Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11624 del 11/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 11/05/2017, (ud. 23/01/2017, dep.11/05/2017),  n. 11624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20707/2013 proposto da:

O.D., elettivamente domiciliato in ROMA VIA OTTAVIANO 42,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO LO GIUDICE, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato FRANCO ZANGHERI, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

O.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 19/2013 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 05/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato LO GIUDICE che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.D. impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Forlì l’avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni, con cui l’Agenzia delle Entrate revocava il beneficio fiscale derivante dall’applicazione dell’imposta sostitutiva con aliquota ridotta per le operazioni a medio e lungo termine D.P.R. n. 601 del 1973, ex artt. 15e segg., concesso per un’operazione relativa alla erogazione di un mutuo fondiario di Euro 400.000,00, relativo ad un immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa”, sulla base del presupposto che nella specie trattavasi di un immobile di lusso, ai sensi del D.M. 2 agosto 1969. La C.T.P. accoglieva parzialmente il ricorso, confermando il recupero dell’imposta sostitutiva, per revoca delle agevolazioni prima casa, dichiarando non dovute le sanzioni irrogate per mancanza di dichiarazioni “mendaci” del contribuente. La pronuncia veniva appellata da O.D. innanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna che rigettava l’appello incidentale proposto dall’Ufficio e l’appello principale proposto dal contribuente, stabilendo non applicabile nella specie l’aliquota ridotta dello 0.25%, invece di quella normale del 2%, e confermando l’inapplicabilità delle sanzioni per buona fede del contribuente.

D.O. ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo quattro motivi. Il ricorrente ha presentato memoria con allegazione di documenti. Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate, proponendo ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando in rubrica: “Violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″, atteso che la CTR avrebbe commesso una duplice violazione dell’art. 2697 c.c., da un lato avendo recepito la tesi erariale che si basava sostanzialmente su una propria perizia, recante esclusivamente i valori finali dell’immobile, senza esplicare le modalità operative e senza neppure un accertamento in loco; dall’altro perchè avrebbe ignorato gli elementi di prova addotti dal contribuente a conforto dell’agevolazione fiscale, consistenti nelle due perizie di parte, entrambe attestanti una superficie inferiore ai 240 mq.

2. on il secondo motivo, si censura la sentenza impugnata denunciando in rubrica:” Violazione di legge per falsa ed erronea applicazione del punto 21, tariffa, parte seconda, DP.R. n. 633 del 1972, D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, D.M. 2 agosto 1969, n. 1072 del D.M. 10 maggio 1977, n. 801, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″. Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente affermato, sulla base dei calcoli effettuati dall’Agenzia, che la superficie utile complessiva da considerare è di mq. 296, tenendo conto anche del piano interrato, trattandosi “in ogni modo di una superficie utilizzabile”, riconoscendo conseguentemente all’immobile la qualifica di “immobile di lusso”, con estensione superiore a mq. 240. La CTR, pertanto, sarebbe incorsa in errore, atteso che, disattendendo la perizia giurata depositata dal contribuente, avrebbe violato le previsioni recate dalle norme regolamentari di cui al D.M. n. 1072 del 1969 e D.M. n. 801 del 1977 e con esse il punto 21, tariffa, parte seconda, D.P.R. n. 633 del 1972, incorrendo nel vizio denunciato in rubrica. La CTR avrebbe commesso, inoltre, falsa applicazione del punto 6, D.M. n. 1072 del 1969, e conseguentemente del ripetuto punto 21, tariffa, parte seconda, D.P.R. n. 633 del 1972, per avere disconosciuto l’effettivo contenuto della norma regolamentare, la cui interpretazione non consentirebbe di ritenere il piano interrato superficie utile, in quanto costituente nel complesso la cantina dell’immobile, dovendosi escludere altresì dal computo della superficie utile anche le superfici occupate dalle strutture portanti, dalle pareti divisorie, dai vani finestre, dalle singole porte, dagli sguinci e simili, in violazione del D.M. n. 1072 del 1969 e D.M. n. 801 del 1977.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando in rubrica: “Omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti per il riconoscimento del piano interrato come “cantina” in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5″.

Si duole il ricorrente del fatto che la C.T.R. avrebbe recepito pedissequamente la posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, la quale, per quanto concerne al piano interrato, si è arrestata alle denominazioni assegnate nella planimetria ai diversi spazi, in particolare escludendo dal computo della superficie utile il vano “cantina”, mentre ha incluso i rimanenti vani qualificati “tecnico, ripostiglio, lavanderia o archivio”, nonostante questi ultimi e la “cantina” in senso stretto rappresentassero una stessa realtà. Per contro la CTR avrebbe disconosciuto le risultanze finali della perizia giurata di parte, nonostante quest’ultima, all’esito di un accertamento in loco, avesse escluso dalla superficie utile l’intero piano interrato, proprio in virtù della constatazione che rispondesse in modo complessivo alla natura di cantina. Il ricorrente deduce che il giudice di appello, per accedere alla tesi dell’Agenzia, avrebbe dovuto giustificare il perchè solo lo spazio denominato “cantina” fosse stato escluso dalla superficie utile e non invece gli altri spazi dell’interrato, per il solo fatto che vi fosse una diversa nomenclatura, a dispetto di identica caratteristiche sostanziali.

4. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione del giudicato interno con riferimento all’art. 346 c.p.c. e al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 54 e 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, atteso che la sentenza di primo grado avrebbe implicitamente accertato che il piano interrato andava escluso, respingendo comunque il ricorso del contribuente, avendo considerato la metratura residua di pochissimo superiore al limite dei 240 mq., formandosi sul punto sostanzialmente il giudicato, con la conseguenza che la CTR, in mancanza di appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, non poteva innovare la decisione di primo grado includendo nei conteggi il piano interrato.

5. Il ricorso principale, i cui motivi possono essere unitariamente esaminati perchè connessi, è infondato.

La questione su cui si controverte, benchè articolata nei vari profili di censura, riguarda sostanzialmente la determinazione della “superficie utile” e, quindi, l’inclusione del piano interrato dell’abitazione nel computo della metratura totale, per la qualificazione dell’abitazione come “immobile di lusso”. Il ricorrente deduce che il piano interrato costituisce nella sua interezza la cantina, indipendentemente dalla specifica destinazione dei diversi spazi a cantina, ripostiglio, lavanderia ecc..

5.1. Con riferimento al primo e secondo motivo di ricorso, non si apprezza la violazione di legge denunciata.

Deve premettersi che non è dubitabile che, dinanzi al giudice tributario l’amministrazione finanziaria sia posta sullo stesso piano del contribuente. In tema di prova ne deriva la conseguenza che la perizia effettuata dall’Ufficio, e prodotta dall’Amministrazione finanziaria, costituisce una semplice perizia di parte, alla quale, pertanto, può essere attribuito il valore di un atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non per quel che riguarda il contenuto propriamente valutativo.

Al tempo stesso, però, va anche precisato che nel processo tributario esiste maggiore spazio per le prove atipiche, con la conseguenza che anche la perizia di parte, nella specie quella redatta dall’Ufficio, può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (Cass. n. 8890 del 2007; Cass. n. 7935 del 2002).

Nel caso di specie, la CTR ha fatto corretta applicazione del suindicato criterio di giudizio, in quanto, dopo aver invocato le disposizioni indicate nel D.M. 2 agosto 1969, ha precisato che il locale del piano interrato non è compreso nelle esclusione dal computo della superficie utile come indicata dalla norma, e testualmente ha affermato che “la perizia giurata, presentata dal contribuente, non è da considerare, perchè trascura lo spazio del piano interrato”.

In tema di agevolazioni “prima casa”, a norma del D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa 1, art. 1, nota 2 bis, il beneficio fiscale richiesto è connesso all’acquisto di case di abitazione prive delle caratteristiche di lusso, indicate dal D.M. 2 agosto 1969. L’art. 6 di detto decreto include, tra gli altri tipi di abitazioni di lusso, le unità immobiliari “aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240, esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine”, riconnettendo la caratteristica di immobile di lusso al dato quantitativo della superficie dell’immobile, con esclusione, solo dei predetti ambienti.

Con specifico riferimento alle parti dell’edificio definite dal contribuente “cantine”, la Corte ha recentemente chiarito che:

“In tema di imposta di registro, per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, sia esclusa dall’agevolazione per l’acquisto della prima casa, di cui all’art. 1, comma 3, Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nella formulazione ratione temporis vigente, ci si deve riferire alla nozione di superficie utile complessiva di cui al D.M. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, art. 6, pari a quella che residua una volta detratta, dall’estensione globale riportata nell’atto di acquisto, la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina, a prescindere dal requisito dell’abitabilità, elemento non richiamato nel decreto, mentre costituisce parametro idoneo l’utilizzabilità degli ambienti, sicchè i vani, pur qualificati come cantina e soffitta ma con accesso dall’interno dell’abitazione e ad essa indissolubilmente legati, sono computabili nella superficie utile complessiva” (Cass. n. 18480 del 2016).

Ne consegue che, nella specie, nel computo della superficie utile deve essere considerato anche il piano interrato, trattandosi di un locale non compreso in tale elencazione tassativa (v. Cass. sez. 5, n. 18483 del 2016, con riferimento al sottotetto), anche se sia qualificato come cantina, o addirittura inabitabile dalla normativa di settore, dovendo essere sottratti solo i locali non utilizzabili (Cass. civ. sez. 5, n. 12942 del 2013).

Secondo l’indirizzo consolidato espresso da questa Corte, quello che rileva unicamente ai fini del computo della “superficie utile”, pertanto, è l’idoneità di fatto degli ambienti allo svolgimento di attività proprie della vita quotidiana (Cass. n. 18480 del 2016; Cass. n. 22279 del 2011; Cass. n. 23591 del 2012; Cass. n. 10807 del 2012).

Va precisato, inoltre, che questa Corte ha avuto modo di stabilire che:

“In tema di imposta di registro, ipotecaria o catastale, per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi della Tariffa 1, art. 1, nota 2 bis, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la sua superficie utile complessivamente superiore a mq 240 – va calcolata alla stregua del D.M. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, che va determinata in quella che dall’estensione riportata nell’atto di acquisto sottoposto ad imposta – residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina, non potendo, invece, applicarsi i criteri di ci al D.M. Lavori Pubblici 10 maggio 1977, n. 801, richiamato dalla L. 2 febbraio 1985, n. 47, art. 51, le cui previsioni, relative ad agevolazioni o benefici fiscali, non sono suscettibili di una interpretazione che ne amplia la sfera applicativa”(Cass. n. 21812 del 2016; Cass. n. 24469 del 2015; Cass. n. 861 del 2014). Ne consegue che ai fini della determinazione della superficie utile non potevano essere esclusi, come sostiene il contribuente, le superfici occupate dalle strutture portanti, dalle pareti divisorie, dai vani finestre, dalle soglie porte, dagli sguinci e simili. L’assunto trova conferma nel dato normativo, dovendosi sottolineare come nelle formule “superficie utile complessiva” contenuta nel D.M. 2 agosto 1969, n. 1072, art. 6, manchi l’aggettivo “netta” che, invece, era presente nel testo (superficie utile complessiva) della disposizione che dettava la previgente definizione delle caratteristiche delle abitazioni di lusso (tabella allegata al D.M. 4 dicembre 1961).

5.2. Sulla base dei rilievi espressi, deriva l’infondatezza anche del terzo motivo di ricorso, a voler tacere di evidenti profili di inammissibilità in quanto lo sviluppo assertivo del motivo richiede nella sostanza una diversa lettura del materiale probatorio amministrato dal giudice del merito e, dunque, un intervento precluso a questa Corte (Cass. Sez. 1, n. 16526 del 2016).

5.3. Infondato, infine, il quarto motivo di censura, non essendo apprezzabile dalla lettura del ricorso, nel quale sono alcune parti della sentenza di primo grado, la configurazione di alcun giudicato interno circa l’implicito accertamento della esclusione del piano interrato dai conteggi della superficie utile. Oltre al fatto che: “La formazione di cosa giudicata su un capo della sentenza per mancata impugnazione può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi perchè fondati su distinti presupposti di fatto e di diritto, sicchè l’acquiescenza alle parti della sentenza non impugnata non si verifica quando queste si pongono in nesso consequenziale con altra o trovino in essa il suo presupposto” (Cass., Sez. L. n. 18713 del 23.9.2016).

6. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, censurando la sentenza impugnata per violazione di legge, falsa ed erronea applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972 (art. 21 della Tariffa, parte seconda), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che i giudici di secondo grado, confermando la decisione di prime cure, accogliendo l’appello incidentale sul punto della necessaria inclusione del vano interrato nel calcolo della superficie, hanno ritenute non dovute le sanzioni, in ragione della presunta buona fede del ricorrente.

La censura è infondata, in ragione delle seguenti osservazioni.

La Corte di Cassazione per la funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere di correggere la motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 384 c.p.c. (Cass. S.U. n. 2731 del 2017).

A tale fine va, in questa sede, precisato che la documentazion allegata dal ricorrente con memoria, relativa all’avvenuto classamento dell’immobile in catg. A/7, non assume rilievo nella presente controversia, tenuto conto che il nuovo regime trova applicazione ai trasferimenti imponibili realizzati successivamente alla modifica legislativa intervenuta con il D.Lgs. n. 23 del 2011, art. 10, comma 1, lett. a) e con il D.Lgs. n. 175 del 2014, con la conseguenza che il trasferimento dedotto nel presente giudizio, antecedente a questo discrimine temporale, continua ad essere disciplinato in base alla previgente disciplina.

Il richiamo alla novella legislativa assume rilievo con riferimento alla non debenza delle sanzioni.

Premesso che nella fattispecie trova conferma il pregresso regime impositivo sostanziale, si ritiene che una diversa soluzione si imponga, invece, per quanto concerne le sanzioni applicate con l’atto qui impugnato.

In proposito, si ravvisano i presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 2, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per il fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. La ricorrenza del principio di legalità e di favor rei in materia tributaria – già ampiamente valorizzato, in presenza di sanzioni amministrative di sostanziale valenza penale, anche ex art. 49 della Carta dei diritti fondamentali UE e art. 7 CEDU – si impone, nella specie, sotto il profilo che tali sanzioni vennero inflitte per avere il contribuente dichiarato che l’immobile acquistato possedeva, contrariamente al vero, qualità intrinseche “non di lusso”; vale a dire, per avere reso una dichiarazione che, per effetto della modifica normativa, oggi non ha più alcuna rilevanza per l’ordinamento. La presente fattispecie deve ritenersi peculiare rispetto a quelle con riguardo alle quali è stato affermato che, in difetto di abolitio criminis, permane a carico del contribuente tanto l’obbligo del versamento dell’imposta dovuta prima della modificazione normativa, quanto quello sanzionatorio (Cass., n. 25754 del 2014; Cass. n. 25053 del 2006), in quanto in base al regime sopravvenuto, l’agevolazione ben potrebbe sussistere (in assenza di iscrizione nelle categorie catastali ostative) anche in capo ad immobili abitativi in ipotesi di connotati dalle caratteristiche la cui mancata o falsa dichiarazione ha costituito il motivo della sanzione.

La situazione di favore per il contribuente è ancora più incisiva ed evidente di quella, prevista nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, del sopravvivere di un regime sanzionatorio semplicemente più mite, atteso che trattasi di una riformulazione ex novo della fattispecie legale di non spettanza dell’agevolazione, fondata su un parametro (quello catastale) del tutto differente da quello, precedentemente rinvenibile, fatto oggetto di mendacio.

In maniera tale che l’amministrazione finanziaria conserva la potestà di revocare l’agevolazione in questione per il solo fatto del carattere di lusso rivestito, al momento del trasferimento, e sulla base della disciplina all’epoca applicabile, dall’immobile trasferito; senza però avere titolo per applicare delle sanzioni conseguenti a comportamenti che, dopo la riforma legislativa, non sono più rilevanti; non certo in quanto tali (false dichiarazioni), ma in quanto riferiti a parametri normativi non più vigenti.

Sulla base dei rilievi espressi, in definitiva, l’applicazione dello jus superveniens induce al rigetto del ricorso incidentale, dovendosi confermare la non debenza delle sanzioni applicate con l’atto opposto.

7. Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso principale, proposto dal contribuente, e del ricorso incidentale, proposto dall’Agenzia delle Entrate. La reciproca soccombenza induce alla compensazione delle spese del grado di giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2017

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