Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11636 del 13/05/2010

Cassazione civile sez. II, 13/05/2010, (ud. 24/03/2010, dep. 13/05/2010), n.11636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M. (OMISSIS), L.A. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, P.LE CLODIO 14, presso lo studio

dell’avvocato GRAZIANI ANDREA, rappresentati e difesi dall’avvocato

RANDO GB;

– ricorrenti –

e contro

M.P. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 731/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Angelo COLUCCI con delega depositata in udienza

dell’Avvocato RANDO GB, difensore dei ricorrenti che ha chiesto di

riportarsi alle conclusioni di cui agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 28-11-1991 L.I., assistita dal curatore provvisorio M.P., conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Vicenza la sorella L.A. chiedendo pronunciarsi lo scioglimento della comunione relativa 31 beni relitti dalla defunta madre C.A. secondo le regole della successione legittima e non considerando come legato, bensì come “institutio in re certa”, l’attribuzione alla convenuta nel testamento di un appartamento.

La convenuta non si opponeva alla divisione evidenziando i debiti esistenti a carico della defunta e della massa, ed assumendo che in mancanza di apposita formale impugnazione del testamento la successione doveva essere regolata da tale negozio.

Dopo la precisazione delle conclusioni, per l’attrice deceduta si costituivano M.P. quale erede testamentario e M.M. quale legittimarla pretermessa.

Con sentenza non definitiva del 7-4-2000 l’adito Tribunale pronunciava lo scioglimento della comunione ereditaria secondo lo schema redatto dal C.T.U., previa attribuzione in prelegato ad L.A. dell’appartamento sito in (OMISSIS), contrada (OMISSIS), e rimetteva le parti dinanzi al G.I. per il sorteggio.

Proposto gravame da parte di L.A. e M.M. cui resisteva M.P. che formulava altresì appello incidentale, la Corte di Appello di Venezia con sentenza dei 30-4-2004 ha rigettato entrambe le impugnazioni.

Per la cassazione di tale sentenza M.M. e L.A. hanno proposto un ricorso affidato a tre motivi; M.P. non ha svolto attivitàdifensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti, deducendo falsa applicazione di norme di diritto ed omessa motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver rigettato il motivo di appello con il quale le esponenti avevano evidenziato che i valori degli immobili non erano più attuali rispetto all’epoca dell’espletamento della C.T.U. (anno 1993); invero l’assunto secondo cui tale rilievo era superato dalla sostanziale coincidenza dei due assegni entrambi costituiti da immobili non era corretto, in quanto presupponeva che l’aumento (o la diminuzione) del valore degli immobili compresi nelle due porzioni previste nel progetto divisionale fosse stato proporzionale per tutti i beni, mentre in realtà ciò era escluso dal fatto che si trattava di immobili situati in tre diverse città.

Inoltre le ricorrenti sostengono che il giudice di appello non ha esaminato la questione, pure sollevata dalle esponenti nell’atto di appello, in ordine al valore riconosciuto dal C.T.U. al palazzo del ‘500 attribuito a S.V., considerato in particolare che tale immobile non aveva mai goduto della sanatoria.

La censura è in parte infondata ed in parte inammissibile.

La Corte territoriale ha ritenuto generico il motivo di appello in ordine alla mancata rivalutazione della stima dei beni oggetto di divisione con particolare riguardo a quelli siti in (OMISSIS); in proposito, premessa l’insufficienza della mera allegazione di diversi valori dei beni senza il conforto di idonei riscontri, ha rilevato che la sostanziale coincidenza dei due assegni, entrambi costituiti da immobili con un conguaglio di sole L. 10.000.000, comportava l’infondatezza dell’assunto relativo alla possibile lievitazione dei valori dei beni rispetto a quelli determinati dal C.T.U. in mancanza di prova di una disomogeneità di tale lievitazione.

Avendo quindi la sentenza impugnata basato il rigetto del motivo di appello sulla sua genericità, si osserva che tale statuizione non risulta quantomeno specificatamente censurata in questa sede, dove del resto le ricorrenti neppure hanno addotto elementi significativi idonei a far presumere una diversa lievitazione dei valori degli immobili dall’epoca di espletamento della C.T.U. (anno 1993) a quella della decisione della sentenza di secondo grado con riferimento alle tre città in cui essi erano rispettivamente situati.

Con riferimento poi al profilo di censura relativo alla stima del palazzo del ‘500 sopra richiamato, si rileva la sua inammissibilità, atteso che dall’esame diretto degli atti (consentito a questa Corte dalla natura processuale del vizio denunciato) è emerso che tale questione non era stata dedotta nell’atto di citazione di appello, ma inammissibilmente solo nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado; pertanto correttamente la Corte territoriale ne ha omesso l’esame in quanto estranea ai motivi di appello.

Con il secondo motivo le ricorrenti, denunciando falsa applicazione di norme di diritto, assumono che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto di non poter esaminare il secondo motivo di appello relativo alla attribuzione in prelegato di un determinato immobile ad L.A. per asserita mancata produzione da alcuna delle parti del testamento di C.A. di cui era stata denunciata l’errata interpretazione; in realtà tale testamento era stato prodotto fin dal primo grado di giudizio da L.I., come risultava dalla lettura dell’ultima pagina dell’atto di citazione del 28-11-1991.

La censura è infondata.

Dall’esame diretto del fascicolo di primo grado dell’attrice (consentito a questa Corte dalla natura processuale del vizio denunciato) risulta che in quel giudizio era stato prodotto non già il suddetto testamento, ma il verbale di pubblicazione del 19-10-1999 del testamento olografo del (OMISSIS) di L.I. rep. 70615 per notaio Casero di Milano, cosicchè la statuizione in proposito della Corte territoriale è corretta.

Con il terzo motivo le ricorrenti, deducendo falsa applicazione di norme di diritto, censurano la sentenza impugnata per aver rigettato la richiesta delle esponenti di assegnazione congiunta in loro favore di beni mobili e beni immobili sulla base del rilievo che non sono ammissibili in appello domande nuove relative alla divisione dell’asse ereditario; esse assumono di non aver affatto chiesto la divisione della quota spettante ad L.I. in questo giudizio, ma di aver evidenziato che la quota già appartenente a quest’ultima spettava, oltre che a M.P., anche alla sorella M., la quale intendeva unire il suo diritto a quello della zia L.A..

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha rilevato l’infondatezza del motivo al riguardo formulato dalle appellanti osservando che M.M. partecipava in giudizio in qualità di erede di L.I., concorrendo con il fratello M.P. a sostituire la defunta madre nella sua posizione nel processo, e che erano inammissibili, particolarmente in appello, domande ulteriori tese alla divisione dell’asse ereditario relitto dalla originaria attrice.

Orbene, pur dovendosi evidentemente convenire con le ricorrenti sul fatto che esse non hanno fatto richieste rispetto alla successione di L.I. deceduta nel corso del giudizio di primo grado, si rileva che la sentenza impugnata merita comunque conferma sulla base del decisivo rilievo che nel giudizio di primo grado non era stata formulata una richiesta di attribuzione congiunta in favore di M.M. e di L.A. di beni compresi nella comunione ereditaria, cosicchè il giudice di primo grado logicamente non aveva esaminato tale modalità di attuazione della divisione; pertanto la successiva domanda in tal senso proposta per la prima volta in grado di appello era ormai preclusa dal fatto che il Tribunale aveva correttamente proceduto allo scioglimento della divisione sulla base delle domande formulate dalle parti.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; non occorre procedere ad alcuna pronuncia in ordine alle spese di giudizio non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010

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