricorso incidentale, deducendo la falsa applicazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. n. 359, si censura l’applicazione della falcidia del 40% da essa prevista.

Il mezzo mette in discussione la determinazione dell’indennità di espropriazione dell’area espropriata, che il giudice di merito ha fatto applicando la norma contenuta nel D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359. La citata disposizione è stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale. In conseguenza di ciò, la statuizione impugnata – e per ciò stesso non divenuta irrevocabile – deve essere cassata, non potendo più trovare applicazione nel giudizio la norma dichiarata incostituzionale, che disponeva la determinazione del valore dell’area fabbricabile sulla base della semisomma del valore venale e della rendita catastale capitalizzata, con la decurtazione del 40%.

Alla cassazione, sul punto, dell’impugnata sentenza segue inoltre la decisione nel merito, non richiedendosi a tal fine ulteriori indagini in fatto. L’indennità dovuta ai proprietari per il quinquennio di occupazione legittima, calcolata in base agli interessi legali sul valore di mercato del terreno, è determinata in (16.500.000 x 5 = 82.500.000) Euro 42.607,69, oltre agli interessi legali compensativi scalari con scadenza da ogni singola annualità o frazione di essa sino al saldo. La somma dovuta, al netto di quanto eventualmente già versato, deve essere depositata presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Le spese del giudizio sono a carico del comune soccombente e sono liquidate come in dispositivo

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, e pronunciando sul ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata limitatamente alla liquidazione dell’indennità di occupazione legittima;

decidendo nel inerito, determina l’indennità dovuta in Euro 42.607,69, oltre agli interessi legali scalari sulle somme dovute con decorrenza dalle singole annualità, e condanna il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto al pagamento della maggior somma dovuta, rispetto a quella già versata, presso la Cassa Depositi e Prestiti;

condanna inoltre il comune al pagamento delle spese del giudizio, liquidate, per il giudizio davanti alla corte d’appello, in Euro 5.090,57, di cui Euro 1.414,50 per diritti e Euro 2.000,000 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge, con distrazione a favore dell’avv. Siracusa; e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2011

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