Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11628 del 07/06/2016

Cassazione civile sez. lav., 07/06/2016, (ud. 12/04/2016, dep. 07/06/2016), n.11628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2561-2015 proposto da:

C.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE U. TUPINI 113, presso lo studio dell’avvocato

NICOLA CORBO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO PER LA RICERCA E LA SPERIMENTAZIONE IN AGRICOLTURA;

– intimato –

nonchè da:

CONSIGLIO PER LA RICERCA E LA SPERIMENTAZIONE IN AGRICOLTURA, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1187/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 11/11/2014 R.G.N. 1427/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato CORBO NICOLA;

udito l’Avvocato GIACOBBE DANIELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

assorbito ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Salerno resa in sede di opposizione ad ordinanza del medesimo giudice, rigettava la domanda di C.G., proposta nei confronti del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli dal predetto Consiglio.

A base del decisum, e per quello che interessa in questa sede, la Corte del merito poneva, innanzitutto, il fondante rilievo che, nella specie,dovevano ritenersi rispettati i termini del procedimento disciplinare di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis e tanto tenuto conto della intervenuta sospensione, disposta ai sensi del richiamato art. 55, del predetto procedimento. Nel merito, poi, la Corte distrettuale considerava, ex sentenza penale n. 414 del 2011 della Corte di Appello di Salerno, sussistenti gli estremi della incolpazione di cui al capo c) della contestazione e giustificato il licenziamento per aver tenuto il C. un comportamento manifestante una preoccupante attitudine a commettere reati violenti lesivo dell’immagine della P.A. Sottolineava, infine, la Corte distrettuale, che la riammissione in servizio ope iudicis producendo effetti meramente caducatori del provvedimento espulsivo non poteva che determinare il ripristino con effetti ex tunc del rapporto di lavoro e conseguentemente la P.A. ben avrebbe potuto prendere in considerazione la violazione dell’obbligo di fedeltà e del divieto di svolgere attività lavorative ulteriori con riferimento al periodo antecedente il predetto ripristino del rapporto di lavoro.

Avverso questa sentenza il C. ricorre in cassazione sulla base di tre censure.

Resiste con controricorso la parte intimata che a sua volta propone impugnazione incidentale condizionata sostenuta da due censure.

Il C. deposita note di replica alle conclusioni del P.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale il C., deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 54 e ss, sostiene l’erroneità della sentenza impugnata per non aver tenuto conto, nella verifica del rispetto dei termini del procedimento disciplinare, che la sospensione di detto procedimento non gli è stata mai comunicata con conseguente irrilevanza di detta sospensione e, quindi, violazione dei predetti termini.

La censura è infondata.

Invero, come sottolineato, dalla Corte del merito la richiamata normativa non prevede alcuna comunicazione al dipendente della sospensione del procedimento disciplinare.

Nè un onere di tal genere a carico della P.A. è desumibile dalla complessiva disciplina regolante il procedimento disciplinare poichè trattandosi di normativa procedimentale prevedente specifici termini e decadenze è di stretta interpretazione sicchè non può, certamente, ritenersi sussistente in via di deduzione un onere del genere implicante tra l’altro la decadenza da parte della P.A. dall’azione disciplinare.

Del resto le comunicazioni che devono essere fatte al dipendente sono espressamente specificate nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, sicchè in mancanza di una espressa previsione della comunicazione della sospensione del procedimento disciplinare, questa non può essere meramente desunta. D’altro canto non è ravvisabile, e non è allegato, nella mancanza di questa previsione, alcuna violazione del diritto di difesa, considerato anche che la sospensione del procedimento disciplinare è posta a favore dell’incolpato e non certo della P.A..

Con la seconda censura del ricorso principale il C., denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 54 e ss, sostiene che la sentenza impugnata è errata per aver i giudici di appello ritenuto che la contestazione di addebito al C. fosse idonea a giustificare il licenziamento, mentre non lo era affatto in quanto carente del requisito della specificità.

Assume al riguardo il C., richiamando il capo d’incolpazione sub c), che non vi è coincidenza dell’incolpazione con la fattispecie sanzionatoria e sostiene che il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura non ha proceduto ad una analitica e specifica contestazione dei fatti addebitati e delle norme sanzionatorie applicabili con conseguente lesione del diritto di difesa.

La censura non può essere accolta.

Invero tutte le questioni di cui al motivo in esame non risultano trattate nella sentenza impugnata ed il C. in violazione del principio di specificità del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 non allega in maniera circostanziata in quale atto processuale del giudizio di merito siffatte questioni sono state sollevate ed in quali termini sicchè le stesse vanno considerate sollevate per la prima volta solo nel giudizio di legittimità e come tali sono inammissibili.

Infatti secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte qualora una determinata questione giuridica non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).

D’altro canto devesi comunque rilevare che la contestazione di cui trattasi, alla stregua di quanto riportato nel ricorso principale, fa riferimento alle condotte suscettibili di nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione in violazione dell’art. 2, comma 2, del D.P.C.M. 28 novembre 2000 recante il codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

La Corte del merito nel valutare la giustificatezza del licenziamento sotto il profilo in esame ritiene che trattasi di un comportamento gravissimo che integra violazione palese dell’art. 2 del detto D.P.C.M., emesso ai sensi del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 58 bis, come statuito dal D.Lgs. n. 80 del 1997, art. 27 il quale prevede che “il dipendente… non svolge alcuna attività che contrasti con il corretto adempimento dei compiti di ufficio e si impegna ad evitare situazioni e comportamenti che possono nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione”. E proprio sulla violazione di tale divieto che la Corte del merito esprime la valutazione della predetta giustificatezza.

Il dictum della sentenza impugnata si fonda, pertanto, sulla stretta correlazione tra incolpazione e sanzione.

Con la terza critica il ricorrente principale, allegando violazione falsa applicazione di tutte le norme rubricate in precedenza censura la sentenza impugnata nella parte in cui si è ritenuto, con riferimento al capo d’incolpazione di cui alla lettera d), la relativa eventuale rilevanza stante, per effetto del provvedimento giudiziale, il ripristino con effetti ex tunc del rapporto di lavoro.

La critica rimane assorbita per la non decisività della questione sollevata atteso che la Corte del merito fonda il suo decisum sul diverso capo d’incolpazione sub lettera c).

Il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente principale per il principio della soccombenza. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso e della non ricorrenza di detti presupposti per il ricorrente incidentale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale e condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso e della non ricorrenza di detti presupposti per il ricorrente incidentale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2016

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