Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11627 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. II, 04/05/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 04/05/2021), n.11627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26578/2019 R.G. proposto da:

D.S., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Civitanova Marche, alla via

Fermi, n. 3, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Lufrano, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 252/2019 della Corte d’Appello di Ancona;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 15 dicembre 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. D.S., cittadino del Senegal, originario della regione del Casamance, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che era stato costretto a lasciare il Senegal; che taluni ribelli lo avevano minacciato, giacchè pretendevano la sua adesione al loro gruppo, gruppo del quale già suo padre aveva fatto parte; che su iniziativa dei ribelli aveva subito due rapine nel locale ove svolgeva la sua attività commerciale.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con ordinanza del 4.2.2018 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso.

4. D.S. proponeva appello. Resisteva il Ministero dell’Interno.

5. Con sentenza n. 252/2019 la Corte di Ancona rigettava il gravame.

Evidenziava la corte che le dichiarazioni dell’appellante erano del tutto generiche ed incongrue – segnatamente con riferimento alle rapine di cui asseriva esser stato vittima – sicchè erano da reputare senz’altro inattendibili.

Evidenziava altresì che il report di “Amnesty International” per gli anni 2017/2018 dava conto, con riferimento alla regione di origine dell’appellante, di situazioni di conflitto di minore intensità rispetto al passato, sicchè era da negare la sussistenza di situazioni di violenza indiscriminata.

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava in particolare, nel quadro della debita valutazione comparativa, che, qualora rimpatriato, l’appellante non si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità in considerazione, per un verso, del mancato riscontro, in difetto di allegazioni al riguardo, di un suo effettivo radicamento nel contesto socioeconomico italiano, in considerazione, per altro verso, dell’inattendibilità delle sue dichiarazioni, in considerazione, per altro verso ancora, della situazione esistente in Senegal, tale da non comportare il pericolo di menomazione dei diritti fondamentali.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.S.; ne ha chiesto sulla base di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente, ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Deduce che ha errato la corte di merito a disconoscere, in maniera del tutto disancorata da informazioni di sorta, la sussistenza nel Casamance di situazioni di violenza indiscriminata; che nella regione senegalese di cui è originario, tuttora si registrano scontri violenti.

8. Con il secondo motivo (erroneamente indicato con il n. 3) il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Deduce che la corte distrettuale ha del tutto genericamente disconosciuto i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Deduce che è inserito nel contesto socioeconomico italiano, ha una stabile occupazione e percepisce una regolare retribuzione che gli consente di condurre una esistenza dignitosa.

9. I rilievi, che la delibazione dei motivi di ricorso postula, tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea degli esperiti mezzi di impugnazione, mezzi che, in ogni caso, sono da dichiarare inammissibili.

10. In tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

11. I profili di doglianza – specificamente veicolati dal secondo motivo – afferenti alla protezione umanitaria recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, senza dubbio, pur in parte qua, la corte territoriale ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente asilo.

12. Negli esposti termini dunque ambedue i motivi di ricorso si qualificano alla stregua della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

13. In quest’ottica si evidenzia quanto segue.

Innanzitutto il giudizio di appello ha avuto inizio nel 2018.

Altresì la statuizione di seconde cure ha integralmente confermato la statuizione di prime cure.

Conseguentemente si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (al riguardo si veda Cass. 22.12.2016, n. 26774).

14. In ogni caso si evidenzia ulteriormente quanto segue.

Da un canto, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte marchigiana ha ancorato il suo dictum.

D’altro canto, la Corte di Ancona ha sicuramente disaminato i fatti decisivi caratterizzanti, in partis quibus, la res litigiosa.

15. Due finali notazioni si impongono.

16. Da un lato, i profili di censura veicolati dal primo mezzo sono generici.

Difatti questa Corte spiega che, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037).

17. Dall’altro, i profili di censura veicolati dal secondo mezzo sollecitano questa Corte al riesame delle risultanze di causa.

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

18. Il Ministero dell’Interno di fatto non ha svolto alcuna difesa. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

19. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

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