Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11633 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/05/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 04/05/2021), n.11633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24505/2015 proposto da:

S.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCELLO GRECO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI MESSINA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MESSINA 30, presso lo studio dell’avvocato ENRICO CARATOZZOLO, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

P.F., M.S., PA.AG., T.C.;

– intimati –

e contro

UFFICIO REGIONALE DEL LAVORO DI MESSINA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1514/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 27/10/2014 R.G.N. 1498/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2020 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ENRICO CARATOZZOLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.G., dapprima inserito al 13 posto della graduatoria degli aventi diritto all’avviamento al lavoro formata a seguito della selezione pubblica per la copertura di 17 posti di operatore tecnico di IV livello retributivo bandita dall’AUSL n. (OMISSIS) di Messina e quindi avviato al lavoro, era stato successivamente cancellato dalle liste di collocamento per la valutata insussistenza del possesso di taluni requisiti e pertanto dichiarato decaduto dallo status di vincitore di detta selezione pubblica.

Aveva, di conseguenza, convenuto in giudizio l’Ufficio Regionale del Lavoro, l’Azienda ed i controinteressati avviati dall’Ufficio a selezione in luogo (tra gli altri) dello S., per sentir dichiarare il suo diritto al mantenimento dell’iscrizione nelle liste di collocamento, all’avviamento ed all’assunzione, con risarcimento del danno esistenziale, non patrimoniale e biologico quantificato in misura non inferiore ad Euro 250.000,00.

La cancellazione in questione era stata disposta in data 21/7/1999 ai seni della L. n. 56 del 1987, art. 10, comma 1, lett. A, ritenendo l’Ufficio che lo S. non rivestisse la posizione richiesta dal legislatore, bensì quella di lavoratore autonomo.

Con successiva nota dell’AUSL n. (OMISSIS) di Messina del 18/8/1999 era stato avviato nei confronti dello S. il procedimento per la decadenza dallo status di vincitore della selezione.

Instaurato anche un procedimento penale nei confronti dello S., era stata disposta in data 13/1/2000 l’archiviazione dello stesso sulla base della pronuncia della Corte Cost. n. 65 del 1999 (secondo cui nel concetto di “disoccupazione non piena” va ricompresa anche la situazione di chi svolga lavoro autonomo di carattere non occasionale qualora non vi sia il superamento del limite reddituale di cui al D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 4) ed era stata altresì revocata da parte dell’Ufficio provinciale del lavoro di Messina la cancellazione del predetto dalle liste di collocamento.

Il Tribunale di Messina, in parziale accoglimento della domanda, dichiarava il diritto dello S. all’iscrizione nelle liste di collocamento a far data dalla prima iscrizione (1985), ma respingeva la domanda nei confronti dell’AUSL valorizzando la circostanza che il predetto, con sentenza n. 43 del 1995, era stato dichiarato fallito e, pertanto, non poteva essere avviato al lavoro presso una pubblica amministrazione.

La pronuncia era confermata dalla Corte d’appello di Messina che, per quanto rileva nel presente giudizio, evidenziava che all’atto dell’avviamento al lavoro, in data 28/1/1999, lo S. risultava già dichiarato fallito da un quadriennio e che tale circostanza era impeditiva dell’assunzione presso la p.a.; richiamava, al riguardo, la previsione di cui al D.P.R. 29 marzo 1967, n. 223, art. 2, comma 3 e quella di cui al D.P.R. 10 gennaio 1957, art. 2, comma 2.

2. Per la cassazione della sentenza S.G. ha proposto ricorso con tre motivi il primo dei quali articolato in più punti.

3. L’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina ha resistito con controricorso.

4. L’Ufficio Regionale del Lavoro di Messina con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato ha solo depositato atto di costituzione al fine di partecipare all’udienza di discussione.

5. Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, articolato in più punti, il ricorrente denuncia: – violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 marzo 1967, n. 223, art. 2, comma 1, n. 2, in relazione al D.P.R. 10 gennaio 1957, art. 2; violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 487 del 1994, artt. 1,23,24 e 30, in tema di Regolamento di Accesso agli impieghi presso le Pubbliche Amministrazioni e delle leggi n. 56 del 1987 e n. 5 del 1968 in tema di assunzioni nel pubblico impiego mediante gli uffici circoscrizionali; – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 e 345 c.p.c., per errata e contraddittoria motivazione; – violazione e falsa applicazione dei principi di cui alla L. n. 241 del 1990, sul procedimento amministrativo ed in particolare quelli in tema di apertura, motivazione e revoca e/o annullamento (oggi L. n. 241 del 1990, artt. 2,3,21 quinquies o octies); – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per errata e/o omessa valutazione del materiale probatorio offerto in primo e secondo grado con travisamento dei fatti; violazione e falsa applicazione di norme di diritto per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

In sintesi, censura la sentenza impugnata per non aver considerato che l’unica ragione dell’esclusione dello S. dalle liste di collocamento, posta a base della successiva esclusione dalla graduatoria utile all’assunzione presso l’AUSL, era stata l’insussistenza dei requisiti di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 10, comma 1, lett. a), poi venuta meno per effetto della pronuncia della Corte Cost. n. 65/1999.

Rileva che l’Azienda per disporre l’esclusione dello S. (nei confronti del quale lo stesso Ufficio del lavoro aveva ritenuto insussistente alcun impedimento ai fini dell’iscrizione nelle liste di disoccupazione e di collocamento), sulla base di una ragione diversa avrebbe dovuto avviare un nuovo procedimento ex L. n. 241 del 1990.

Evidenzia che la circostanza dell’intervenuto fallimento era stata dedotta solo nel corso del giudizio senza che mai fosse emersa in sede di procedimento amministrativo.

Assume che, in ogni caso, tale circostanza (temporanea in quanto limitata a cinque anni) non sarebbe stata impeditiva della stipula del contratto di lavoro (nella specie, inoltre, il fallimento era stato chiuso in data 23/10/2000) e richiama anche l’intervenuta abrogazione dell’art. 2, comma 1, lett. a), del Testo Unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali, di cui al D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223 ad opera del D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 152, comma 1 lett. a).

Sostiene che l’inserimento (melius reinserimento) nelle liste di collocamento avrebbe dato diritto all’avviamento al lavoro e deduce che il possesso dei requisiti andava accertato al momento dell’assunzione.

Assume che i giudici del merito avevano violato le norme processuali richiamate in rubriche pronunciando su eccezione non proposta.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2932 c.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 2,51 e 63.

Sostiene che il giudice del merito avrebbe dovuto emettere sentenza costitutiva del rapporto di impiego e condannare l’amministrazione al risarcimento del danno patrimoniale, pari alle retribuzioni maturate dalla data dell’avviamento ad oggi, e non patrimoniale, da liquidare anche facendo ricorso a presunzioni e alla comune esperienza.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c., perchè le domande dovevano essere accolte ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese di lite.

4. Il primo motivo è infondato.

4.1. Si rilevano innanzitutto profili di inammissibilità laddove sono dedotti errores in procedendo.

Il ricorrente, infatti, non ha trascritto gli atti processuali rilevanti e, quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c., si è solo limitato ad argomentare sulla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato senza alcun riferimento alle conseguenze che l’errore sulla legge processuale avrebbe comportato, vale a dire alla nullità della sentenza e/o del procedimento (v. ex multis Cass. 7 maggio 2018, n. 10862; Cass. 28 settembre 2015, n. 19124; Cass. 31 ottobre 2013, n. 24553).

4.2. Del tutto improprio è, poi, il riferimento alla L. n. 241 del 1990.

Come è noto, infatti, in materia di pubblico impiego privatizzato va esclusa la necessità dell’osservanza del procedimento prescritto dalla L. n. 241 del 1990 e l’applicazione dei vizi dell’atto amministrativo.

Ove l’amministrazione abbia ritenuto, re melius perpensa, di far valere una condizione ostativa all’instaurazione del rapporto di impiego, la relativa scelta non costituisce esercizio di un potere amministrativo di autotutela, inconcepibile rispetto ad atti di diritto privato, ma determinazione avente mera natura conformativa rispetto all’ordinamento dei pubblici dipendenti contrattualizzati, in quanto anche in tali rapporti, la pubblica amministrazione è tenuta a conformare la propria condotta alla legge, nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost. e ben può sottrarsi unilateralmente all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell’atto illegittimo ed in tal caso può far valere la nullità e rifiutare l’esecuzione del contratto qualora il vizio renda il negozio assolutamente improduttivo di effetti giuridici (v. in tal senso Cass. 25 giugno 2019, n. 17002; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25019; Cass. 26 febbraio 2016, n. 3826; Cass. 1 ottobre 2015, n. 19626; Cass. 8 aprile 2010, n. 8328).

L’indicata nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice (cfr. Cass. n. 17002/2019 cit.; v. anche Cass. 29 luglio 2019, n. 20416; Cass. 27 novembre 2019, n. 30992; Cass. 10 luglio 2020, n. 14809) tanto più laddove, come nella fattispecie, la stessa abbia formato oggetto di prospettazione delle parti.

4.3. Nello specifico, in tale ordinamento, vige del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 2, che prescrive i requisiti di accesso all’impiego statale, espressamente richiamato, per le assunzioni in ambito sanitario, dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 10 (si veda l’art. 10 che, al comma 1, prescrive: “Per l’ammissione agli impieghi si applicano, salvo quanto previsto dal presente decreto, le norme vigenti per i dipendenti civili dello Stato di cui al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e successive integrazioni e modificazioni”).

Tra i requisiti generali l’indicato art. 3, prevede l’impossibilità di accesso agli impieghi per coloro che siano esclusi dall’elettorato attivo politico nonchè per coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione.

Il D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, art. 2, comma 1, lett. a), (come modificato), ricalcando del T.U. 7 ottobre 1947, n. 1058, art. 2, stabiliva che: “… non sono elettori coloro che sono stati dichiarati falliti, finchè dura lo stato di fallimento, ma non oltre cinque anni dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento…”, con ciò collocando la temporanea perdita del diritto di elettorato, nel novero delle “incapacità stabilite dalla legge”, di cui del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 50, comma 3.

La suddetta lett. a), ratione temporis applicabile alla vicenda per cui è causa, è stata abrogata dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 152, comma 1, lett. a).

Nè può ritenersi che la stessa fosse suscettibile di disapplicazione per effetto del neointrodotto regime di cui alla contrattazione collettiva, atteso che il relativo meccanismo opera solo per le materie riservate a tale contrattazione tra cui non rientra quella dei requisiti per l’accesso all’impiego.

Del resto, come precisato anche dal giudice delle leggi (v. Corte Cost. n. 203 del 1995, n. 197 del 1993, n. 16 del 1991, nn. 158 e 40 del 1990), nell’accesso al pubblico impiego occorre che i requisiti soggettivi siano definiti in termini univoci dal legislatore; perchè il riconoscimento, in ipotesi, di un’ampia discrezionalità alla pubblica amministrazione, in questo campo, rischierebbe di compromettere i principi di eguaglianza e di buon andamento.

4.4. Ed allora correttamente la Corte territoriale ha ritenuto sussistente una circostanza impeditiva dell’assunzione dello S. presso la pubblica amministrazione considerando che lo stesso, all’atto dell’avviamento al lavoro, in data 28/1/1999, risultava già fallito da un quadriennio (la sentenza dichiarative del fallimento era del 23/10/1995), irrilevante essendo che la cancellazione dalle liste del collocamento e dalla graduatoria per l’avviamento a selezione fosse stata disposta per una ragione diversa.

5. Il rigetto del primo motivo determina l’assorbimento degli altri.

6. La regolamentazione delle spese nei confronti dell’ASP di Messina segue la soccombenza.

Nulla va disposto per le spese nei confronti delle parti che non hanno svolto attività difensiva.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’ASP di Messina, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%; nulla per le spese nei confronti dell’Ufficio Regionale del Lavoro di Messina e degli altri intimati.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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