Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11625 del 04/05/2021

Cassazione civile sez. II, 04/05/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 04/05/2021), n.11625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27418/2019 proposto da:

M.K., rappresentato e difeso dall’avvocato ROSALIA BENNATO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 6697/2019 del TRIBUNALE di

MILANO, depositato il 22/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.K. – cittadino del (OMISSIS) – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Milano avverso la decisione della locale Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essersi dovuto allontanare dal suo Paese – prima per la Libia e quindi per l’Italia – per poter provvedere ai bisogni economici della sua famiglia e per restituire il debito contratto per pagare le cure mediche della madre.

Il Tribunale di Milano ebbe a rigettare l’opposizione, ritenendo bensì credibile il racconto reso dal M. ma non concorrente alcuna forma di persecuzione tutelata dalla normativa sulla protezione internazionale; osservando che non concorreva situazione socio-politica di violenza generalizzata in Bangladesh e ritenendo che, nemmeno con riguardo alla protezione umanitaria, il ricorrente aveva dedotto elementi fattuali che consentivano l’accoglimento di detto tipo di protezione – non vulnerabile ed attività lavorativa svolta nel circuito dell’accoglienza -.

Avverso detto decreto il M. ha proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi.

Il Ministero degli Interni è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dal M. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17 -.

In limine deve rilevare la Corte come la notifica del ricorso al Ministero degli Interni sia nulla in quanto effettuata presso l’Avvocatura dello Stato di Milano anzichè, come dovuto, presso l’Avvocatura Generale di Roma – Cass. SU n. 608/15 -.

Tuttavia non appare necessario disporre la nuova notificazione del ricorso, a sanatoria della nullità rilevata, in ossequio al canone del giusto processo in tempi ragionevoli, poichè il ricorso comunque va dichiarato inammissibile.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione del disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, commi 8, 9, 10 e 11, poichè il Collegio ambrosiano non ha provveduto a sua nuova audizione pur in assenza della videoregistrazione del suo colloquio reso in sede amministrativa, poichè così previsto dalle norme indicate siccome violate.

La censura appare manifestamente priva di pregio e scorrelata rispetto alle indicazioni al riguardo presenti nel decreto impugnato.

Difatti il Tribunale dà appositamente atto di aver fissato la prescritta udienza per sentire le parti, poichè non eseguita la videoregistrazione, e che detta udienza ebbe regolarmente a svolgersi.

La fissazione dell’udienza in questione è l’unica formalità prevista dalla legge in difetto di videoregistrazione, e solo l’inosservanza di detto precetto è sanzionata dalla nullità, siccome prescrive l’insegnamento di questo Supremo Collegio evocato dal ricorrente.

Dunque manifestamente il disposto di legge è stato rispettato ed era onere dell’interessato presenziare a detta udienza e rendere tutte le dichiarazioni ritenute opportune alla sua difesa.

Con la seconda doglianza il M. deduce violazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, comma g), artt. 3 e 14, nonchè D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Con il terzo mezzo d’impugnazione il ricorrente lamenta omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Le due censure possono esser esaminate unitariamente posto che anche il ricorrente articola argomento critico unitario, in quanto lamenta che il Tribunale abbia valutato la situazione socio-politica del Bangladesh sulla scorta di informazioni superficiali e generiche senza attivare il suo potere officioso istruttorio e che abbia, altresì, omesso di considerare vari indici di sua vulnerabilità in relazione alla disparità di condizioni di vita in Italia ed in Patria, secondo i parametri desumibili dalle norme convenzionali e legislative a regolamento di dette materie.

Infine il ricorrente lamenta che il Tribunale trascurò le vicissitudini da lui patite in Libia ed ebbe, così, a erroneamente rifiutare il riconoscimento almeno della protezione umanitaria.

Ambedue le censure proposte appaiono generiche eppertanto inammissibili. Difatti il Collegio ambrosiano ha puntualmente esaminato l’attuale situazione socio-politica del Bangladesh sulla scorta di indicati rapporti, elaborati da Organizzazioni internazionali all’uopo preposte, e partitamente illustrato le ragioni in base alle quali ha concluso che in Bangladesh, pur in presenza di criticità, tuttavia la situazione socio-politica non è connotata da violenza diffusa secondo l’accezione data a tale concetto dalla Corte Europea.

Inoltre il primo Giudice ha sottolineato come il narrato reso dal M. lumeggiava come l’espatrio non era conseguenza di alcuna persecuzione, bensì risultava fondato su una opzione di natura economica.

A fronte di detta puntuale argomentazione, il ricorrente si limita ad apodittiche contestazioni fondate su ritrascrizione di norme di legge e richiami giurisprudenziali ovvero su illustrazione astratta dei lineamenti degli istituti di protezione senza anche un effettivo confronto con la motivazione illustrata dai Giudici ambrosiani.

Circa l’omessa valutazione delle vicissitudini sofferte in Libia, la questione appare irrilevante posto che non viene dedotto che il rimpatrio debba avvenire verso detto Paese, nè lamentati reflui psico-somatici delle violenze ivi – asseritamente – patite ed invero nemmeno allegato il grado di integrazione nella vita socioeconomica di quel Paese.

Infine con relazione alla protezione umanitaria, il Collegio milanese ha puntualmente messo in evidenza come il ricorrente non ebbe ad indicare condizioni di vulnerabilità diverse da quelle poste alla base delle altre domande di protezione, ritenute non esistenti, e come le attività formative e lavorative svolte in Italia, siccome documentate in causa, risultavano effettuate tutte nell’ambito del circuito dell’accoglienza, sicchè in alcuna modo lumeggiavano un effettivo inserimento sociale.

Infine il Tribunale ha puntualmente effettuato la comparazione chiesta, sottolineando le relazioni familiari di cui il richiedente asilo gode in Patria e l’assenza di effettiva lesione dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio in forza dell’approfondito esame e delle condizioni socio-politiche del Bangladesh e della sua vicenda personale.

A fronte di ciò il M. si limita a denunziare apoditticamente l’omesso esame delle sue condizioni di vulnerabilità che ricollega alla situazione socio-politica del Bangladesh ed alla sua vicenda personale, oltre a richiamare i lineamenti generali dell’istituto, senza un effettivo confronto con la motivazione resa dal Collegio ambrosiano.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione degli Interni poichè non costituita.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2021

 

 

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