Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1163 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 23/06/2020, dep. 21/01/2021), n.1163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24421-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

SATI STUDI E APPLICAZIONI INDUSTRIALI SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1418/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 16/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE.

Per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Catania n.

1418/2013 depositata il 16.7.2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20 giugno 2020 dal relatore cons. Francesco Mele.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza del 31.8.2005, il Tribunale di Catania accoglieva la domanda introdotta con atto di citazione da S.A.T.I. Studio e Applicazioni Industriali srl nel contraddittorio con il Ministero delle Finanze, atto nel quale esponeva di avere ricevuto la notifica di sei inviti di pagamento emessi dalla Dogana di Catania, per la complessiva somma di Lire 3.085.616.490, unitamente a sei atti di accertamento e rettifica (tutti datati (OMISSIS)), in cui si contestava la falsità del certificato di importazione AGRIM FR A 2022201 rilasciato dall’ODEADOME (Ufficio Sviluppo dell’Economia Agricola del Dipartimento d’Oltre mare) di Parigi, per ottenere la liquidazione dei dazi sulle banane in misura ridotta; lamentava in particolare la società istante la mancanza di prova della falsità della menzionata documentazione, la propria buona fede nell’acquisto della merce da un soggetto terzo e che incombeva in capo alla amministrazione l’onere di fornire la prova della propria pretesa;

Avverso detta sentenza proponeva appello il Ministero, con l’intervento dell’Agenzia delle Dogane (quest’ultima divenuta operativa – al pari delle altre agenzie fiscali – a far tempo dall’1.1.2001, in forza di successione a titolo particolare nel diritto controverso ai sensi dell’art. 111 c.p.c.);

Il ministero riproponeva la questione -disattesa in primo grado- della propria carenza di legittimazione passiva;

Nel merito l’appello si incentrava sulla erroneità della sentenza impugnata per avere ritenuto non provata la falsità dei certificati di importazione AGRIM;

La corte d’appello rigettava l’appello proposto dal Ministero e dall’Agenzia delle Dogane, interveniente, e condannava parte appellante al pagamento delle spese di lite;

Per la cassazione di tale sentenza l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso, affidato a tre motivi.

La società, intimata, non si è costituita;

Il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Trattato il ricorso alla udienza camerale del 4 aprile 2019, è stata disposta, in via pregiudiziale, la integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero delle Finanze, parte del giudizio, rispetto alla quale la sentenza non è stata impugnata; incombente che veniva onorato ritualmente dalla Agenzia delle Dogane.

Il Ministero non si è costituito.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Occorre, in via preliminare, dare conto del fatto che la notifica del ricorso al domiciliatario – successiva alla prima non andata a buon fine – è stata rinnovata tardivamente; tuttavia il rapporto processuale risulta essere stato regolarmente instaurato con la notifica alla sede della parte, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, che contempla un concorso alternativo dei luoghi presso i quali può essere effettuata la notifica (così cass. 34252/2019).

– Operata questa premessa, è ora possibile procedere all’esame del ricorso.

– Con il primo motivo, l’Agenzia ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c. – Nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4)”.

Lamenta la ricorrente che la sentenza impugnata, pur inquadrando la fattispecie nell’art. 111 c.p.c., non abbia fatto discendere da tale premessa le doverose conseguenze in diritto, pure sollecitate: carenza di legittimazione passiva in capo al Ministero ed estromissione del Ministero medesimo dal giudizio.

Il motivo non è ammissibile per carenza di interesse in capo alla ricorrente avuto riguardo alla sovrapponibilità, sul piano giuridico, dei due soggetti in questione (Ministero delle Finanze e Agenzia delle Dogane), di talchè una eventuale estromissione o meno del Ministero dal giudizio è circostanza dalla quale non discende effetto di sorta – nè di segno positivo nè di segno negativo- nei confronti dell’Agenzia.

– Il secondo motivo reca: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 e ss. c.c., del Reg. CE 13 marzo 1997, n. 515, artt. 12 e 16 e del Reg. CE 25 maggio 1999, n. 1073, art. 9 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.).

La ricorrente si duole che la corte territoriale abbia ritenuto non ammissibile la produzione in giudizio del rapporto (OMISSIS) del (OMISSIS), così escludendo – erroneamente, a dire dell’Agenzia – che fosse stata raggiunta la prova della falsità dei certificati AGRIM.

Il motivo è fondato, perchè, innanzi tutto, appare effettivamente violata la disposizione di cui all’art. 345 c.p.c..

Occorre prendere le mosse dal quadro normativo: l’art. 345 c.p.c., comma 3 – nella formulazione vigente ratione temporis – recava il seguente testo: “Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per cause ad essa non imputabili. Può sempre disporre il giuramento decisorio”.

Secondo la corte catanese “…. la pretesa della parte appellante di introdurre in questa sede il “nuovo documento” ovverosia il rapporto OLAF allegato all’atto di appello si colloca del tutto al di fuori dell’ambito della indispensabilità, nella accezione individuata dal Supremo Collegio…”; nè il documento de quo avrebbe potuto trovare ingresso nel giudizio di appello “…neanche in base all’assunto che si tratterebbe di “documento nuovo” che, come sostenuto dall’amministrazione appellante, si sarebbe formato dopo la decisione di primo grado”, atteso che proprio dal contenuto del documento “si evince indiscutibilmente che invece preesisteva alla data di incardinamento del giudizio dinanzi al tribunale”, da tutto ciò discendendo che “….la produzione per la prima volta in questo grado del rapporto OLAF non può essere consentita alla luce del divieto di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3”.

Osserva il collegio che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la Corte di Cassazione a sezioni unite ha affermato il seguente principio, al quale, nella odierna controversia, intende il collegio attenersi: “Nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie di primo grado” (sentenza n. 10790 del 4.5.2017).

In ogni caso – come rilevato dalla ricorrente – la relazione OLAF è stata redatta a conclusione dell’istruttoria penale condotta dai magistrati francesi con riguardo alla importazione di banane accompagnata da falsi certificati AGRIM e contiene, come allegato, copia dell’ordinanza di rinvio a giudizio in data 15.2.2006 (data successiva alla sentenza del tribunale di Catania che è del 31.8.2005). Si legge, tra l’altro, nella relazione in parola che “…. i certificati AGRIM FR, già originariamente indicati come contraffatti sono stati confermati in sede giudiziaria come materialmente falsi e che in particolare il certificato AGRIM emesso in data (OMISSIS) con il n. (OMISSIS), per la quantità di (OMISSIS) tonnellate di banane, cedente S.- B., cessionario SATI ed acquirente A.B., è materialmente falso”.

Detto della violazione dell’art. 345 c.p.c., in cui è incorsa la corte territoriale, si ritiene che anche la restante parte del mezzo di ricorso sia fondato.

Il Reg. CE n. 515 del 1997, art. 16, stabilisce che le informazioni fornite da uno Stato membro ad un altro Stato membro possono essere invocate dagli organi competenti di quest’ultimo come elementi di prova; si tratta di norma di rango comunitario, di immediata efficacia nel nostro ordinamento e prevalente su qualsiasi altra disposizione con essa incompatibile (cass. n. 18139 dell’1.7.2009).

Il Reg. Ce n. 1073 del 1999, art. 9 – per ultimo – ha per oggetto le indagini svolte da OLAF, i cui accertamenti hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari, tanto che possono essere posti, anche da soli, a fondamento degli avvisi di accertamento (cass. nn. 17034/2013; 16343/2013; 5892/2013).

– Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 652 e 654 c.p.p. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.)”.

– La doglianza contenuta in tale motivo è fondata e va pertanto accolta per le ragioni che di seguito si espongono.

La censura ha per oggetto la parte della sentenza impugnata che non ha riconosciuto rilevanza probatoria alla sentenza penale n. 318/2006 del tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale. La corte territoriale ha escluso la rilevanza – all’interno del giudizio celebratosi dinanzi ad essa in appello – della menzionata sentenza a ragione del fatto che il legale rappresentante della società contribuente, B.M., era stato assolto dal reato ascrittogli (condotta collegata all’impiego di certificati AGRIM, falsi): da qui la ritenuta – dalla corte catanese – nessuna rilevanza probatoria attribuibile alla sentenza penale, contenente una pronuncia “di assoluzione del soggetto odierna parte in causa”.

– Ciò premesso e precisato che parte dell’odierno giudizio è la SATI srl (società della quale il B.M. è il rappresentante legale), il collegio rileva che la sentenza impugnata ha, da un lato, mandato assolto il predetto dal reato ascrittogli per non avere commesso il fatto (così escludendo che il medesimo abbia partecipato alla condotta di falso e di ricettazione di titoli falsi), mentre, dall’altro, ha riconosciuto la falsità oggettiva dei titoli (circostanza decisiva nella odierna controversia) ed ha ravvisato la responsabilità di B.A., definito il “reale amministratore” della SATI.

– Conclusivamente, la sentenza impugnata ha erroneamente applicato l’art. 652 c.p.p. che attiene all’efficacia della sentenza penale di assoluzione nei giudizi civili o amministrativi per le restituzioni e il risarcimento del danno.

– Per le ragioni esposte, vanno accolti i motivi secondo e terzo, inammissibile il primo; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il secondo e il terzo motivo, inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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