Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11635 del 07/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/06/2016, (ud. 12/04/2016, dep. 07/06/2016), n.11635

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.S., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’Avvocato ARIGLIANI PIERLUIGI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, C.F. (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5637/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/08/2014 R.G.N. 522/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2016 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA;

udito l’Avvocato ARIGLIANI PIERLUIGI;

udito l’Avvocato ROCCHITTA GIAMMARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO che ha concluso per inammissibilità in subordine rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello di C. S. avverso la sentenza del Tribunale di Roma, pubblicata il 13.11.2012, che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato il 26.10.2010 e la conseguente condanna del Ministero alla reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato ed al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

2 – La Corte territoriale ha premesso, in punto di fatto, che il procedimento disciplinare era stato avviato dopo il passaggio in giudicato della sentenza penale con la quale il C. era stato ritenuto colpevole del delitto p. e p. dagli artt. 81 e 317 c.p. perchè, abusando della qualità di impiegato della ragioneria del Ministero della Difesa, aveva indotto cinque amministrati richiedenti pensioni a versargli somme di denaro, con la minaccia di ritardi o sabotaggi delle relative pratiche. Di detti fatti l’amministrazione era venuta a conoscenza già nell’anno 1996, allorquando il Giudice per le indagini preliminari aveva emesso nei confronti del C. la misura cautelare dell’obbligo di dimora.

3 – In diritto la Corte ha rilevato che legittimamente il Ministero aveva ritenuto di attendere la definizione del processo penale prima di procedere alla contestazione, giacchè il CCNL 16.5.1995, applicabile ratione temporis, prevedeva, all’art. 25, comma 7, la sospensione del procedimento disciplinare fino alla sentenza definitiva in tutti i casi in cui i fatti disciplinarmente rilevanti fossero oggetto di accertamento nel processo penale e non fossero stati denunciati all’autorità giudiziaria dalla amministrazione, bensì da terzi.

Ha, quindi, escluso che il Ministero fosse tenuto a procedere alla contestazione entro venti giorni dalla prima notizia della pendenza del procedimento penale ed ha aggiunto che, in ogni caso, la violazione del termine previsto dall’art. 24, comma 2 non determinava l’invocata illegittimità del licenziamento, trattandosi di termine non perentorio.

Infine la Corte territoriale ha rilevato che la lettera di contestazione non deve contenere la indicazione delle norme di legge e di contratto violate, essendo sufficiente la descrizione dei fatti addebitati ed ha evidenziato che questi ultimi, accertati in sede penale, erano di gravità tale da giustificare il licenziamento senza preavviso sia ai sensi dell’art. 25 del CCNL 1995, sia alla luce della normativa sopravvenuta, ossia del CCNL 2007 e del D.Lgs. n. 150 del 2009.

4 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Sabatino C. sulla base di due motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo di ricorso C.S. denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 24, e s.s. del CCNL comparto ministeriale del 10.2.1995; ingiustizia manifesta; erronea applicazione del principio della conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro”. Richiama il principio della necessaria immediatezza della contestazione e rileva che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare la nota del 27.11.1996, con la quale lo stesso Ministero aveva ammesso di essere venuto a conoscenza dei fatti oggetto del procedimento penale già nell’anno 1996. Detta circostanza di fatto, pacifica ed incontroversa, doveva indurre a ritenere senz’altro tardiva la contestazione, in quanto intervenuta solo il 22.7.2010, a distanza di oltre quattordici anni.

Aggiunge che l’art. 24 del CCNL 1995 consente solo la sospensione del procedimento disciplinare, che deve essere comunque attivato con la contestazione dell’addebito, e non legittima l’amministrazione ad attendere l’esito del processo penale prima di assumere l’iniziativa disciplinare.

1.2 – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto; violazione del principio tempus regit actum”. Premette che le norme poste a fondamento del recesso dovevano essere richiamate già nella contestazione ed aggiunge che il licenziamento era stato intimato, in violazione del principio della irretroattività, in relazione a disposizioni entrate in vigore a distanza di anni dalla commissione dei fatti contestati.

2 – Il primo motivo è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che “il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi (Cass. S. U. 29.3.2013 n. 7931).

Nel caso di specie la Corte territoriale ha respinto il primo motivo di appello non solo perchè la amministrazione aveva correttamente interpretato ed applicato l’art. 25 del CCNL 16.5.1995, vigente nel momento in cui aveva avuto notizia della pendenza del procedimento penale, ma anche perchè “il termine generale di 20 giorni di cui all’art. 24, comma 2, per la contestazione disciplinare, non ha carattere perentorio ma ordinatorio e quindi la sua inosservanza non determina la nullità del successivo provvedimento di licenziamento”.

Il ricorso, pur insistendo sulla necessaria tempestività della contestazione e sulla erroneità della interpretazione data alle disposizioni contrattuali relative ai rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare, non spende alcun argomento per contestare la affermata natura ordinatoria del termine previsto dall’art. 24 del CCNL 1995 e le conseguenze che dalla stessa la Corte territoriale ha ritenuto di fare discendere, sicchè, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, anche la eventuale fondatezza delle censure formulate non potrebbe mai comportare la cassazione della sentenza, il cui decisum è comunque sorretto dalla affermata non perentorietà dei termine.

3 – A soli fini di completezza osserva il Collegio che la sentenza impugnata è conforme ai principi di diritto affermati da questa Corte che, chiamata a pronunciare in fattispecie analoga, ha evidenziato che “In tema di procedimento disciplinare nei rapporti di lavoro pubblico privatizzato, l’art. 25, commi 5 e 6, del contratto collettivo del comparto Ministeri del 16 maggio 1995 – il quale, nel prevedere che la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica per la commissione in servizio di gravi fatti illeciti di rilevanza penale per i quali sia fatto obbligo di denuncia e che l’Amministrazione inizi il procedimento disciplinare ed inoltri la denuncia penale, dispone che il procedimento rimane sospeso fino alla sentenza definitiva – deve essere interpretato nel senso che, laddove l’Amministrazione sia venuta a conoscenza di fatti illeciti penalmente rilevanti e sia tenuta per legge a denunciarli, essa è anche facoltizzata ad attivare subito il procedimento disciplinare, che rimane sospeso fino alla sentenza definitiva. Ne consegue che non viola la menzionata disposizione contrattuale l’Amministrazione che, notiziata dei “gravi fatti illeciti” con la denuncia di un terzo o venutane a conoscenza nel corso o all’esito del giudizio penale, abbia atteso l’esito del procedimento penale prima di avviare il procedimento disciplinare” (Cass. 10.3.2010 n. 5806).

Parimenti consolidato è il principio, richiamato dalla Corte territoriale, secondo cui “In tema di sanzioni disciplinari nei rapporti di lavoro pubblico privatizzato, il termine di venti giorni per la contestazione dell’addebito, previsto dall’art. 24, comma 2, del contratto collettivo del comparto Ministeri del 16 maggio 1995, non è perentorio, sicchè la sua inosservanza non comporta un vizio della sanzione finale, atteso che in un assetto disciplinare contrattualizzato gli effetti decadenziali non possono verificarsi in mancanza di una loro espressa previsione normativa o contrattuale, mentre la natura contrattuale dei termini induce a valutarne l’osservanza nella prospettiva del corretto adempimento di obblighi contrattuali, la cui mancanza è rilevante per gli effetti e nei limiti previsti dall’accordo delle parti e dai principi generali in materia di adempimento. Nè, in senso contrario, rileva l’aggiunta –

operata con l’art. 12 del c.c.n.l. del comparto Ministeri 2002-2005 –

di un nuovo comma 10, all’art. 24 del c.c.n.l. del 1995, con il quale è stata attribuita natura perentoria anche al termine iniziale del procedimento disciplinare, dovendosi ritenere, attesa la mancanza di ogni riferimento all’avvenuta insorgenza di controversie di carattere generale sull’interpretazione della norma collettiva, che la nuova disposizione non costituisca norma pattizia di interpretazione autentica, di portata sostitutiva della clausola controversa con efficacia retroattiva, ma integri una modifica, come tale operante soltanto in riferimento alle vicende successive all’entrata in vigore del c.c.n.l. con il quale è stata pattuita.” (Cass. 9.3.2009 n. 5637 e negli stessi termini Cass. 10.3.2010 n. 5806, Cass. 11.4.2013 n. 8850, Cass. 2.12.2015 n. 24529).

4 – Anche il secondo motivo è inammissibile perchè non coglie le ragioni del decisum e, quindi, svolge argomentazioni non specificamente riferibili alla sentenza impugnata (Cass. 3.8.2007 n. 17125).

La Corte territoriale, infatti, dopo avere sottolineato la non chiara intelligibilità del motivo di appello proposto avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva escluso qualsiasi vizio della contestazione disciplinare, ha evidenziato che nella contestazione i fatti erano stati compiutamente descritti, con la precisione che gli stessi costituivano “gravissimo illecito disciplinare per violazione degli obblighi inerenti lo status di pubblico dipendente”.

Ha aggiunto che detti fatti “a termini dell’art. 25 CCNL ’95 giustificano il licenziamento senza preavviso; nessun vizio può desumersi dalla menzione anche delle successive disposizioni del CCNL ’07 e del D.Lgs. n. 150 del 2009, a ribadire che i fatti addebitati costituiscono illecito disciplinare giustificante il recesso per giusta causa anche secondo le successive fonti normative”.

Il motivo, con il quale si denuncia la violazione del principio della irretroattività, non svolge argomentazioni idonee a contrastare la motivazione della sentenza impugnata, fondata, invece, sulla affermata applicabilità del CCNL vigente nell’anno 1996 (ossia all’epoca della consumazione del reato), che prevedeva il licenziamento senza preavviso per la “commissione in servizio di gravi fatti illeciti di rilevanza penale”.

5 – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico di C.S. nella misura indicata in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente principale.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2016

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